sabato 1 dicembre 2012

Da "Le Scienze"



Quando il cervello impara

Una recente ricerca getta nuova luce sui cambiamenti che avvengono nel nostro cervello nel corso dell’apprendimento e mette in dubbio la relazione tra il miglioramento di un'abilità e l'aumento delle dimensioni delle aree cerebrali legate a quella abilità di Jason Castro

Con l'età e l'esperienza, ognuno di noi diventa un conoscitore esperto di qualcosa. E quale che sia la capacità di sentire, vedere o gustare in modo più sottile dei meno esperti è scritta nel nostro cervello. Ma dove, e come?

Una linea di ricerca ormai classica ha affrontato questa domanda mappando i cambiamenti dell'organizzazione cerebrale dovuti a intense e prolungate esperienze sensoriali. Molti di questi studi confermano un modello di apprendimento che collima abbastanza con le nostre intuizioni: le parti del cervello dedicate alle singole abilità sensoriali (sentire il Do centrale del pianoforte, o percepire il relativo tasto sotto il polpastrello del pollice) si ingrandiscono quando queste abilità sono ripetutamente chiamate in causa. O, per dirla rozzamente: l'esercizio ingrossa la parte, e più grossa significa migliore.

Oppure no? Un recente studio, pubblicato su "Neuron" rimette in dubbio questa relazione tra aumento delle dimensioni e miglioramento delle abilità. Studiando la corteccia uditiva dei ratti, i ricercatori hanno trovato che l'espansione dovuta all'addestramento della regione cerebrale legata a una certa abilità è di breve durata, anche quando questa maggiore abilità dura nel tempo. Invece di funzionare come per i muscoli, in cui l'allenamento fa crescere le dimensioni e le maggiori dimensioni danno migliori prestazioni, l'apprendimento sembra comportare anche una massiccia attività di potatura.

Ridisegnare la mappa
La corteccia cerebrale uditiva è un tessuto largamente uniforme. Funzionalmente, però, somiglia di più a un mosaico di territori neurali distinti, ciascuno dei quali "sente" solo una gamma limitata di frequenze sonore. Immaginando di proiettare la corteccia uditiva sulla mappa degli Stati Uniti, è come se le note di bassa frequenza fossero elaborate preferenzialmente in California, quelle acute a New York, e le note intermedie nello spazio tra l'una e l'altra.

Una delle grandi scoperte delle neu­roscienze degli scorsi decenni è che i confini che suddividono la mappa uditiva (come molte altre mappe sensoriali) dopo l'addestramento risultano ridisegnati. In particolare, gli studi di Michael Merzenich hanno rivelato che se si addestrano delle scimmie a operare difficili discriminazioni sonore  -  diciamo tra due note di bassa frequenza assai vicine tra loro  -  le regioni dedicate alle basse frequenze della mappa corticale uditiva diventano più vaste. Una serie di altri studi ha preso l'avvio da questa idea di base, e si è visto che bloccando l'espansione corticale si blocca anche l'apprendimento, e che spesso una maggiore espansione è correlata a un apprendimento migliore. Espansione corticale e apprendimento di nuove abilità sembravano dunque profondamente intrecciati.

Eppure, alcuni aspetti di questa teoria hanno provocato un certo scetticismo. Per imparare qualcosa serve davvero un così vasto rimodellamento della corteccia cerebrale? E come facciamo a mantenere un gran numero di abilità diverse visto che lo spazio per memorizzarle è limitato? Non dovrebbe venire un momento in cui le cose nuove devono cancellare le vecchie e prenderne il posto?

Per affrontare questi problemi, Michael P. Kilgard, della University of Texas a Dallas, e colleghi, hanno sottoposto la teo­ria delle dimensioni a una nuova verifica nei ratti. Invece di modificare la mappa della corteccia uditiva mediante addestramento, hanno cercato di ristrutturarla per via diretta. Sono così riusciti a isolare la questione delle dimensioni della mappa nell'apprendimento: se si fa in modo che una mappa sensoriale diventi semplicemente più vasta, senza altri cambiamenti, che cosa si guadagna in termini di prestazioni?

Nessun commento:

Posta un commento