venerdì 28 febbraio 2014

Psicologia e dintorni...



L’anestesia del cuore: l’alessitimia come patologia delle emozioni?!
(da psicodialogando)

In alcuni casi l’incapacità di esprimere una propria emozione, soprattutto se si parla d’amore, è strettamente influenzata dalla paura e da una mancanza di coraggio. A volte, però, essa rappresenta una manifestazione di una patologia che impedisce l’uomo di verbalizzare il proprio vissuto emotivo. L’alessitimia (o alexitimia)  raggruppa un insieme di deficit della competenza emozionale ed emotiva, mostrato dall’incapacità di percepire, riconoscere, mentalizzare (pensare ai sentimenti) e descrivere verbalmente i propri e gli stati altrui.  Il termine “alessitimia” deriva dal greco“a”, per mancanza,“lexis”, per parola e “thymos”, per emozione; letteralmente “man-canza di parole per le emozioni”, ed indica una sorta di “analfabetismo emozio-nale”.  Attualmente essa  viene definita  anche come possibile deficit della funzione riflessiva del sé.

La persona che presenta sintomi di alessitimia non è in grado di esprimere le proprie emozioni e di empatizzare con gli altri, inoltre, non sa discriminare le proprie emozioni. La capacità di dare un nome ai propri sentimenti viene meno in quanto le persone affette non hanno sviluppato una capacità simbolica tale da saper utilizzare le parole rappresentative di un sentimento. Il parlare spesso viene sostituito con l’azione fisica diretta  data, a volte, dalla scarsa disposizione a provare emozioni positive come la gioia, felicità ed amore. L’emozione vissuta per via somatica e senza elaborazione mentale,  non viene concettualizzata.

Data l’incapacità di esternare l’emotività, le espressioni facciali, di conseguenza, si presentano rigide e povere, perciò si utilizza spesso un’imitazione sociale. È raro, se non impossibile, che l’alessitimico senta il bisogno di chiedere conforto ad una persona esterna in quanto  vi è una difficoltà nel comunicare il proprio disagio emotivo. L’empatia rappresenta un limite negli alessitimici, in quanto non è sviluppata abbastanza, impedendo la costituzione di rapporti di intimità. Gli alessitimici non sono persone empatiche, piuttosto disinteressate alla sofferenza, al vissuto emotivo di una persona. L’alessitimia è di recente scoperta, introdotta per la prima volta da John Nemiah e Peter Sifneos negli anni settanta per descrivere un insieme di caratteristiche di personalità nei pazienti psicosomatici, dove per psicosomatica s’intende quella branca della medicina che studia la connessione tra un disturbo somatico e la sua origine di natura psicologica. Nel 1976 alla XI°Conferenza Europea sulle Ricerche Psicosamitiche fu diffuso per la prima volta il termine di alessitimia[1]. Alcune variabili socioculturali e dinamiche familiari possono influire sullo sviluppo della patologia. Tra le possibili ipotesi correlate all’eziologia dell’alessitimia, si è considerato lo stile di attaccamento evitante-insicuro introdotto da Bowlby[2], distinto da un bisogno ossessivo di attenzioni e cure.  L’attaccamento è il legame che si istaura tra il bambino e la figura significativa della madre. La natura del rapporto, la presenza o meno di cure ed attenzioni, influenzerebbero le relazioni future che il bambino andrà a costruire in un futuro prossimo. Inoltre egli potrà o meno sviluppare delle caratteristiche di personalità legate, appunto, alla forma di attaccamento avuta. L’alessitimia potrebbe rappresentare una difesa contro un dolore psichico o un blocco della sfera affettiva causato da un trauma infantile. L’alessitimia può svilupparsi in seguito ad un grave trauma o malattie che portano ad uno stato di pericolo di vita (cancro, trapianto, dialisi). In questo caso la malattia rappresenta una conseguenza secondaria. Sono state suggerite ipotesi alternative alle probabili cause dell’alessitimia.

Secondo MacLeane, ad esempio, l’origine eziologica è spiegabile secondo l’ipotesi che le emozioni vengono incalanate direttamente negli organi corporei mediante vie neuroendocrine e autonome. Nemiah (1975,1977) ha individuato un difetto neurofisiologico che influenza la modulazione del corpo striato dell’input dal sistema limbico alla neocorteccia che provocherebbe l’alessitimia. L’emisfero coinvolto è quello destro oppure vi è  una mancanza di comunicazione interemisferica. La chiave di lettura della patologia è abbastanza complessa ed articolata in quanto essa può manifestarsi in correlazione a numerose condizioni psichiatriche come i disturbi dell’umore o disturbi d’ansia[3]. In questo caso si parla di comorbilità. Recentemente è stato scoperta l’associazione tra l’alessitimia e i disturbi alimentari.

Quest’ultimi non sono direttamente influenzati dall’incapacità di simbolizzazione emotiva, alcuni sintomi sono co-presenti in entrambi i casi. Le abbuffate, il vomito, le azioni collegate alla bulimia come l’abuso di sostanze e la cleptomania , vengono messe in atto per riempire un vuoto emozionale. Le persone dipendenti da droghe o alcool manifestano disregolazione affettiva correlata a depressione, rabbia, ad un collage di sentimenti dolorosi. Coloro che sperimentano droghe per un periodo prolungato, avranno come conseguenze modificazioni neurochimiche e strutturali del cervello per cui il disagio emozionale entrerà a far parte di un circolo vizioso. La correlazione tra alessitimia e depressione è data dalla somiglianza sintomatologica, per cui i soggetti affetti da disturbi dell’umore, come gli alessitimici, hanno difficoltà a creare relazioni intime. Infatti entrambi mostrano un’incapacità di trasformare in parole i propri sentimenti. Naturalmente a seconda della gravità della sintomatologia depressiva, l’alessitimia sarà un tratto comune e stabile della personalità. La freddezza delle emozioni nell’alessitimia può essere stimata quantitativamente mediante diverse scale di misura, la più celebre è il Toronto Alexithymia Scale a 20 items ( TAS-20) di Parker et al., 1993; Bagby et al ( 1994). Lo scopo dello strumento è valutare le difficoltà nell’identificare e verbalizzare i propri stati emotivi e la tendenza a non utilizzare le emozioni nelle proprie elaborazioni cognitive, preferendo informazioni relative all’ambiente esterno. Esso è uno strumento di autovalutazione in cui il soggetto deve indicare, su una scala da 0 a 5 punti, il proprio grado di accordo. L’intervento psicoterapeutico abbraccia le terapie focalizzate  sul riconoscimento e denominazione della sfera emotiva. La chiave di lettura delle terapie è di ordine supportivo, orientamento cognitivo o psicodinamico.

Risulta essere importante dare spazio all’educazione emotiva, per cui i pazienti impareranno gradualmente a dare un nome alle emozioni, a mentalizzare il proprio mondo interno. L’anestesia emotiva dei pazienti può migliorare, ma rimane auspicabile una maggiore attenzione su una patologia “giovane” creando tecniche di insegnamento. Spesso può presentarsi in maniera non patologica, ovvero è facile incontrare nella propria vita, persone  che non sono in grado di esternare i propri sentimenti. In tal caso bisognerebbe osservare se l’incapacità è data da una mancanza di coraggio (o assenza di sentimento). Se essa si presenta solo con alcune  persone, non si parla di alessitimia, bensì una caratteristica di personalità lontana dalla patologia!

Nessun commento:

Posta un commento