sabato 18 gennaio 2014

Psicoenergetica...Peter Schellenbaum

Psicoenergetica



Intervista con Peter Schellenbaum



Peter Shellenbaum è uno psicanalista junghiano. Lavora a Zurigo, Berlino, Amburgo e Francoforte. Cura i suoi pazienti con la “psicoenergetica”, un metodo che lui stesso ha messo a punto. Per scoprirlo si è fatto persino prete, per otto anni. “Seguivo le tracce della psicoenergetica fin da bambino”, racconta. “Da quando ho avuto la mia prima esperienza di energia vitale, a sette anni”. Adesso Schellenbaum ha un’età indefinita: forse quarant’anni, forse piü di cinquanta. Si muove e parla con l’esuberanza di un’adolescente. La stessa esuberanza che trabocca dal suo libro, in cui ha riunito interpretazioni di sogni e dialoghi con i pazienti, riflessioni filosofiche, visioni mistiche. E, soprattutto, tante storie tratte dalla sua stessa vita. Tutto cominciò quando Peter Schellenbaum aveva sette anni: “Era una calda giornata estiva, tornavo da scuola a piedi scalzi. Era l’ora di pranzo. Dall’asfalto nero appena gettato, cedevole sotto i miei piedi, saliva un vapore tremulo. Ricordo il grande silenzio e le rapidissime vibrazioni dell’aria surriscaldata. D’un tratto fui invaso da un senso di intima, intensa gioia. Era più che felicitä, era il piü profondo realismo possibile. Mi fermai, per assaporare al meglio i brividi dolci che mi attraversavano il corpo. Era come se una sottile pioggia elettrica stesse scorrendo dentro di me. Rimasi immobile come il sole, che era al massimo del suo fulgore. I miei genitori, la scuola perdevano colore per la prima volta nella mia vita e si relativizzavano. Si era ormai stabilito un vibrante legame, che mi univa al tutto in quel momento e in quel luogo. Da allora, ogni volta che asfaltano una strada, mi fermo sempre e assaporo l’odore del catrame ancora caldo. Alcuni la chiamano esprienza mistica. Schellenbaum l’ha ripetuta altre volte. A diciotto anni gli capitò nella campagna di fronte ad Assisi: “Le foglie di ulivo scricchiolavano secche a un ritmo rapido, troppo rapido per potervi stare al passo. L’aria pemeva di calore e regnava un silenzio carico di tensione. E d’un tratto tutto questo ed io fummo un unico grande evento, fatto di intensitä che si autogeneravano. Non capivo cosa mi stesse accadendo e piansi, provando un senso di liberazione. Quel giorno decisi che sarei diventato un prete cattolico. Rimase prete per otto anni. Un giorno, mentre teneva un seminario sulla Bibbia a Monaco di Baviera, entrò in aula una ragazza che lo colpi. «Decisi immediatamente che volevo una situazione chiara, aperta, senza ambiguitä. C’erano tanti colleghi preti che portavano avanti storie ambivalenti. Tra di noi se ne parlava. Io volevo sposarmi. Ottenne dalla Chiesa la riduzione ‘allo stato laico e il permesso di convolare a nozze. Cominciò a studiare psicanalisi all’istituto Jung di Zurigo. Una volta diventato terapeuta, si rese conto che quasi tutti i pazienti avevano un problema fondamentale, che c’era una frase particolarrnente dolorosa, difficile da pronunciare: «Io non sono amato. «Notai che questi pazienti mancavano cornpletamente del senso di se stessi, continua Schellenbaum. «Non si “sentivano” veramente, stavano male nel loro corpo, nelle loro emozioni. Non amavano se stessi; per questo non erano amati neppure dagli altri. Bisognava riportarli a “sentire” veramente la gioia e il dolore, l’esuberanza e la sessualità. Mi sono ricordato di quei momenti magici che avevo vissuto, quelle esperienze di energia vitale. Una volta arrivavano a tratti, incontrollate. Adesso sapevo corne ricrearle, come trasformarle in un nuovo sentimento vitale. Il metodo e spiegato chiaramente nel libro. Passa attraverso quattro fasi. Sono le fasi della terapia che l’analista applica anche ai pazienti nel suo studio. «Lo scopo della terapia, sostiene infatti Schellenbaum, «é di riportare nel corpo il dolore di non essere amati per potersene liberare. La. prima fase consiste nel chiarire quelle forme di occultamento mediante le quali cerchiamo di allontanare questo dolore da noi. Schellenbaum le chiama «giochi del non amore ne indica otto. «Ma ce ne sono a centinaia, aggiunge. «E importantissimo, l’inizio dell’analisi, determinare esattamente il proprio “gioco del non amore”. Assicura che tutti ne abbiamo uno. Ecco i piü diffusi: “Ancora la persona sbagliata”, “pur di essere amato”, “non credo che tu mi ami”, “non mi ami mai abbastanza”, sempre un po’ troppo tardi”. Anche Schellenbaum, assicura, ha il suo: si chiama “Io ti amo! Amami anche tu!”. «Si e manifestato soprattutto all’inizio del rapporto con mia moglie, racconta. «Un gioco che mostra una latente aggressivitä. Io amo, faccio pesare questo e voglio, e pretendo, che questo amore sia ricambiato. Il secondo passo é comprendere come nasce questo sentimerito del “non amore”. Spiega Schellenbaum che, all’origine di questa “ferita, c’é un’esperienza amorosa o sentimentale traumatica, vissuta rnagari nell’infanzia e in un rapporto difficile con i genitori. Per potersene liberare è necessario riviverla. Questa sarebbe la terza fase, quella del “sentire”. Nella quarta ed ultima fase, si arriva alla “liberazione”. A questo punto Schellenbaum ha messo a punto un’altra tecnica, che chiama “il massaggio del gatto”. “E una specie di massaggio mentale. Consiste nel sentire come l’energia si muove nel proprio corpo. Molta gente, quando sente disagio, l’allontana. Io invece dico: resta nel profondo del dolore tutto il tempo che ci vuole, perché questo dolore cambi e se ne vada. Basta abbandonarsi alle proprie emozioni, per guarire, Perché ciascuno sa ciò che gli fa bene”

Lauretta Colonnelli







Un suo libro molto interessante per le nostre riflessioni filosofiche è "La Ferita dei non amati" ed. Red, un testo che mi ha colpita e aiutata nella formazione professionale. Lei afferma che certe ferite dell’anima dovute al non essere stati amati durante l’infanzia lasciano delle cicatrici che tornano a sanguinare ogni volta io re-incontro il non amore
Se qualcuno, se io, se lei, scegliamo una persona come partner ci sono due aspetti: uno regressivo ed uno progressivo. L’aspetto regressivo tende a ripetere, come dice Freud con la coazione a ripetere, gli stessi modelli. Ma c’è anche l’aspetto progressivo che corrisponde un po’ alla teoria di Jung, cioè il desiderio profondo di salvarsi, di uscire da questa coazione e uscire da quella vecchia ferita.

Nel libro afferma che anche se si supera tutto, rimane sempre una ferita e quando si viene a contatto con il non amore, una sofferenza, seppur minima, c’è sempre.

Però può diventare una forza per aiutare l’altro e se stessi. Come dice Jung, in un complesso c’è tanta energia quindi può diventare una forza per andare avanti.

Però se si comprende questa cosa, altrimenti diventa un limite. Se si elabora il significato della ferita, essa diventa una forza propulsiva, altrimenti se rimane chiusa dentro di sé diventa un limite.

Quando è sana l’aggressività è una difesa

Sì, certo

Il sogno è anche un racconto autobiografico, non tutti i sogni hanno un profondo contenuto simbolico e inconscio. Credo sia importante anche il primo livello del sogno come racconto di sé. Cosa ne pensa?

Io non passo subito al livello simbolico, rimango concreto, realista, faccio raccontare il sogno più volte senza subito interpretare. Il sogno racconta la nostra vita, è vero. Quando da questo punto di vista non c’è più nulla da dire allora possiamo parlare del simbolico, faccio molta attenzione anche ai gesti, al modo di muoversi, metto in scena il sogno. Ogni tanto in un gruppo drammatizzo, però è molto raro che all’inizio dia dei commenti, faccio vivere il sogno e il valore simbolico entra da solo

Credo che con questo procedimento una persona riesca a raggiungere l’inconscio anche un po’ autonomamente.

Proprio di questo si tratta, lo raggiunge da solo

Molti si chiedono perché ci deve essere qualcuno che interpreti i sogni.

Infatti, così procedendo il paziente è il regista ed io sono l’aiuto regista. Per me il paziente è il regista. È un lavoro artistico, infatti lavoro con molti artisti

Questo suo modo di muoversi si incontra con la filosofia e soprattutto con l’arte maieutica di Socrate che con il suo dire “Hai già tutto dentro di te” voleva intendere “Recupera ciò che hai dentro e fallo uscire”. Cosa ne pensa?

La filosofia di Socrate fa uscire tramite domande, domande, domande

La psicoanalisi è nata con Freud, ma secondo lei non si è ispirato un po' a Socrate?

Sì, senz’altro. Lo dice esplicitamente anche Jung. Le domande di Socrate sono quelle che non danno teorie all’altro. Certo le domande possono manipolare un po’ e qui si giunge all’etica.

Cos’è per lei l’etica professionale?

Il rispetto dell’altro. Esistono tante correnti terapeutiche che possono manipolare. Ci sono tecniche per manipolare l’altro, io lavoro molto con i gesti. Consapevolmente imitando i gesti dell’altro si può imporre se stessi, il proprio pensiero per scopi personali. Questo è abuso.

Come le è nata l’idea di fondare l’Istituto di Psicoenergetica?

È nata anche perché ho sentito che in me stesso c’era energia bloccata. Nel 1985 sono stato molto malato e non mi sono accorto del sopraggiungere della malattia, come mai non mi sono accorto? Sono andato avanti senza ascoltare i segnali molto chiari del mio corpo, allora dopo essermi ripreso ho prestato attenzione ai miei segnali e a quelli degli altri. Ad esempio gesti di aggressione e autoaffermazione prima mi davano piuttosto fastidio, oppure i piedi che quando sei seduto si muovevano come se volessero camminare: mi davano fastidio. A poco a poco ho lavorato su questo

Il corpo parla

E bisogna sentirlo

La perdita del contatto col corpo è dovuta alla civilizzazione, al vivere di oggi molto legato alla tecnologia?

Ho l’impressione che in questi ultimi anni anche a causa di internet in tutti i ragazzi il contatto col corpo sia peggiorato


Nessun commento:

Posta un commento