sabato 17 marzo 2012

Da " Libera università dell'autobiografia"

La scrittura come strumento di attivazione del pensiero ed elaborazione delle emozioni.
Gli esempi di “Kaos” e “Lady Tramp

 http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2375&Itemid=108

Duccio Demetrio, nel suo prezioso libro del 2008 intitolato La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, ha evidenziato come la funzione della parola scritta possa essere ricondotta all’etimologia della parola “clinica”. In perfetta sintonia con questo punto di vista si pone lo scopo, l’obiettivo perseguito da due laboratori di scrittura centrati su due “fragilità” ben diverse: il primo svolto in una struttura psichiatrica semiresidenziale e il secondo con un gruppo di auto mutuo aiuto di genitori di ragazze con disturbi del comportamento alimentare. Coordinatori dei due laboratori sono stati degli esperti che hanno alle spalle la formazione data dalla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.
Le scritture prodotte hanno evidenziato la loro funzione trasformativa e riparativa, usando questi concetti nell'accezione rispettivamente di Bion e di Melanie Klein: si tratta infatti di scritture che hanno attivato la mente e generato il pensiero, "trasformando" contenuti psichici in cerca di una diversa "forma", di una nuova strutturazione, di un senso inedito e "riparando" le fratture, le cicatrici che si sono scavate nel mondo interno dell'individuo.

I testi realizzati in questi laboratori sono raccolti in due libri che fanno conoscere esperienze importanti non solo agli addetti ai lavori, ma anche a lettori non professionisti che si vogliano confrontare con stimoli e spunti di riflessione profondi e con una ricerca di verità che mette in gioco anche chi non è coinvolto in prima persona in questi problemi.

Il primo volume in ordine di pubblicazione è Una gallina di nome Francesca, a cura di Amedeo Pompili e Raffaella Zampino, edito a Perugia da Gramma Edizioni nel giugno 2011. L'esperienza di scrittura di cui il libro reca testimonianza si è svolta presso Kaos, struttura semiresidenziale del Dipartimento di Salute mentale dell'AUSL 2 di Perugia. Alla base di Kaos (denominazione npresa dall'omonimo film dei fratelli Taviani del 1984, tratto da alcune novelle di Pirandello) è la consapevolezza che le terapie più consolidate e tradizionali (colloqui, visite domiciliari e farmaci) debbano essere affiancate da un tipo di accudimento diverso, che faccia riferimento a un luogo preciso e che coinvolga gli utenti in modi meno direttamente legati alle pratiche mediche. Il luogo deve costituire un riferimento stabile e fornire una dimensione temporale particolare, specifica, scandendo le giornate secondo un calendario di attività particolari, soprattutto di natura creativa. All'interno di Kaos ha preso vita così nel 2009 un "Laboratorio di fiabe e racconti fantastici", i cui testi sono stati presentati poi al Concorso letterario di Castel Ritaldi, paese tra Foligno e Spoleto.

Il setting del laboratorio prevedeva incontri della durata di due ore e mezza, suddivise in circa un'ora e mezza di spiegazione delle tecniche e in un'ora dedicata alla chiarificazione della consegna, alla composizione e alla lettura dei propri testi. La scelta del tipo di scrittura da proporre ha escluso fin dall'inizio quella autobiografica, troppo poco mediata, troppo direttamente legata all' esperienza di vita e alle sofferenze individuali ancora da metabolizzare. Ci si è invece orientati verso la composizione di fiabe e di narrazioni d'invenzione, che avrebbero portato ugualmente gli autori a proiettare nello spazio narrativo parti di sé, ma secondo modalità indirette, per vie inconsce o preconsce, in modi non traumatici, non condizionati da difese e resistenze rigide e destabilizzanti. Ogni trama, anche la meno riconducibile all'esperienza reale dell' autore, consente a quest'ultimo di disseminare nel proprio testo tracce di sé, aspetti del suo mondo interno, contenuti della sua mente trasformati in modo da essere irriconoscibili spesso anche all'autore stesso perché attribuiti a personaggi inventati o contestualizzati in maniera opportunamente deformata. Infatti, come sostiene Freud (Il poeta e la fantasia, 1907), i personaggi di un racconto o di un romanzo non sono altro che la materializzazione narrativa di parti dell'Io dell'autore.

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