I Modelli Operativi Interni
Secondo Bowlby (1969/1988)
gli individui, nel corso dell’interazione col proprio ambiente, costruiscono
dei Modelli Operativi
Interni (MOI), o Internal Working Models, del mondo fisico
e sociale che li circonda, che comprendono i Modelli Operativi di sé e delle figure di accudimento o,
ancor più precisamente, modelli di sé-con-l’altro (Liotti, 2001), vale a
dire dunque della relazione. I MOI sono rappresentazioni mentali, costruite dall’individuo
come strutture mentali che contengono le diverse configurazioni
(spaziale, temporale, causale) dei fenomeni del mondo e che hanno la funzione
di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi, consentendogli di
fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita
relazionale.
“Nel modello operativo del mondo che ciascuno si costruisce, una
caratteristica fondamentale è il concetto di chi siano le figure di
attaccamento, di dove le si possa trovare, e di come ci si può aspettare
che reagiscano.
Analogamente, nel modello operativo del Sé che ciascuno si costruisce, una
caratteristica fondamentale è il concetto di quanto si sia accettabili o
inaccettabili agli occhi delle figure di attaccamento. Sulla struttura di questi
modelli complementari l’individuo basa le sue previsioni di quanto le
sue figure di attaccamento potranno essere accessibili e responsive se egli si
rivolgerà a loro per aiuto. E […] dalla struttura di quei modelli dipendono
inoltre la sua fiducia che le sue figure di attaccamento siano in genere
facilmente disponibili e la sua paura più o meno grande, che non lo siano:
di quando in quando, spesso, oppure nella maggior parte dei casi.”
(Bowlby, 1973, pag. 197:
corsivo mio)
Questo fascinoso stralcio dell’opera
di Bowlby restituisce un’immagine ben chiara di quali siano le funzioni assolte
dai MOI, di quanto essi vengano caratterizzati dalla qualità del rapporto che è
stato instaurato dal bambino con la FdA e di quanto gli stessi MOI siano in
grado di condizionare i comportamenti di attaccamento del piccolo. Passiamo
adesso in rassegna i punti evidenziati:
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chi siano le figure di attaccamento, di dove le si possa
trovare:
nel MOI dell’altro, è ben chiara chi sia la FdA. Bowlby si rifà qui al concetto
di comportamenti differenzialmente orientati, che mostrano avere una
meta privilegiata, che è appunto la FdA. Allo stesso tempo è necessario che si
sappia costantemente dove la FdA si trova, così da poter recuperare subito la
vicinanza nel momento del pericolo. L’osservazione di qualsiasi bambino
impegnato in comportamenti esplorativi mostra infatti come questo volga di
tanto in tanto il capo verso la madre per accertarsi della sua presenza.
2
come ci si può aspettare che reagiscano: il concetto di aspettativa
qui espresso è sotteso alla formazione di una rappresentazione mentale della
FdA. Le ripetute interazioni con la FdA e le modalità di risposta che questa è
solita adottare contribuiscono sensibilmente alla strutturazione di questa
rappresentazione. Per la comprensione di questo punto è utile il concetto di
RIG, formulato da Stern (1985), Rappresentazioni di Interazioni che sono state
Generalizzate, unità di base, singole esperienze, che poi vengono combinate in reti
riguardanti il cibo, la madre, la fiducia. Queste prime generalizzazioni si
trasformeranno col tempo in ricordi semantici che potranno essere espressi
verbalmente.
3
concetto di quanto si sia accettabili o inaccettabili: il MOI relativo al sé è
condizionato delle modalità di risposta del caregiver. Il bambino potrà
sentirsi dunque amato o non amato, da una FdA amabile o non
amabile. Nel modello classificatorio dell’attaccamento proposto da
Bartholomew (1991) i quattro stili di attaccamento derivano dalla combinazione
di due variabili bidimensionali: modello del sé (positivo o negativo) e modello
dell’altro (positivo o negativo). Un modello di sé positivo è all’origine di
una rappresentazione di sé accettabile, mentre su un modello negativo di sé
sarà costruita una rappresentazione di sé non amabile e dunque inaccettabile.
4
basa le sue previsioni: le previsioni che il bambino fa
rispetto alla disponibilità della FdA sono basate sulla complementarietà dei
MOI del sé e dell’altro. I ricordi impliciti dei pattern ripetitivi delle
relazioni di attaccamento vengono gradualmente integrati nelle strutture di
significato del bambino e ciò dà vita, come abbiamo visto, a rappresentazioni
del sé e dell’altro. Riprendendo il modello di Bartholomew, è facilmente
immaginabile che la previsione di una risposta di vicinanza da parte della FdA
possa presentarsi con maggior frequenza nel caso di un MOI dell’altro positivo
ed ancor di più quando anche il MOI del sé lo è.
5
fiducia che le sue figure di attaccamento siano in genere
facilmente disponibili: dalla struttura dei MOI dipende dunque la fiducia nei
confronti della FdA, nella sua disponibilità. La disponibilità della FdA, che
non va intesa nella più semplice accezione di presenza fisica, gioca un ruolo
determinante nella formazione del MOI dell’altro. I MOI degli attaccamenti A, B
e C contengono una rappresentazione unitaria di sé-con-l’altro. Nel
pattern evitante (A) di attaccamento il MOI di sé ruota attorno alla
rappresentazione di un sé costantemente rifiutato da una FdA non amorevole; nel
pattern sicuro (B) di attaccamento, la sicurezza che il bambino avverte circa
la FdA lo induce alla formazione di una rappresentazione di sé e dell’altro
positiva; infine, il pattern insicuro ambivalente (C) di attaccamento ruota
attorno ad un modello negativo di sé e positivo dell’altro, promuovendo la
formazione dell’immagine di un sé non amabile e dell’altro amorevole. A
differenza di questi, i MOI relativi al pattern D di attaccamento, formatisi a
seguito delle interazioni con una FdA spaventata/spaventante (Main e Hesse,
1992), inducono alla costruzione di rappresentazioni di sé-con-l’altro
molteplici e reciprocamente incompatibili, che mutano continuamente polarità
attraverso i vertici del triangolo drammatico di Karpman, tra la
rappresentazione di vittima, persecutore e salvatore
(Liotti, 2001).
Stabilità e Cambiamento
I Modelli Operativi Interni, già dall’infanzia iniziano a consolidarsi,
pur essendo stati relativamente aperti al cambiamento nei primi anni di vita.
Bowlby (1988) arriva ad affermare che questo “solidificarsi” dei MOI li porta a
divenire scontati, arrivano ad operare a livello inconscio, fino dunque
a diventare tendenzialmente caratteristiche della personalità del soggetto, più
che della relazione.
Nell’adolescenza ed in età adulta, gli stessi MOI si renderanno poi disponibili
come repertorio di modelli gerarchicamente organizzati e riferiti a differenti
aspetti della realtà (Hazan e Shaver, 1994).
L’esperienza delle ripetute
transazioni con la figura di accudimento influenza inevitabilmente le
aspettative del bambino e, per certi aspetti, guida e regola la
rappresentazione delle successive esperienze che avrà di questa e con questa.
La prima resistenza al cambiamento, dunque, è rappresentata da questa sorta di pilota
automatico che guida i processi di assimilazione. Di contro, modi di
azione e pensiero che una volta erano sotto controllo tendono a diventare meno
consapevoli e inaccessibili, poiché divengono abituali ed automatici, col
guadagno di una maggiore efficienza, in quanto la richiesta di attenzione è
minore, ma con la perdita di una certa flessibilità. In conclusione, il fatto
che i modelli operativi e le aspettative individuali intervengano nelle
interazioni relative all’attaccamento determina anche una certa stabilità.
Il cambiamento nei modelli operativi può determinarsi, ad esempio,
quando un genitore precedentemente empatico, a causa di eventi personali,
diventi ansioso o profondamente depresso, mancando di sensibilità nei confronti
del figlio. Se ad esempio un genitore minaccia ripetutamente di abbandonare il
bambino o di suicidarsi, così da scuotere la sua fiducia come base sicura,
porta il bambino a ricostruire i modelli operativi di sé e dei genitori
(Bowlby, 1973). Al contrario, se un genitore può diventare capace di rispondere
più sensibilmente ai bisogni d’attaccamento del suo bambino, questo ricostruirà
un modello operativo di sé valido ed uno complementare dei genitori disponibili
e supportivi.
Conclusioni
Benché la teoria
dell’attaccamento sia nata con esplicito interesse ai primi anni di vita
dell’essere umano, e più in generale dei mammiferi, Bowlby (1979) sosteneva che l’attaccamento è parte
integrante del comportamento umano “dalla culla alla tomba” e dunque che
lo stile di attaccamento formatosi durante l’infanzia rimanga relativamente
stabile durante lo sviluppo. Responsabili di questa permanenza risultano essere
i MOI, modelli relazionali appresi attraverso il ripetersi delle interazioni
con le prime figure significative.
Tuttavia sarebbe una pazzia
considerare la mente umana un monolite granitico che una volta strutturatosi in
una qualche forma perda ogni possibilità di essere plasmata ulteriormente. Dall’infanzia all’adolescenza,
dall’adolescenza all’età adulta, alla senescenza, importanti esperienze di
attaccamento possono modificare i MOI sui quali l’individuo articola le proprie
relazioni sociali.
Un esempio classico è il caso della psicoterapia. Il rapporto che si
stabilisce tra paziente e psicoterapeuta può essere inteso come una relazione
di attaccamento/accudimento.
E in questo scenario, il processo di cambiamento che viene
promosso dalla psicoterapia non può forse essere letto come un cambiamento dei
modelli relazionali dell’individuo, e quindi dei Modelli Operativi Interni?
La Teoria dell’Attaccamento
(TdA) di John Bowlby (1969/1988) postula che l’essere umano presenti già dalla
nascita una predisposizione innata a formare legami di attaccamento con le
figure genitoriali primarie, le Figure di Attaccamento (FdA). Gli ormai famosi
esperimenti Harlow (1961) hanno mostrato come la tendenza a mantenere una
vicinanza con le figure genitoriali trovi la sua innata motivazione in una
ricerca di contatto, di conforto e di protezione, più che nella ricerca di pulizia,
di scarica della libido e di nutrimento, come fino ad allora sostenuto dalla
psicoanalisi classica. Il modello di funzionamento del sistema di attaccamento
fu mutuato dalla teoria dei sistemi di controllo (Craik, 1943), dalla quale
Bowlby attinse per il concetto di comportamento di tipo finalistico, e
dalle allora emergenti teorie di stampo cognitivista che proponevano un modello
modulare del comportamento umano regolato da sistemi a feedback (Miller,
Galanter e Pribram, 1960). Nella TdA il sistema dell’attaccamento è
inteso come un sistema motivazionale innato (SMI, Liotti, 2001) teso a
mantenere l’omeostasi dell’organismo e che viene attivato soltanto in
specifiche situazioni, quando cioè l’organismo avverte una minaccia da parte
dell’ambiente. In caso di pericolo, l’attivazione del SMI dell’attaccamento
innesca la produzione di una serie di comportamenti differenzialmente orientati
(goal-corrected behaviours, Bowlby, 1969) finalizzati al recupero della
vicinanza di una specifica FdA. Nel bambino piccolo, questi comportamenti
possono essere distinti tra: comportamenti segnale (come vocalizzazioni
o sorrisi) che promuovono interazioni sociali positive e piacevoli, i comportamenti
avversivi (come gridare o piangere) che determinano l’avvicinamento della
FdA ed i comportamenti attivi (come avvicinarsi o seguire) messi in atto
per ridurre la distanza dalla FdA (Belsky e Cassidy, 1994). Una volta che la
vicinanza alla FdA è stata recuperata, il SMI dell’attaccamento si disattiva,
per lasciare posto ad altri sistemi, come ad esempio a quello
dell’esplorazione. La FdA è vista dunque come una base sicura (Bowlby,
1988), alla quale il bambino fa ricorso quando si sente minacciato e
abbandonato. L’angoscia di separazione, infatti, è un buon indicatore che la
relazione di attaccamento si è stabilita.
Il concetto di base
sicura è in realtà da attribuirsi a Mary Ainsworth che attraverso gli studi
osservativi della Strange Situation (Ainsworth, Blehar, Waters e Wall, 1978)
delineò il profilo di tre stili, o pattern, organizzati di attaccamento
(insicuro evitante, sicuro e insicuro ansioso resistente) riscontrabili in
gruppi di bambini che con le madri presentavano altrettante tipologie di
interazione. Successivamente, Main e Solomon (1986) hanno proposto un quarta categoria,
denominata stile disorientato/disorganizzato, che include i
bambini non classificabili all’interno delle tre categorie proposte da
Ainsworth.
Come già accennato, ad ogni
stile di attaccamento corrisponde una tipica modalità di interazione con la FdA,
interazione che si basa sulle rappresentazioni che il bambino ha di sé e
dell’altro, strutturate all’interno di quelli che Bowlby chiamò Modelli
Operativi Interni (MOI).
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