martedì 11 febbraio 2014

Psicologia e dintorni...



   
Disturbi schizoide e schizotipico di personalità
Di Mauro Billetta (larelazionechecura.it)

Incontriamo negli angoli delle nostre città persone che vivono ai margini e sovente conducono un’esistenza eccentrica e appartata, priva di significative relazioni sociali. Prendersi cura di una persona a cui è stato diagnosticato un disturbo schizoide o un disturbo schizotipico di personalità, non è cosa semplice. Diamo per assodato, secondo la nostra prospettiva, che il dare etichette diagnostiche può rivelarsi un rischio soprattutto nel caso di disturbi, come questi, che presentano sintomatologie sovrapponibili, ove il distinguo può essere colto solo da chi ha decennale esperienza clinica. Per focalizzare una cornice teorica ci rifacciamo ad autori autorevoli quali Glen Gabbard, Fairbairn, Khan, Winnicott, da cui si evince che il ritiro sociale di queste persone è frutto di ripetuti fallimenti nell'adottare difese di fronte a relazioni disfunzionali: il caso di figure genitoriali assenti o troppo presenti, cioè invasive. Forse si tratta di persone vissute in case con organizzazioni formali ed ordinate ma prive di colore. Lì il bambino ha colto aspettative limitate all’adempimento dei ruoli sociali di base e di conseguenza ha imparato a dedicarsi ad attività ordinate, rimanendo in silenzio e da solo, divenendo così una persona socializzata ma non socievole. Inoltre potrebbe essersi verificata una richiesta eccessiva come ad esempio la responsabilità nel prendersi cura della casa in modo da fare stare bene i genitori. Il bambino così ha imparato che ha un potere smisurato che può essere distruttivo se non usato diligentemente e, perciò, un potere che può evitare i risultati negativi.
      La personalità schizoide sperimenta una profonda sofferenza a motivo della difficoltà a socializzare; il desiderio relazionale, la passione ed i sentimenti per l’altro sono congelati sul piano evolutivo ad un precoce stadio di crescita. Con tutta probabilità ha sperimentato una frustrazione del bisogno di accudimento, tale da convincersi che non potrà ricevere tale soddisfazione da nessun’altra relazione seppur significativa. Vive perciò una conflitto interno tra polarità opposte, espressione di una scissione o frammentazione del Sé in diverse rappresentazioni che non sono state integrate. Per cui sperimenta un diffusione di identità, la persona non sa chi è e nell’avvicinarsi all’altro vive il timore di esserne assorbito, mentre stando a distanza teme di potere perdere totalmente l’altro.

      È da notare che tale personalità non presenta ansia che potrebbe denunziare tale conflitto tra desiderio e timore del rapporto, invece manifesta un senso di distacco. Non riesce a coinvolgere affettivamente né a coinvolgersi procurandosi così un fallimento maturativo secondario.
      Winnicott afferma che il ritiro schizoide è un modo da parte della persona per comunicare con il suo vero Sé: questo fa esperienza del rifiuto da parte dell’oggetto buono, ma proprio questa esperienza è l’unico modo per rimanere in contatto con l’oggetto buono.
      Questa personalità utilizza le fantasie onnipotenti come un “rifugio dall’esposizione”, cioè custodisce la rappresentazione interna del Sé minacciata dalla disistima e dall’ansia di disintegrazione attraverso frequenti fantasie onnipotenti che aumentano proprio quando diminuisce l’autostima.
      Fantasia di Cappuccetto Rosso:  esperienza di rifiuto da parte della madre – ritiro del bambino – nel bambino cresce il bisogno della madre fino a divenire insaziabile – il b. ha paura delle sue pulsioni perché possono divorare la m. lasciandolo nuovamente solo. Perciò il b. proietta la propria avidità orale fantasticando il lupo cattivo.
Come sopperire al fallimento maturativo primario che puntualmente viene rinforzato da fallimenti maturativi secondari dovuti alla distanza che la persona provoca rifiutando l’ambiente circostante?
Mentre nel disturbo schizoide non si riscontrano stranezze nel linguaggio e nel comportamento, la personalità schizotipica condivide con la personalità borderline esperienze cognitive e percettive insolite.
     IL DSM IV –TR classifica questi disturbi all’interno del Cluster    “strano eccentrico” insieme al Disturbo paranoide. In particolare delinea i seguenti indici per il disturbo schizoide:
• restringimento dell’orizzonte socio – relazionale
• diminuita capacità di esprimere emozioni in una dimensione interpersonale
• non desidera partecipare a rapporti di intimità né a livello amicale, né a livello familiare
• tendenza all’isolamento
• attività svolte in solitudine
• tempo libero in solitudine
• scarsa propensione all’Incontro, allo scambio, alla condivisione
• ripercussioni sulla vita sessuale
• affettività appiattita, fredda distaccata indifferente

 mentre per i disturbo schizotipico:

• estremo disagio nelle relazioni intime e ridotta capacità di affrontarle
• distorsioni cognitive e percettive
• comportamento eccentrico
• presenza di credenze insolite, pensiero magico che si ripercuote nel comportamento
• il linguaggio presenta stranezze
• anche il pensiero e il comportamento sono strani e bizzarri

Riassumendo:
La personalità schizoide presenta distacco e freddezza. Si ipotizza un attaccamento evitante e passivo a motivo di un insoddisfacente e disfunzionale modello di attaccamento (madre evitante, famiglia formale e fredda, l’educazione è un faticoso dovere).
La personalità schizotipica presenta distacco e bizzarria. Si ipotizza un attaccamento evitante/disorganizzato. Il modello di attaccamento appare incoerente e caotico, mostra nel suo comportamento quello che di fatto punisce nel bambino. La bizzarria pertanto diventa per il figlio un modo per affermare la propria soggettività e comunque procurarsi “vicinanza”. Un modo per reagire alla ingiunzione: Non esistere.

 Al terapeuta viene chiesto di accettare un silenzio non relazionale. È paradossale se si pensa che compito terapeutico è proprio quello di favorire una relazione, nel caso specifico, integrando parti che rimangono scisse o proiettate.  Si potrebbe trovare di fronte ad una pretesa onnipotenza autistica, ove l’interlocutore chiede l’assenza del terapeuta, o meglio il dare spazio allargando la propria capacità di contenimento. Infatti è improprio parlare di assenza terapeutica si tratta invece di un profondo desiderio di relazione che il terapeuta deve imparare a sostenere attraverso un rispecchiamento empatico, certo non interpretativo. La persona che il terapeuta avrà di fronte è un individuo che ha fatto un'esperienza relazionale in cui l'altro è stato assente, e forse ha preteso di essere magicamente compreso nelle sue intenzioni, oppure è stato presente in modo invasivo e controllante. E' mancata l'esperienza di rispecchiamento, di insegnamento elementare delle quotidiane cose della vita dove un genitore pazientemente risponde alle domande del proprio bambino suscitando il suo interesse e la sua fiducia.

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