mercoledì 15 ottobre 2014

Autori e dintorni...Hannah Arendt

La banalità del male
di Hannah Arendt






Hannah Arendt continua a interrogare e scuotere la nostra coscienza, illuminando a giorno gli anfratti più disturbanti del “progresso”.

Nata in Germania nel 1906, ebrea naturalizzata tedesca, vittima, sulla sua pelle, della discriminazione antisemita e dell’atroce distopia nazista, Hannah Arendt è stata allieva di Edmund Husserl e Martin Heidegger. Con quest’ultimo intrecciò una lunga e controversa liaison sentimentale oltreché intellettuale, che le causò non poche critiche, non ancora dissoltesi, vista l’adesione di Heidegger al partito nazista. Nel 1933 Arendt fu arrestata dalla Gestapo, e subito dopo riparò a Parigi. Nel 1937 la Germania le ritirò la cittadinanza. Nel 1940 venne internata nel campo di Gurs dai nazisti, ormai padroni di una parte della Francia. Ma riuscì a scappare, destinazione gli Stati Uniti. Nell’immediato dopoguerra il suo rientro in Germania, al suo nuovo anno zero. Negli anni Cinquanta la Arendt fu naturalizzata americana, e cominciò a insegnare nei più prestigiosi Campus.


Il suo libro più conosciuto è senza dubbio “La banalità del male”. Pubblicato nel 1963, sulla scia di una serie di suoi articoli usciti sul New Yorker, il saggio prende le mosse dal processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista catturato nel 1960 e processato e condannato a morte l’anno seguente. Nel libro, come suggerisce il titolo stesso, la cronaca giudiziaria lascia presto il passo a una lucida e terrificante disamina della natura umana, del come spesso il male possa vestire abiti ordinari e mediocri.

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