lunedì 26 gennaio 2015

da Repubblica - Scienze

L'essere umano è meno crudele di quanto si creda? L'esperimento Milgram riveduto e corretto


Un'équipe di sociologi e psicologi statunitensi ha rianalizzato i dati dello studio del 1963 per indagare la crudeltà dell'essere umano. E ha scoperto qualcosa di inaspettato
di SANDRO IANNACCONE


È STATO uno degli esperimenti più controversi e scioccanti nella storia della psicologia sociale. Lo ha ideato e condotto lo scienziato statunitense Stanley Milgram nel 1963, all'indomani del processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann. Scopo: capire se e quanto fosse credibile la giustificazione addotta dai torturatori dei lager, che sostenevano di essersi limitati a "eseguire ordini dei propri superiori". Ovvero, in ultima analisi: comprendere fino a che punto l'autorità possa plagiare la scala dei valori degli esseri umani, trasformando persone comuni in aguzzini spietati e senza scrupoli. I risultati dell'esperimento sembrarono mostrare che, purtroppo, l'umanità è intrinsecamente crudele. O, più precisamente, disposta a comportarsi in modo crudele sotto stimoli opportuni. Ma oggi un esame approfondito dei dati raccolti da Milgram, condotto dal ricercatore Matthew Hollander della University of Wisconsin e pubblicato sul British Journal of Social Psychology, cambia - almeno parzialmente - le conclusioni originali. E svela una strategia per mettere a tacere quello che Hollander stesso definisce il "lato oscuro" dell'umanità.
Facciamo un passo indietro. Per studiare il fenomeno della cosiddetta "obbedienza distruttiva", Milgram reclutò 40 uomini di età compresa tra 20 e 50 anni, di diversa estrazione sociale, comunicando loro che avrebbero partecipato a un esperimento su memoria e apprendimento. I partecipanti alla prova erano chiamati a insegnare degli abbinamenti di parole a uno o più "allievi" e successivamente a interrogarli su quello che avevano appreso. Gli "insegnanti" avevano a disposizione una pulsantiera con venti interruttori, azionando i quali potevano infliggere all'allievo una scossa elettrica variabile tra 15 volt ("molto leggera", che avevano sperimentato su se stessi prima dell'inizio dell'esperimento) e 450 volt ("molto pericolosa"). Erano affiancati da un esperto che li persuadeva, con varie formule precedentemente preparate da Milgram ("L'esperimento richiede che lei continui", "Non ha altra scelta, deve proseguire"), ad andare avanti con le punizioni, nonostante lamenti e grida degli allievi. Questi ultimi, in realtà, erano complici di Milgram e non ricevevano alcuna scossa: si trattava di attori istruiti per simulare dolore fisico e suppliche di misericordia.
Due terzi degli "insegnanti", comunque, somministrarono scosse elettriche fino a 450 volt, incuranti del fatto che gli allievi sembrassero nel frattempo svenuti per il dolore. Solo alla fine dell'esperimento i partecipanti vennero informati che si era trattata di una messinscena. "L'autorità ha avuto la meglio", scriveva Milgram nel 1974, "contro gli imperativi morali dei soggetti partecipanti, che imponevano loro di non far del male al prossimo. La gente comune può diventare così parte attiva di un processo distruttivo terribile: sono pochissime le persone che hanno le risorse necessarie per resistere all'autorità".
Uno scenario tutt'altro che confortante, sconfessato almeno parzialmente dal nuovo studio di Hollander: "Milgram non ha tenuto conto delle sfumature nelle risposte dei partecipanti", sostiene, "dividendoli semplicemente in 'obbedientì e 'disobbedienti'". Lo psicologo ha esaminato attentamente le registrazioni audio dell'esperimento, analizzando le risposte dei partecipanti allo studio e scoprendo sei modi diversi con cui i soggetti resistevano (o almeno cercavano di resistere) all'autorità di chi voleva convincerli a continuare con le punizioni. "In effetti", continua Hollander, "la maggioranza di essi crollava, rispettando gli ordini. Ma un buon numero di persone ha resistito, usando le stesse modalità di resistenza verbale di chi, alla fine, ha ceduto".

Tra le "modalità di resistenza" di cui parla lo scienziato ci sarebbero le cosiddette "strategie di stallo", come parlare all'allievo o all'amministratore dell'esperimento, e soprattutto il metodo stop try, che consiste nel dichiarare esplicitamente di non avere intenzione di continuare con la prova. "Questo dimostra", spiega Hollander, "che anche i partecipanti classificati come 'obbedienti' da Milgram lo hanno fatto solo dopo aver tentato diverse strategie di resistenza. Certo, hanno resistito meno dei soggetti 'disobbedienti', ma lo studio di queste differenze potrebbe essere cruciale per elaborare strategie più generali per la resistenza all'autorità e la prevenzione di comportamenti illegali o non etici".


Se addestrati bene, insomma, potremmo diventare un po' meno inclini ad accettare passivamente l'imposizione della crudeltà. Una questione molto più attuale di quel che si potrebbe pensare: "Non bisogna scomodare casi storici tristemente famosi come l'Olocausto, le torture nella prigione di Abu Grahib o i metodi di interrogatorio della Cia", commenta Douglas Manyard, docente di sociologia alla University of Wisconsin, non coinvolto nello studio. "Basta pensare, per esempio, a pilota e copilota di un aeroplano in una situazione di emergenza o al preside di una scuola che impone a un insegnante di punire un allievo: un subalterno rispettoso dell'autorità ma disobbediente quando eticamente necessario potrebbe fare la differenza".

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