domenica 4 marzo 2012

Quando un recettore della serotonina impedisce lo "stand by"

 

Quasi fosse un interruttore che non si può mai spegnere, nella depressione non sembra esistere pace per il cervello; le persone depresse sembra non riescano mai a mandare il cervello in “stand by” rimanendo in uno stato di continua tensione, “come fossero sempre sul bordo del precipizio”
I ricercatori all’Università Medica di Vienna hanno, per la prima volta, studiato l’influenza del sistema serotoninergico sulla modalità di rete predefinita (DMN) nel cervello umano, e hanno scoperto che, nelle persone affette da depressione, l’effetto inbitorio del recettore 1A della serotonina è estremamente lieve.

Il gruppo di studiosi viennesi, coordinati da Siegfried Kasper, affermano che nei depressi non funziona bene il recettore cruciale per raggiungere uno stato di calma interiore – la sensazione di tranquillità che si prova quando non si deve far nulla. In quei momenti la mente vaga e spesso si parla dei cosiddetti sogni a occhi aperti.
In particolare, affermano, il motivo per cui questo accade è lagato al fatto che nel cervello delle persone depresse non si attiva adeguatamente questa modalità di default - che si potrebbe paragonare a quella dei computer o elettrodomestici - in quanto è disfunzionale il recettore 1A della serotonina - il ricettore del buon umore. Questo recettore, che in condizioni normali ha un potente effetto inibitorio che permette lo stato di “stand by” cerebrale, nel cervello dei depressi ha un effetto notevolmente ridotto.
Ciò significa, secondo Siegfried Kasper, capo del Dipartimento di Psichiatria e Psicoterapia dell’Università di Vienna, che i pazienti affetti da depressione “non sono virtualmente mai capaci di essere calmi mentalmente”.
Le regioni del cervello nella modalità di rete predefinita (DMN o Default Mode Network), che è anche chiamato il default state network, sono attive solo quando non si sta svolgendo una particolare attività: in pratica quando la mente vaga, il cervello si riposa, fino alla calma interiore. Il recettore 1A della serotonina riveste un ruolo molto importante in questo processo. La calma interiore può essere raggiunta solo quando adeguatamente stimolata. Nelle persone depresse questo meccanismo sembra essere impedito determinando stati d’ansia e ruminazioni continue.
La conclusione, secondo gli autori dello studio, è che non potendo mandare il cervello in “stand by” si rimane in uno stato di perenne tensione.
Lo studio, condotto da Andreas Hahn del Dipartimento di Psichiatria e Psicoterapia è stato appena pubblicato sulla rinomata rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Accanto al dottorando Andreas Hahn, assistito da Rupert Lanzenberger, ha visto la collaborazione di numerosi scienziati dell’Università viennese, quali Wolfgang Wadsak e Markus Mitterhauser afferenti al Dipartimento di Medicina Nucleare e Christian Windischberger del Centre for Medical Physics and Biomedical Technology (centro di eccellenza della MRI).
“La scoperta apre a nuove opportunità per la ricerca e il trattamento di condizioni psichiatriche quali depressione, schizophrenia e ansia a un livello molecolare”, ha affermato Kasper. Ciò pone le basi per lo sviluppo di farmaci effettivi che aiutino a sviluppare l’influenza del recettore 1A della serotonina sul processo di “stand by” del cervello.
Già nel recente passato, in uno studio pubblicato su Current Alzheimer Research, Lory Beason-Held, direttrice del Laboratorio di Neuroscienze Comportamentali del National Institute of Aging americano, aveva riportato cambiamenti nella maggior parte dei componenti della DMN, in particolare nel cingolo mediale frontale/anteriore e nelle regioni cingolato posteriore e precuneo. “Gli individui affetti da malattie legate all’età come il decadimento cognitivo lieve (MCI) e la malattia di Alzheimer (AD) dimostrano alterazioni aggiuntive relative in particolare al cingolo posteriore/precuneo e alle regioni dell’ippocampo. Poiché queste regioni sono aree di cui sono note sia le modificazioni patologiche che quelle dell’invecchiamento normale, esaminando l’attività della DMN si potrà studiare più approfonditamente la relazione tra patologia e la funzione di queste regioni” concludeva l’autrice.

 

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