I meccanismi di difesa dell'Io
La
familiarità con il concetto di difesa e con la varietà di meccanismi difensivi
è importante per comprendere la diagnosi del carattere. Un meccanismo di
difesa, nella teoria psicoanalitica, è una funzione propria dell'Io attraverso
la quale questa istanza intrapsichica si protegge da eccessive richieste
libidiche o da esperienze di pulsioni troppo intense, che non è in grado di
fronteggiare direttamente. In altre parole, la costruzione che una persona fa
di se, deve essere difesa in modo che gli altri non possano accorgersi delle
caratteristiche autentiche, incluse le debolezze, le fragilità e, talvolta,
l'umanità. Ad esempio: la scarsa affettuosità, razionalizzata con "basa
con queste cose, non sono mica un/a rammollito/a, sono altre le cose
importanti!" potrebbe difendere la
paura di incontrare occhi rifiutanti, un dolore insopportabile che ha provocato
a suo tempo una ferita profonda.
Un
meccanismo di difesa entra in azione con modalità al di fuori della sfera della
coscienza: di fronte a una situazione che genera eccessiva angoscia, ad
esempio, per alcuni il semplice contatto (esistono persone che tendenzialmente
evitano ogni contatto con gli altri), il meccanismo difensivo induce l'Io a
ricorrere a varie strategie per fronteggiare l'estrema portata ansiosa
dell'evento. Lo scopo preminente è di escludere dalla coscienza ciò che è
ritenuto inaccettabile e pericoloso. Raramente i meccanismi di difesa
intervengono separatamente: nella maggior parte dei casi sono combinati per
fronteggiare una situazione considerata pericolosa sotto più profili.
I
meccanismi di difesa che operano in un contesto nevrotico (sia
alla base, cioè nella formazione di un disturbo nevrotico, sia nel senso di un
mantenimento della nevrosi) agiscono soprattutto nella direzione di un contenimento
o gestione dell'ansia o di altre situazioni affettive intense. Il più comune di
essi è la rimozione,>assieme alla quale operano meccanismi più
"complessi" implicati spesso nella formazione del comportamento
ritenuto sintomatico, come la formazione reattiva(comune nei disturbi
ossessivo-compulsivi), lo spostamento e la condensazionetipici delle fobie), e
l'intellettualizzazione.
Nell’organizzazione
borderline, si osservano spesso delle
difficoltà nella gestione degli affetti. I meccanismi di difesa tipici di
questi disturbi operano soprattutto nella struttura dell'Io, tanto che il più
comune di questi è la scissione. Altri meccanismi riconosciuti sono la
proiezione (impiegata in maniera massiccia e incontrollabile nelle
personalità paranoidi), l'idealizzazione (impiegata in quadri borderline).
Solitamente, questa classe di meccanismi di difesa è considerata più arcaica
rispetto a quella dei meccanismi tipici delle nevrosi, proprio perché più
elementari e impiegate in maniera massiccia nella primissima infanzia.
In un
quadro psicotico i meccanismi di difesa impiegati (ad esempio
scissione e diniego) operano soprattutto nella direzione del rapporto fra
l'Io e la realtà, ed il modo in cui questa viene affrontata e gestita a livello
psichico. A questo livello sono frequenti molti meccanismi di difesa tipici
anche dei disturbi di personalità, ma impiegati in maniera più
"drastica" e spesso talmente disadattiva da compromettere l'esame di
realtà (come nel caso di negazioni, allucinazioni, etc.).
Il
ricorso preferenziale e automatico a una particolare difesa o serie di difese è
il risultato di un’interazione complessa tra quattro fattori:
1
Il temperamento costituzionale,
2
La natura dei disagi subiti nella prima infanzia,
3
Le difese presentate, e a volte deliberatamente
insegnate dalle figure genioriali, o altre figure significative,
4
Le conseguenze sperimentate dall’uso di particolari
difese (effetti del rinforzo).
La
teorizzazione dei meccanismi di difesa è mutuata dall'esperienza clinica di
vari psicoanalisti, nell'osservazione delle più comuni reazioni dei pazienti a
esperienze particolarmente penose o considerate insuperabili, ma anche nei
confronti di situazioni relazionali comuni, che però creano difficoltà
nell'integrare la sfera delle pulsioni e quella morale. Lo studio dei
meccanismi di difesa è originato da Sigmund Freud ed è
stato condotto da diversi psicoanalisti; in particolare sono di ampio rilievo i
contributi della figlia di Freud, Anna Freud nel suo libro L'Io e i meccanismi
di difesa, 1968.
Nella
teoria psicoanalitica i meccanismi di difesa sono funzioni di un Io stabile,
dal momento che servono a gestire le comuni richieste pulsionali (ambientali o
interne, operate da istanze psichiche) in rapporto all'altrettanto comune
coscienza morale o alle individuali capacità di fronteggiare reazioni affettive
(sia considerate "positive" che "negative"). Si tratta
perciò di funzioni fondamentali per l'adattamento, per operare quell'ideale
compromesso fra pulsione e morale culturale di cui Freud si occupò a lungo
nella determinazione delle cause della nevrosi. I meccanismi di difesa non
dovrebbero essere intesi come "patologici", neppure
se il loro impiego è disadattivo, dal momento che possono essere utilizzati in
maniera troppo rigida, inflessibile e indiscriminata (per esempio, mancando
un'effettiva situazione minacciosa), ma la loro funzione è sempre la stessa,
quella cioè formatasi nel corso dello sviluppo infantile per
affrontare la realtà. Nei casi in cui i meccanismi di difesa vengano impiegati
in senso disadattivo, sono riscontrabili le più comuni forme di disturbo
mentale.
I
processi difensivi primari (primitivi)
Descrivere
le difese primitive, cioè strutturatesi nel primo periodo della vita di un
bambino, presenta maggiori difficoltà che non presentare quelle mature. Il
fatto che siano preverbali, prelogiche, totalizzanti, immaginali e magiche le
rende estremamante inadatte a essere rappresentate dalla parola scritta.
Descriverò in sintesi le difese convenzionalmente considerate primarie.
Il
ritiro primitivo
Se il
bambino è sovrastimolato o soggetto a forti tensioni, spesso semplicemente si
addormenta. Il ritiro psicologico in un diverso stato di coscienza è una
risposta auto protettiva automatica osservabile nell’infante. Esperienze di intrusione
o violazione emotiva da parte delle figure di accudimento o di altri oggetti
precoci possono rinforzare la tendenza al ritiro. La personalità schizoide
evita il contatto, attraverso il ritiro tenta di rispondere alla sua angoscia,
in questo modo si estrania dalla partecipazione attiva alla soluzione
interpersonale dei problemi. Una tra le lamentele più diffuse di persone a
contatto con soggetti schizoidi è: “Non fa altro che gingillarsi con il
telecomando (o altro oggetto) e si rifiuta di rispondermi”. Le
persone cronicamente “ritirate”, chiuse nel proprio mondo interiore mettono a
dura prova la pazienza delle persone che le amano. All’estremità più sana della
sfera schizoide si trovano persone di notevole creatività che attraverso il
ritiro sviluppano la capacità di tenersi fuori dalle convenzioni ordinarie,
amplificando la capacità di profonda osservazione (ricercatori, artisti,
scrittori, filosofi, etc.)
La
negazione e il diniego
Negazione:
variante meno grave della denegazione o diniego in cui vi è una completa
scotomizzazione (oscuramento) del dato di fatto conflittuale, senza alcuna
consapevolezza di ciò. Nella negazione di livello nevrotico quello che viene
negato è solo l'affetto, mentre il rapporto con la realtà è di norma mantenuto.
Il diniego,
presente solitamente nelle psicosi, viene utilizzato quando il pericolo
potenziale per il mantenimento della struttura psichica è estremo.
Il
diniego è un'altro modo precoce in cui il bambino affronta le esperienze
spiacevoli: rifiuta di accettare che accadono. Il diniego continua a operare
automaticamente in ognuno di noi come prima reazione a qualunque avvenimento
catastrofico. Questa reazione è l’espressione di un processo arcaico radicato
nell’egocentrismo del bambino, in cui l’esperienze è governata dalla
convinzione prelogica che “se non lo riconosco non succede”.
Ovviamente,
l'uso massiccio della negazione produce conseguenze negative nei confronti
della possibilità di risoluzione di un problema sul piano di realtà; per cui
questo meccanismo è in genere disadattativo e disfunzionale. È disadattivo
perché non permette la risoluzione di un problema ed è disfunzionale in quanto
provoca un danno all'individuo.
La
proiezione.
Ossia
l’attribuzione (riconoscimento cosciente) dei propri sentimenti e affetti
inaccettati all'esterno, su un altro oggetto o sull'intero ambiente. Opera di
frequente assieme alla scissione delle proprie qualità ritenute
"buone" e "cattive", ed in cui vengono proiettate
all'esterno le ultime. Meccanismo alla base della Paranoia. La proiezione è il
processo per cui qualcosa di interno viene considerato proveniente
dall’esterno. Nelle sue forme positive e mature, è la base dell’empatia. Nelle
sue forme sfavorevoli, la proiezione provoca pericolosi fraintendimenti e
immensi danni interpersonali.
L’introiezione.
L’introiezione
è il processo di assimilazione e "assorbimento" dell'oggetto o di sue
qualità, che vengono riconosciute come proprie. Le caratteristiche introiettate
dell'oggetto diventano indistinguibili (a livello rappresentativo) dal Sé. Non
si tratta di una "copiatura", ma di un vero e proprio
"assorbimento" della rappresentazione dell'oggetto e delle sue
qualità nella propria struttura psichica. Meccanismo essenziale nello sviluppo
infantile, che consente al bambino di assimilare le figure significative, come
i genitori, e di mantenere internamente e "ricorrere" alle loro
qualità anche in assenza di esse. Nelle sue forme problematiche, l’introiezione
è, come la proiezione, un processo molto distruttivo. Gli esempi più noti e
sorprendenti di introiezione patologica implicano quel processo che è stato
definito: “identificazione con l’aggressore”. Comprendere questo meccanismo è
di importanza cruciale per il processo psicoterapeutico, giacché si rintraccia
in tutte le categorie diagnostiche, ma è particolarmente evidente nelle
disposizioni caratteriologiche al sadismo e all’esplosività a quella che viene,
spesso impropriamente, definita impulsività.
Identificazione
Proiettiva.
Processo
di proiezione delle qualità percepite come "cattive" dell'Io
sull'oggetto relazionale, e successiva identificazione al fine di esercitare un
controllo (spesso aggressivo) su di esso. Proiettando sull'altro le proprie
qualità inaccettabili, l'Io può sviluppare l'illusione di poterle dominare
dall'esterno. È un meccanismo di difesa complesso, che opera in seguito ad una
scissione. Sui meccanismi dell'Identificazione Proiettiva si basa la
Controidentificazione Proiettiva, che ne rappresenta una sorta di
"completamento relazionale".
Razionalizzazione:
Tentativo
di "giustificare", attraverso comportamenti, ragionamenti ed
argomenti un fatto o un processo relazionale che il soggetto ha trovato
angoscioso. In altre parole, la razionalizzazione consiste nel costruire
attribuzioni, ipotesi o ragioni esplicative "di comodo", per poter
contenere e gestire l'angoscia.
Melanie
Klein (1946) fu la prima analista a scrivere di un processo difensivo, che
trovò in tutti i pazienti più disturbati e che definì “identificazione
proiettiva”. Questa fusione di meccanismi proiettivi e introiettivi è stata
descrita in modo sintetico da Ogden (1982 p. 18):
Nell’identificazione
proiettiva il paziente non si limita a vedere il terapeuta in
un’ottica distorta, determinata dalle proprie passate relazioni oggettuali: in
aggiunta il terapeuta è anche fatto oggetto di pressioni intense a fargli
sperimentare se stesso come vuole la fantasia inconscia del paziente.
In altre
parole, il paziente proietta oggetti interni e ottiene che la persona su cui
sono proiettati si comporti come quegli oggetti: come se la persona bersaglio
avesse gli stessi introietti, in un processo di fusione tra esterno ed esterno.
(Nancy McWilliams, La Diagnosi Psicoanalitica, Astrolabio, Roma, 1999, parte I°
- pag. 131). Questo meccanismo è alla base di cronici fenomeni di
incomprensione all'interno di una coppia d'amore, emerge frequentemente con la
frase: "ti comporti esattamente come (mio padre/mia madre/mio
zio/etc.".
Dissociazione
o Scissione.
Separazione
"verticale" delle qualità contraddittorie dell'oggetto (buone e
cattive), e di conseguenza dei sentimenti ad esso relativi, spesso vissuti come
non integrabili "tutto o nulla". I diversi aspetti della realtà
mentale o di un evento spesso traumatico restano "relegati" in
diversi settori dell'attività cosciente. Tipicamente presente, in senso
disadattivo, nei Disturbi Dissociativi dell'Identità, più noti come "Personalità
Multiple", o nelle esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione. Da
un punto di vista clinico, la scissione è evidente quando un paziente esprime
un atteggiamento non ambivalente e considera del tutto irrilevante quello
opposto. Ad esempio, una donna borderline percepisce il terapeuta totalmente
buono, mentre considera stupidi, ostili e indifferenti gli impiegati
amministrativi che lavorano nello stesso contesto. Oppure il terapeuta stesso
può diventare improvvisamente il bersaglio di una rabbia incontrollata, nel
momento in cui il paziente lo vede come una personificazione del male, mentre
soltanto la settimana prima lo considerava assolutamente buono. Questo fenomeno
può capitare anche con le persone affettivamente significative. La scissione
come difesa ha una reputazione negativa. I pazienti che la utilizzano come
modalità ordinaria di organizzazione dell’esperienza logorano le persone cui
sono affidati o con le quali hanno rapporti frequenti e carichi emotivamente.
La
dissociazione è una reazione normale a un trauma, ma non si può affermare che
il trauma sia volutamente normale. Chiunque può dissociare se posto davanti a
una catastrofe che travalica le sue capacità di elaborazione, quando implica un
terrore intollerabile. Sono state riferite spesso le esperienze di uscire dal
proprio corpo durante la guerra e in tutte le situazioni in cui è reale e
terrificante il pericolo di morire. E’ possibile dissociarsi a qualunque età
quando si subisce una disgrazia intollerabile; tuttavia coloro che da bambini
subiscono ripetutamente orribili violenze possono imparare a dissociarsi come
reazione abituale alle tensioni. Quando ciò accade, si può affermare che
l’adulto soffre di un disturbo dissociativo del carattere o personalità
multipla. I vantaggi della dissociazione in condizioni insopportabili sono
chiari: ci si distacca totalmente dal dolore, dal terrore, dall’orrore e
dall’idea di una morte imminente. Chiunque abbia avuto l’esperienza di uscire
dal proprio corpo in condizioni di pericolo mortale, e anche quelli di noi che
non hanno una base tanto drammatica per empatizzare, possono capire che si
preferisca essere fuori piuttosto che dentro il senso di una distruzione
incombente. Dissociazioni occasionali o lievi possono favorire atti di
singolare coraggio. Le persone traumatizzate possono confondere una
situazione di normale tensione con una che implica un pericolo di vita. Chi usa
abitualmente questa difesa paga un alto prezzo sul piano interpersonale,
facilmente verrà considerato instabile, malvagio o semplicemente bugiardo.
I
processi difensivi secondari (di ordine superiore)
Si può
considerare una personalità nevrotica, una personalità che ricorre alle difese
più mature ed evolute, cioè usa anche difese primitive ma esse non hanno grande
rilevanza nel funzionamento globale, cioè la presenza di difese primitive non
elimina la diagnosi di carattere nevrotico come invece può fare la mancanza di
difese mature. La persona nevrotica ha un senso integrato della propria
identità (coerenza e continuità del sé, narrazioni particolareggiate
della propria esperienza e delle proprie relazioni) e ha un solido contatto con
la realtà. Tale soggetto vive come qualcosa di strano parte di ciò che l'ha
spinto a chiedere aiuto, cioè ha coscienza del suo disagio ed è consapevole di
aver bisogno di aiuto, per cui la psicopatologia è ego aliena (cioè non è
strutturante e strutturata nell'Io). In questa sintesi ho scelto di
considerare le difese mature in base a due criteri:
1
La frequenza con cui vengono menzionate nella
letteratura clinica e psicoanalitica,
2
La loro rilevanza per specifici modelli di carattere.
Occorre
precisare che nessuna sintesi delle difese può essere completa, perché è
possibile utilizzare ogni processo psicologico in senso difensivo.
La
rimozione:
La più
importante delle difese di ordine superiore. Riguarda l’allontanamento
"orizzontale" degli effetti pulsionali dell'esperienza traumatica, o
più generalmente inaccettabile, dalla sfera della coscienza. La rimozione
sembra uno dei meccanismi di difesa più arcaici ed universali. Consiste
nell'inconsapevole cancellazione di un ricordo, di un’esperienza che il
soggetto ha vissuto come acutamente angosciante o traumatizzante. Un'esperienza
si dice traumatizzante quando soddisfa le seguenti caratteristiche:
•
Quando accade all'improvviso,
•
Quando produce uno spavento acutissimo,
•
Quando permette che il soggetto diventi impotente ed
incapace di controllare le situazioni,
•
Quando il soggetto sente di poter subire qualcosa di
così tremendo da produrre un danno, anche fisico, irreparabile.
Dalle
statistiche si è scoperto che l'evento più traumatizzante è lo stupro e le
esperienze di morti improvvise di cui si sia testimoni. Questo meccanismo di
difesa dura a lungo ed è antico: si sviluppa, secondo Freud, nella fase edipica
a tre-quattro anni ed il bambino, alla fine della fase edipica rimuove i
sentimenti e gli aspetti sessuali nei confronti del genitore di sesso opposto.
“La sua
essenza consiste semplicemente nell’espellere e nel tener lontano qualcosa
dalla coscienza”. (Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, trad.it.
in Opere, vol.VIII, Boringhieri, Torino, 1976, pag. 37)
Gli
analisti contemporanei ritengono che sia necessario aver acquisito un senso di
totalità e continuità del Sé prima di essere in grado di utilizzare la
rimozione per fronteggiare impulsi disturbanti. Un esempio di rimozione,
irrilevante sul piano clinico, considerato da Freud (1901) in Psicopatologia
della vita quotidiana, è la momentanea amnesia. Esempio: un conduttore
televisivo dimentica il nome dell’ospite che sta presentando in un contesto in
cui è evidente che il conduttore prova qualche sentimento negativo inconscio
verso quella persona.
La
regressione.
E’ un
meccanismo di difesa molto diffuso. Non si può parlare di regressione quando
una persona è consapevole di aver bisogno e si concede il diritto di chiedere.
Perché sia qualificabile come meccanismo di difesa, il processo deve essere
inconscio.
Ogni
individuo quando è sufficientemente stanco inizia a lamentarsi senza rendersene
conto. Durante la sottofase di riavvicinamento, che Margaret Mahler ha
descritto come configurazione universale della fine del secondo anno di vita,
quando il bambino ha appena dichiarato la propria indipendenza dalla madre, non
è raro osservare quel bambino tornare a lei e nascondersi sotto la sua gonna.
Questo è un esempio che evidenzia la tendenza degli esseri umani ad aggrapparsi
a ciò che è a loro familiare, dopo aver raggiunto un nuovo livello di
competenza. All’interno della terapia, il paziente che riesce a raccogliere il
proprio coraggio e la propria nuova energia per auto affermarsi con il
terapeuta, nelle sedute successive tornerà alle precedenti modalità di
relazione. Per il terapeuta è importante saper apprezzare le naturali
fluttuazioni del cambiamento evolutivo.
Quando
la regressione costituisce la strategia centrale dell’individuo nel suo modo di
relazionarsi con la vita, possiamo parlare di una personalità
infantile.
L’isolamento.
Si parla
di isolamento quando l’aspetto affettivo di un’esperienza viene separato dalla
sua dimensione cognitiva, allo scopo di gestire l’angoscia e altri stati
emozionali dolorosi. Si tratta di un meccanismo difensivo di grande valore in
determinate situazioni: i chirurghi non potrebbero lavorare efficacemente se
fossero costantemente sintonizzati sulla sofferenza fisica dei pazienti. Un
particolare stile educativo, associato ad un determinato temperamento del
bambino, può strutturare l’isolamento quale difesa centrale anche in assenza di
trauma e considerarlo (dagli adulti) una qualità positiva. La nostra
tendenza culturale ad ammirare la capacità di isolare l’affettività
dall’intelletto è rintracciabile nella diffusa simpatia per il personaggio
Spock (il vulcaniano) di Star Trek.
L’intellettualizzazione.
Rappresentata
dal controllo razionale delle pulsioni al fine di evitare una compromissione
nei confronti di qualità affettive inaccettabili, o che generano difficoltà
nella loro gestione. Usata anche nell'adolescenza per fronteggiare la ricca
richiesta pulsionale tipica di questa età, é spesso causa di sofferenza. Si
tratta di un tipo particolare di razionalizzazione, in cui non solo si
producono "spiegazioni apparentemente logiche", ma tali spiegazioni
sono direttamente fondate o riferite a dati teorici, scientifici, culturali di
una certa astrazione. Si manifesta anche con l'utilizzazione di temi o
argomenti colti o culturalmente condivisi per nascondere l'angoscia. Molte
persone sentono di aver fatto un grande salto evolutivo quando, in condizioni
di tensione, riescono a intellettualizzare invece di dare una risposta
impulsiva. L’intellettualizzazione, posizione spiccatamente e difensivamente
cognitiva, induce intuitivamente gli altri a ritenere la persona emotivamente
disonesta. Le forme di gioco gratificante (umorismo, espressione artistica,
sesso, etc.) rischiano di essere indebitamente eliminate nella persona che ha
imparato a dipendere da questa difesa per affrontare la vita. In questa
situazione l'esistenza perde molti dei suoi vivaci colori e affossa in un
grigiore sempre prevedibile, dove l'entusiasmo e l'energia cedono il passo
all'appiattimento delle emozioni e, di conseguenza, delle relazioni.
La
razionalizzazione
Egregiamente
descritta con la favola di Esopo: “La volpe e l’uva”. La difesa agisce in modo
benigno quando consente di volgere al meglio una situazione difficile e con il
minimo danno. Il suo lato oscuro è rappresentato dal fatto che ogni cosa
potrebbe essere razionalizzata e le persone raramente ammettono di fare le cose
per il solo piacere di farlo. Così il genitore che picchia un bambino,
razionalizza la propria aggressività affermando che è “per il
suo bene”, circondando la propria decisione con una serie di buone
possibili ragioni.
La
moralizzazione
E’ la
cugina della razionalizzazione, può essere considerata una variante
evolutivamente più avanzata della scissione, il naturale sviluppo della
tendenza primitiva a fare grossolane distinzioni tra bene e male. Mentre la
scissione avviene naturalmente nel bambino prima che ci sia un Sé integrato in
grado di ambivalenza, la moralizzazione risolve, con il ricorso alla legge
morale, sentimenti contrastanti che il Sé è ora capace di provare. Dalla
moralizzazione è possibile dedurre l’attività di un Super-Io abitualmente
rigido e punitivo. La moralizzazione illustra dunque l’avvertimento che una
data difesa può costituire un esasperante ostacolo all’influenza terapeutica.
Il lavoro con pazienti nevrotici il cui carattere presenti l’uso cronico e
rigido di una particolare posizione difensiva, può presentare le stesse
difficoltà della psicoterapia con pazienti psicotici.
La
compartimentalizzazione.
La
funzione di questa strategia difensiva è permettere a due condizioni in
conflitto di esistere senza creare confusione, sensi di colpa, vergogna o
angoscia sul piano cosciente. Si osserva l’individuo abbracciare due o più
idee, atteggiamenti o comportamenti che sono in conflitto senza coglierne la
contraddizione. Nella persona sprovvista di una formazione adeguata, la
compartimentalizzazione può essere associata all’ipocrisia. All’estremità più
malata si trovano persone molto impegnate dal punto di vista umanitario,
soprattutto nella sfera pubblica e che nel loro privato invertono la loro bontà
apparente, agendo e difendendo la violenza sui figli. E’ noto il fenomeno del
religioso predicatore che si oppone energicamente al peccato, mentre nel suo
privato inverte ogni convinzione, per lasciarsi andare alle più estreme forme
di reato. Molti censori convinti che combattono l’erotismo con accanimento,
sono stati trovati in possesso di numerose collezioni di materiale
pornografico. La compartimentalizzazione richiede che i pensieri o i
comportamenti discrepanti siano comunque e sempre accessibili alla coscienza,
il senso di colpa o la dissociazione non appartiene a questo meccanismo di
difesa. Una volta scoperta, la persona che utilizza la compartimentalizzazione
eliminerà prontamente ogni contraddizione attraverso la razionalizzazione.
L’annullamento.
Compiere
un'azione al fine di annullarne "magicamente" una precedente. Ad
esempio: la compulsione a lavarsi, necessaria per annullare un atto ritenuto
come "sporco" svolto in precedenza, reale o meno che sia. È un tipico
meccanismo di difesa della nevrosi ossessiva. Mentre la moralizzazione può
essere considerata una versione evoluta della scissione, l’annullamento è lo
sviluppo naturale del controllo onnipotente. Le persone che provano forti
rimorsi per i peccati, gli errori e i fallimenti del loro passato, che siano
reali, esagerati o solo pensati, possono utilizzare l’annullamento come
progetto di vita. Se l’annullamento è la difesa principale di un individuo,
agito mediante atti ricchi del significato inconscio di “espiazione” da
situazioni passate che compromettono il sostegno alla propria autostima, con
molte probabilità si tratta di un soggetto compulsivo. Il
filantropo, come il bevitore, se entrambi compulsivi, appartengono a questa
categoria. Il concetto di compulsività è neutrale riguardo ogni contenuto
morale.
Volgersi
contro il Sé.
I
bambini possono trovarsi nella situazione di pagare un prezzo molto alto se
offendono una figura genitoriale suscettibile, può risultare conveniente
volgere sulla propria persona ogni sentimento negativo. Così facendo possono
evitare la realtà, molto più disturbante della difesa perché in quel periodo di
vita il loro benessere dipende da un adulto purtroppo inaffidabile. Il bambino
si trova in una situazione in cui non ha il potere di cambiare le cose. Non è
raro incontrare in adulti dal passato tremendo la convinzione che, se fossero
state persone migliori, i genitori gli avrebbero dato amore e protezione.
Questa convinzione, che nell’infanzia si era rivelata adattiva, da adulti
provoca una sofferenza continua, poiché la tendenza è quella di colpevolizzarsi
ad ogni circostanza, piuttosto che sforzarsi creativamente per migliorare la
propria situazione. L’uso compulsivo di questa difesa è frequente nelle
personalità orali e masochiste.
Lo
spostamento.
Investimento
di sentimenti inaccettabili su un oggetto "sostitutivo", che assume
il ruolo di oggetto manifesto, o apparente, ed è in stretto rapporto simbolico
con l'oggetto reale o la rappresentazione mentale che causa l'attivazione di
questa difesa. Interviene spesso nella genesi delle fobie, per cui si 'sposta'
il sentimento inaccettabile sull'oggetto detto 'fobigeno'.
Inquadra
questa situazione la classica vignetta dell’uomo maltrattato dal principale,
che torna a casa e maltratta sua moglie, che a sua volta sgrida i figli, i
quali prendono a calci il cane. In mediazione familiare è noto il suo effetto
nella triangolazione, dove un genitore tortura il figlio perché lo giudica “alleato”
all’altro genitore, con il quale non ha il coraggio di confrontarsi su un piano
di parità.
Nel
rapporto di coppia anche la sessualità può essere spostata: i feticci sessuali
rappresentano lo spostamento dell’interesse erotico dai genitali a qualche area
inconsciamente collegata. Se qualche evento nella storia di un bambino nella
fase edipica ha reso pericolosa la vagina, si può sostituirla con qualche altro
elemento femminile associato, in questo modo è possibile spostare anche
l’angoscia.
Un altro
elemento di spostamento riguarda alcune stigmatizzabili tendenze culturali,
come il razzismo, il sessismo, l’eterosessismo, così come la ricerca di un
capro espiatorio che si osserva in talune organizzazioni e sottoculture.
Le forme
benigne di spostamento trasformano l’energia aggressiva in attività creativa
(pittura, scultura, lavoro domestico, etc.), si “crea” spesso quando si è
arrabbiati per qualcosa o con qualcuno.
La
formazione reattiva
Sostituzione
di un desiderio inaccettabile con un suo opposto (spesso un comportamento).
L’organismo umano è capace di trasformare qualcosa nel suo estremo opposto per
renderlo meno minaccioso. Può incidere anche sulla costruzione della
personalità del carattere; tanto che un eccesso di formazione reattiva può
facilitare la costituzione di un cosiddetto "Falso Sé" (ovvero, una
personalità non autentica). Spesso alla base del sintomo compulsivo: le
coazioni che riguardano, ad esempio, la pulizia (lavarsi continuamente le mani
usando sempre saponette diverse), risulterebbero così formazioni reattive di
sentimenti di sporcizia o inadeguatezza. Negare l’ambivalenza è la sua funzione
principale. Possiamo provare risentimento per una persona cui siamo grati,
nella formazione reattiva la persona si persuade di provare una sola polarità
di una risposta emotiva complessa. E’ una difesa privilegiata in quelle
psicopatologie in cui predominano sentimenti ostili e impulsi aggressivi di cui
la persona teme di perdere il controllo. L’età più precoce in cui il processo è
visibile si colloca tra il terzo e il quarto anno di vita. In questo periodo,
se arriva un altro figlio, è probabile che il maggiore possa gestire la propria
rabbia e gelosia, trasformandole in un sentimento conscio di amore verso il
neonato. La trasformazione è favorita quando i genitori non tollerano i
legittimi sentimenti negativi, così i genitori non partecipano alla loro
elaborazione e restituiscono al figlio maggiore unicamente il loro dissenso,
favorendo così la costruzione di questa difesa.
Il
capovolgimento.
E’ la
difesa di certi genitori e di alcuni terapeuti: a disagio con la propria dipendenza,
ma lieti che qualcuno dipenda da loro. E’ una modalità che crea uno scenario
nel quale la propria posizione passa da soggetto a oggetto e viceversa. Si
tratta di trasformare la passività in attività; è distruttiva quando la
situazione emergente è negativa, come nella condizione di vittima –
persecutore.
L’identificazione
Auto-attribuzione
ed "assunzione" di caratteristiche e qualità proprie dell'oggetto
stimato e amato. È fondamentale nello sviluppo del bambino, che
"copierà" caratteristiche dei genitori e di altre persone
significative nel corso della sua educazione. Può essere positiva e non
difensiva (apprendimento sociale), oppure problematica in certe circostanze.
Freud (1923) fu il primo a suggerire la distinzione tra identificazione difensiva
e non difensiva, descrivendo l’identificazione “anaclitica”, dal
greco “appoggiarsi” e l’identificazione con l’aggressore. L’identificazione
anaclitica deriva dal desiderio di essere simili ad una persona di cui si
apprezzano le qualità, nel secondo caso si osserva il tentativo di assumere in
proprio le qualità di ciò che si teme. L’energia utilizzata per
l’identificazione e la sua qualità si evolve e si adatta alle situazioni per
tutto il corso della vita di un individuo ed è alla base emotiva del cambiamento
e della crescita psicologica. Così come la proiezione primitiva
si trasforma nel corso dell’esistenza di una persona sana in una più ampia
capacità di empatia, anche l’identificazione si trasforma progressivamente in
una preziosa opportunità per arricchire il proprio Sé, assorbendo le qualità di
altre persone stimate e ammirate. La capacità di identificarsi con nuovi
oggetti d’amore è un’importante risorsa per guarire dalle sofferenze emotive,
inoltre è un fondamentale strumento psicoterapeutico per ottenere un
cambiamento. La qualità emotiva del rapporto paziente-terapeuta condiziona
fortemente l’esito del trattamento.
Il
modello familiare dell’identificazione difensiva secondo Freud è la situazione
edipica. In questa fase il bambino sente che i suoi desideri di possesso del
genitore di sesso opposto si scontrano con la sua indisponibilità, perché ama
il genitore del proprio stesso sesso (il padre ama la madre e la madre ama
il padre). A questo punto, in assenza di traumi specifici, a volte
condizionati proprio dal non amore dei genitori, matura il desiderio di poter
diventare simile al genitore del proprio stesso sesso, crescere e trovare
nell’ambiente qualcuno simile al genitore di sesso opposto come partner
d’amore. Secondo Freud, questa fantasia rappresenta la genesi
dell’identificazione con l’aggressore, evidentemente in questo caso un
aggressore immaginario. L’identificazione è un processo sostanzialmente
neutrale, può avere effetti positivi o negativi in relazione all’oggetto
dell’identificazione. Il processo terapeutico consiste in buona parte
nell’esplorazione delle antiche identificazioni (soluzioni di conflitti
infantili) divenute disfunzionali per l’adulto. Per il terapeuta è sempre una
buona regola, in particolare con persone che utilizzano questa modalità
difensiva, non cadere nella tentazione di presentarsi in modo grandioso,
proprio per evitare l’uso narcisistico del desiderio del paziente di
identificarsi con quell’immagine.
Idealizzazione.
Costruzione
di attributi immaginari (del Sé o dell'oggetto) onnipotenti, sradicando
il soggetto dalla realtà, allo scopo di favorire i suoi bisogni
narcisistici. È il meccanismo di difesa mediante il quale si proietta
su una persona l’illusione della "perfezione". E’ generata dal
mancato riconoscimento del bambino, per quello che realmente è, da parte delle
figure genitoriali in più fasi dello sviluppo. E’ evidente nell'innamoramento,
quando ci s’illude di innamorarsi di qualcuno che deve apparire perfetto, e che
ovviamente non esiste nella realtà oggettiva. Talvolta l'idealizzazione si
presenta come una formazione reattiva, con l’obiettivo di nascondere
(invertendo la dinamica) l'aggressività e la conflittualità che si prova per
una determinata persona.
La
sublimazione.
La
soddisfazione della pulsione mediante il cambiamento dello scopo o
dell'oggetto, in una direzione più accettata culturalmente (ad esempio:
aspirazioni artistiche al posto delle pulsioni sessuali). Gli impulsi
istintuali sono influenzati dalle circostanze tipiche dell’infanzia; alcune pulsioni
o conflitti assumono una rilevanza particolare e possono essere creativamente
veicolati in attività costruttive e utili; lo strumento più sano per risolvere
le situazioni psicologiche. Attraverso questa difesa, il dentista potrebbe
sublimare il sadismo, un artista l’esibizionismo, un avvocato il desiderio di
distruggere i propri nemici, etc. In questo modo la sublimazione favorisce un
comportamento positivo per la specie, scarica l’impulso e non consuma l’energia
organismica per trasformarla, come nella formazione reattiva, o confliggendo
con esso, come nel diniego e nella rimozione.
Dott.
Cosimo Aruta
Psicologo,
Psicoterapeuta, Analista Bioenergetico
Nessun commento:
Posta un commento