lunedì 5 marzo 2012

Tratto da "Sento, dunque sono" di Enrico Cheli


"Cogito, ergo sum" — affermava il grande filosofo Cartesio oltre tre secoli fa — io so di
essere in quanto penso, se non pensassi non sarei o non saprei di essere.
Ma è proprio vero che solo pensando io esisto? In realtà l'essere non si dimostra col solo
pensare ma anche e soprattutto col sentire. Bisogna chiarire bene questi
due concetti del pensare e del sentire, perché in occidente siamo portati a confonderli
non poco, con gravi conseguenze sul piano sociale — tra cui una scienza senza coscienza
e una politica senza cuore. 
Gli esseri umani adulti hanno a disposizione sia la facoltà di sentire sia quella di pensare,
e entrambe sono utili e necessarie al loro benessere psicofisico e al buon andamento della
vita sociale.
Il sentire è ciò che si percepisce direttamente di una situazione, di un oggetto, di una
persona con cui siamo in contatto: le sensazioni fisiche che essa attiva nel nostro corpo,
le emozioni e i sentimenti che smuove, le intuizioni e le immagini che suscita in noi.
Mentre il sentire è sempre immediato e spontaneo, il pensare è inevitabilmente
influenzato dai nostri schemi mentali, dai pregiudizi e dalle abitudini sociali e culturali.
Sentire è "essere in contatto diretto col qui e ora," con la realtà del momento, mentre
pensare è sovente un "focalizzarsi sulle speranze o le paure inerenti una certa situazione",
vedendola non già come realmente si presenta ma sulla base delle proprie aspettative
preesistenti.
E' importante rivalutare il sentire sia perché è una chiave per poterci liberare dai
condizionamenti sia anche e soprattutto perché è solo sentendo che possiamo veramente
affermare di esistere.
Sentire vuol dire essere consapevoli delle proprie sensazioni;
delle informazioni esteriori e interiori che ci pervengono  attraverso i sensi e soprattutto degli stati fisiologici ed emozionali che esse producono in noi.
Le due funzioni del pensare e del sentire non compaiono assieme nell'essere umano, ma hanno fasi evolutive diverse.
Fino ad una certa età noi siamo solo sentire, da bambini noi siamo sentire allo stato puro. Piano piano poi cominciamo anche a pensare e - se non intervenisse la società, attraverso l'educazione - le due funzioni procederebbero da un certo punto in avanti di
pari passo. Invece notiamo che dai 6/7 anni in poi, man mano che crescono le facoltà razionali, decrescono quelle irrazionali, il sentire appunto. Il sentire è nostro, è la cosa più nostra che abbiamo. Il pensare invece non è del tutto nostro, poiché, come si è visto in precedenza, è facilmente manipolabile ed è quello che da millenni avviene. Il sentire invece non è manipolabile: non si può spacciare una sensazione spiacevole per piacevole, lo si può far credere con le parole ma alla prova dei fatti il bluff salta fuori - una sensazione è piacevole o spiacevole e basta, non la posso definire attraverso un'altra sensazione. Una delle sfere della vita in cui il sentire dovrebbe essere predominante è quella dei rapporti sentimentali. I sentimenti - lo dice la parola stessa - appartengono al sentire, non tanto ai sensi fisici, quanto a quelli emozionali. Oltre al problema di riconoscere i sentimenti nel loro vero significato, la disarmonia tra pensare e sentire produce anche altri effetti negativi, tra cui l'incapacità ad aprirsi, di lasciarsi andare al piacere dell'intimità, che porta molte persone a ricorrere a mezzi esterni quali ad esempio l'alcool, che funge da inibitore della mente onnipresente..
Se da bambini fossimo stati addestrati a accettare e comprendere i nostri sentimenti
non avremmo difficoltà di questo genere nella vita, ma come abbiamo visto, le cose
sono andate diversamente.
Se è vero che la società non fa niente per sviluppare il nostro sentire e che anzi tendein vario modo a distoglierci da esso, focalizzando tutte le energie sul pensare, è anchevero che in una certa misura siamo complici di questo processo, nel senso che, per motivi che ora vedremo, anche noi abbiamo partecipato attivamente a chiudere il nostro sentire.
Il sentire è la funzione che ci collega al piacere e al dolore, e ogni essere vivente è orientato per natura a ricercare il piacere e sfuggire il dolore. Poiché durante l'infanzia molte persone hanno vissuto più dolore che piacere, la soluzione più ovvia è stata quella di desensibilizzarsi, di chiudere cioè il più possibile la finestra del sentire. Purtroppo non è possibile chiudere solo il dolore: la finestra del sentire è una sola e se si chiude si chiude anche al piacere.
Molti bambini vivono in situazioni di tale degrado che la suddetta chiusura appare
evidente. Ma anche per i cosiddetti bambini normali l'infanzia non è mai rose e fiori
come la si dipinge e talvolta la si ricorda. La maggior parte di noi ha avuto genitori e
insegnanti che, anche se ce l'hanno messa tutta, avevano pur sempre i loro limiti e
non ci hanno dato tutto l'affetto di cui avremmo avuto bisogno, non ci hanno dato
l'attenzione che avremmo voluto, non ci hanno talvolta (o spesso) rispettati come
persone, ma ci hanno considerati esseri inferiori. Quindi noi abbiamo sofferto, una
sofferenza non necessariamente acuta, magari per molti leggera, ma costante, e
questo ci ha portto a chiuderci, desensibilizzandoci, cioè riducendo al minimo la
nostra sensibilità. Chi è iper-sensibile? Uno troppo sensibile, una persona che sente in
modo molto forte. Nella nostra psicologia "ipersensibilità" è una parola che designa
uno stato negativo, eppure ipersensibile è anche una persona che sente di più il
piacere. E' bello essere ipersensibili in una bella giornata di sole, ma se fuori tira sempre vento, se piove o grandina, che cosa possiamo fare se non chiudere le
finestre? Questo è stato il dramma di molte persone, appartenenti alla generazione dei
nostri padri e dei nostri nonni ma in certa misura, seppure inferiore, anche alle
generazioni più giovani.

Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo chiuso, nel corso dell'infanzia, la finestra del
nostro sentire, solo che adesso non siamo più nell'infanzia, forse non piove più, forse
il vento è cessato, ma ciònonostante abbiamo ancora la finestra chiusa. Questo è il
paradosso della paura cristallizzata in abitudini: ciò che aveva un senso in un certo
momento, tende a protrarsi anche quando le condizioni esterne sono mutate. E'
fondamentale rendersi conto che oggi non siamo più degli inermi bambini, che fuori
non grandina più, e se anche talvolta accade, possiamo utilizzare strumenti
appropriati per affrontare il maltempo. Riaprire il proprio sentire può fare paura, ma -
mi chiedo e vi chiedo - è preferibile vivere tutta la vita a finestre chiuse, o accettare il
rischio di prendersi anche qualche bagnata di pioggia e però godersi le belle giornate
di sole, di profumi, di colori? Pensateci bene. Ognuno deve sentire da solo quale è la sua scelta di vita, io voglio solo porvi di fronte ad una scelta consapevole, sappiate
cosa scegliete e sappiate che avete il potere di scegliere, poi scegliete voi…..
A cosa serve dunque il dolore, che scopo ha? Il dolore è una spia che ci comunica
qualcosa, ad esempio che siamo sulla strada sbagliata, oppure che stiamo agendo nel
modo sbagliato. Ci dice insomma che qualcosa non va nel nostro corpo (se è un
dolore fisico) o nella nostra vita affettiva (se è un dolore emozionale).
Se non ci fermiamo ai primi segnali di sofferenza la situazione si aggrava
e sarà un po' più difficile e doloroso risolverla.
Se avessimo avuto le "finestre" del sentire un po' più aperte avremmo colto
subito il segnale di dolore e ci saremmo fermati per tempo. E' il senso del dovere che spesso ci fa agire in modo contrario al nostro sentire.
Com'è che da piccoli ci hanno fatto fare cose che non ci piacevano? Il trucchetto
consiste in una formula magica che si declina in 3 o 4 modi: il più semplice e diretto
è "devi"; una variante più subdola è poi "è bene per te", un'altra variante è "altrimenti
ti punirò, ti punirà Dio, ti succederà qualcosa...".
Questo "devi" impostoci da altre persone noi lo interiorizziamo talmente che diventa
un "devo", siamo cioè noi stessi ad imporci certe cose - come ben ha messo in
evidenza Sigmund Freud nel concetto di Super-io. Finche è un "devi" io posso anche
provare ad oppormi, ma quando sono io stesso che mi obbligo, cosa faccio? Mi
ribello a me stesso? Non mi resta che accettare l'idea che è giusto, è inevitabile,
insomma, che devo. Quante volte usiamo la parola "devo" nella nostra vita?
Pensate a quante volte usiamo "devo" anche in situazioni piacevoli -
 "Devo andare a sciare"; "devo uscire con gli amici" etc. - situazioni insomma per le quali sarebbe più appropriato usare la parola "voglio". Ma "voglio" è tabù, è una parola cancellata dal vostro vocabolario.
Quando da piccoli dicevamo "voglio", forse ci davano uno schiaffo o ci rispondevano
che "L'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re". "Voglio" non esiste più,
un bambino non deve volere, deve fare quello che dicono gli altri, "deve".
Un adulto può comandare a un bambino ma si trova a sua volta a dover fare quello
che dicono i suoi superiori o il governo - è sempre un devi. Naturalmente l'adulto ha
una valvola di sfogo, si rifarà sul bambino. Questo adulto che non ha mai potuto volere nulla e ha sempre dovuto, ora su qualcuno può, su suo figlio può, è lui che può
e il bambino che deve. E' una illusione grama che il rivalersi su qualcun altro possa
risolvere le angherie e le frustrazioni subite, ma per millenni si è perpetuato questo
meccanismo, e solo da qualche decina d'anni ha iniziato a modificarsi, se pur in modo
diverso da luogo a luogo e da famiglia a famiglia. Così come il dolore ha lo scopo di segnalare che stiamo sbagliando qualcosa, che la strada intrapresa non è positiva per noi, il piacere ha - o dovrebbe avere - la funzione inversa, cioè di confermare e rinforzare determinati comportamenti, scelte, pensieri
che vanno bene per noi. Purtroppo, il piacere è stato fortemente stigmatizzato e
colpevolizzato dalla cultura cristiana (e anche molte altre) e si è persa la sua preziosa
valenza di orientamento, non solo nel senso che le persone raramente sanno seguirne
le benefiche indicazioni, ma anzi in molti casi le rifuggono come malvage. Teniamo altresì presente che vi sono vari livelli di piacere: il piacere fisico, quello emozionale, quello mentale e quello spirituale. Sviluppando la propria sensibilità e sensitività le sensazioni di piacere saranno avvertibili in modo più nitido, come pure quelle di dolore, e sarà più agevole orientarsi, cercando di evitare le strade portatrici di dolore e seguire quelle portatrici di piacere, gioia, armonia o qualsiasi altro nome si voglia dare alle
sensazioni piacevoli.....
 Poiché il sentire non è manipolabile direttamente, esso rappresenta una valida possibilità per ripulire la
nostra mente dai condizionamenti. Se accetto il principio che molte delle mie "idee",
convinzioni, valori, non siano realmente mie ma piuttosto elementi ereditati
inconsapevolmente dall'ambiente socioculturale, posso sottoporle a verifica mediante
il sentire, fare cioè esperienza diretta di quelle cose e vedere se il sentire che ne
risulta è coerente o no al pensare. Un passo fondamentale per conseguire la vera libertà è quindi quello di riattivare la nostra capacità di sentire. Non è affatto difficile, basta investire in questo compito un po' di tempo ed energie: è il minimo che possiamo fare dopo aver destinato anni della
nostra vita a sviluppare il pensare. Tuttavia, se per anni ci siamo dedicati solo al versante del pensare, è evidente che la facoltà del sentire si è un po' atrofizzata e così, quando serve,  non funziona o 
funziona in maniera distorta, confusa. E' quindi necessario riattivarla, e non è affatto
difficile, basta investire in questo compito un po' di tempo ed energie: è il minimo
che possiamo fare dopo aver destinato anni della nostra vita a sviluppare l'altra
facoltà. La ricetta per recuperare il proprio sentire e anzi affinarlo ancor più, è semplice e
consta di tre ingredienti base:
- la consapevolezza che sia importante riattivarla, ed è quello che sto cercando di
comunicarvi con queste pagine;
- la volontà di impegnarsi in tal senso, e questa è una responsabilità che spetta
interamente a voi;
- l'esercizio, attraverso tecniche e situazioni appropriate, e queste si possono imparare
su alcuni libri, incluso questo, e meglio ancora partecipando a corsi o seminari
esperienziali. Si sono già visti  esercizi in proposito.
Il respiro è qualcosa che fluisce continuamente, e per certe persone è più facile sentire il
movimento che non il proprio corpo immobile. Anche il respiro produce delle
sensazioni: a livello muscolare e toracico, a livello gustativo/olfattivo (si sente come
qualcosa che si avvicina ad un sapore) e infine - quando si raggiunge una certa
sensibilità - si possono avvertire anche sensazioni di carattere emozionale....


Chiudete gli occhi e ponete la vostra attenzione sul respiro, respirando
normalmente: non fate niente per cambiarlo, semplicemente osservatelo,
sentitelo, così come avviene; sentite il torace e la pancia che si dilatano e si
restringono, oppure, se vi è più facile, focalizzatevi sul naso e sentite l'aria
che passa attraverso le narici. Senza alcuno sforzo, semplicemente ascoltate,
osservate il vostro respiro, siate consapevoli dell'aria che entra, dell'aria che
esce. Dopo un po' potete anche provare ad "assaporare" queste sensazioni,
forse hanno un loro "gusto" particolare, come quei sapori appena accennati
che richiedono una lunga e attenta degustazione per venire fuori. Procedete
per almeno un minuto, meglio due o tre. Quando lo desiderate potete
concludere l'esperienza e riaprire piano piano gli occhi, rimanendo ancora
per un po' in contatto con lo spazio interiore che avete sperimentato.


Per approfondimenti teorici sull'argomento
CHELI E. Dietro le maschere alla scoperta di se stessi, ed. Compagnia degli Araldi .
CHIA M. Tao Yoga. Il risveglio dell'energia attraverso il Tao, ed. mediterranee.
LOWEN A. Il piacere. Un approccio creativo alla vita., ed. Astrolabio.
MASLOW A. Verso una psicologia dell'essere, ed. Astrolabio.
OSHO RAJNEESH, Vivere amare, ridere, ed. News Services Corporation.
PEARLS F., HEFFERLINE R.F., GOODMAN P., Teoria e pratica della
terapia della gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, ed.
Astrolabio.
PIERRAKOS J. Corenergetica, ed. Crisalide

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