Chirone e l'archetipo del guaritore
ferito
Autore: Besana Claudia 06 Febbraio 2014
"Non abbiate paura delle
vostre ferite,
dei vostri limiti, della vostra impotenza.
Perché è con quel
bagaglio che
siete al servizio dei malati
e non con le vostre presunte forze,
con il vostro presunto sapere."
(Frank Ostaseski)
Una frase che rappresenta una verità
su questo lavoro. Jung parlava dell'archetipo del guaritore ferito, di colui
che tiene in sè due poli opposti: il guaritore e il ferito. E così viene alla
luce la figura di Chirone: nella mitologia era un centauro figlio illegittimo
di Crono e Fillira, immortale. Più saggio e benevolo di tutti i centauri fu
grande esperto dell’arte medica e insegnante perfino di Asclepio, padre della
medicina e di Eracle.
Fu proprio per mano di quest’ultimo
che Chirone incontrò la sua fine: a seguito della sua terza fatica, quella
della cattura del cinghiale di Erimanto, Eracle fece visita al centauro Folo il
quale offrì del vino all’eroe aprendo la giara dei centauri che si arrabbiarono
e si lanciarono contro Eracle che li respinse e ne uccise alcuni; i centauri,
per difesa, si rifugiarono nella grotta di Chirone che, ignaro di ciò che stava
succedendo, si fece incontro all’amico Eracle nell’istante esatto in cui questo
scagliò una freccia che andò a colpire per errore il ginocchio del centauro.
Questa ferira inguaribile provocò molto dolore, e a nulla servirono i propri
poteri autocratici al punto che il centauro sarebbe stato costretto ad una vita
di sofferenza a causa della sua immortalità. Zeus, però, mosso da compassione,
permise a Chirone di donare la sua immortalità a Prometeo salvandolo e salvando
con lui tutti gli uomini.
E’ proprio attraverso la sofferenza
che Chirone impara l’arte della cura e a tenere sempre presente la propria
ferita, che è simbolicamente lo spazio attraverso cui il dolore e la sofferenza
possono entrare in lui.
Come Chirone, così il terapeuta può
comprendere la sofferenza dell’altro solo riconoscendo e integrando la propria
sofferenza, non come debolezza o fragilità, ma come forza e strumento per poter
lasciare entrare ed entrare in contatto con l’altro.
Spesso sembra che il terapeuta sia
entità astratta che ha in sé le tecniche e gli strumenti appresi teoricamente
per poter guarire l’altro, che possiede la verità, immune dalla sofferenza,
infallibile. In realtà un buon terapeuta è un uomo o una donna ferito/a, che è
entrato in contatto con la propria sofferenza e che ci ha “fatto i conti”, che
l’ha affrontata, l’ha integrata, e da questa ferita ha trovato la via per
prendere contatto con le ferite altrui.
Io credo che questa riflessione sia fondamentale, mi accompagna
da quando ho deciso di fare questo lavoro, a confronto con i miei limiti e la
mia disabiltà, con il mio essere ferita e il mio desiderio di “essere
guaritore”. Per il paziente non dev’essere importante sapere quali e quante
sofferenze si celino dietro il proprio terapeuta, perché è giusto che, quello
che non sia evidente, resti fuori dalla conoscenza, ma ciò che importa è sapere
che anche il proprio terapeuta è una persona proprio come lui, non un essere
altro, distante.
"Solo
il guaritore ferito può guarire"
C. G. Jung
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