lunedì 7 maggio 2012

L’importanza di chiamarsi “maestro”



di Aida Dattola
               
In un mondo in rapida evoluzione è normale che anche certe parole vengano fagocitate dai processi innovativi ed accantonate come “desuete”. Dov’era finito il maestro di quella che, in un tempo non tanto lontano, si chiamava scuola elementare? Soppiantato dalla nuova figura del docente, cioè di colui che insegna…Eppure è bastato un recente decreto ministeriale per farlo tornare alla ribalta e per animare un acceso dibattito sulle future prospettive della scuola legate alla sua “riesumazione”.
L’explicatio terminorum è fondamentale per ridefinirne ruolo e professionalità: analizzando l’etimologia del termine “maestro” dovremmo, noi che apparteniamo alla categoria, sentirci orgogliosi di esserlo. “Maestro” deriva, infatti, dal latino “magister” (da magis, di più); in ebraico maestro è “rabbi”, che significa “grande” ed in sanscrito “guru”, pesante di dignità e prestigio…
Il maestro è, dunque, colui che guida, spiana il cammino; un compito delicato il suo, caratterizzato dalla piena condivisione di ciò che insegna. Il vero maestro, infatti, è colui che dapprima cerca di migliorare se stesso e poi indirizza il proprio intervento sugli altri.
La storia della pedagogia ci insegna che i veri maestri sono coloro che sanno instaurare un rapporto relazionale significativo con l’alunno e rappresentano per lui un valido modello di riferimento. Per essere maestri occorre, quindi, avere un ideale di vita e, attraverso l’insegnamento e l’esempio, produrre nell’alunno il desiderio di condividerlo. Perché nessun maestro può imporre, ma nel rispetto della libertà individuale, deve solo condurre per mano l’allievo sui sentieri della vita, indirizzare e non coercizzare, condividere e non imporre. Il maestro unico, che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della scuola italiana, oggi ritorna, ma, a mio avviso, non può essere considerato un nostalgico ricordo del passato: gli si deve restituire la dignità e la professionalità che ha sempre avuto e perché ciò sia possibile è necessario che siano chiare le mete da raggiungere, tenendo conto delle mutate esigenze sociali e, soprattutto, delle richieste educative, urgenti, del bambino.
Chi vive nella scuola e viene a contatto con un’infanzia sempre più problematica e indifesa comprende i cambiamenti che si sono verificati e sa che il modo di “fare scuola “ non può essere simile a quello del passato. Una scuola al passo con i tempi deve necessariamente considerare che, accanto ai cosiddetti “saperi tradizionali”sono necessari lo studio delle lingue, dell’informatica e delle scienze, che l’educazione civica deve avere un ruolo determinante per formare “persone”capaci di vivere in modo positivo nella società e che il sapere non può essere disgiunto dal “saper fare”…
Per garantire percorsi formativi idonei non è più sufficiente il maestro unico “tuttologo”: occorre affiancargli i cosiddetti “specialisti”, che mettano al servizio dell’alunno le loro specifiche competenze. La scuola del “leggere, scrivere e far di conto”, delineata dai programmi del 1955, era valida per quella società ed è lapalissiano affermare che in mezzo secolo di storia la ricerca pedagogico-didattica ha raggiunto nuove acquisizioni. Questo non significa negare la validità del maestro unico, soprattutto nelle prime classi: se ben preparato, egli consente quel processo di identificazione necessario ai bambini per cominciare a rispettare delle regole e per sentirsi affettivamente protetti.
Sono convinta che i maestri che possono fregiarsi di tale titolo esistono ancora e che, anzi, oggi più che mai sono in grado di incidere positivamente sulla formazione della personalità dei bambini. Fondamentale è sempre la relazione educativa e la trasmissione del cosiddetto “curricolo implicito”, che è il patrimonio personale di ogni insegnante, più o meno inconsciamente proposto agli alunni. Vivere il mondo della scuola con passione, cercando di tenere ben saldi i punti cardine del proprio operare, è la premessa indispensabile per sentirsi maestri a pieno titolo. Avvertire l’entusiasmo del coinvolgimento, la consapevolezza che spesso i bambini ti guardano per scrutare il tuo comportamento e tu non puoi tradirli perché faresti del male a te stesso e a loro; comprendere che anche una parola fuori posto può ferire un alunno ed aver coscienza del fatto che nelle gioie e nelle fatiche di ogni giorno di scuola si realizza un incontro tra anime: questi sono i nostri delicati ed autorevoli compiti. Rappresentiamo dei modelli di riferimento e non dobbiamo mai dimenticarlo: è questa la grandezza del nostro ruolo e l’impegno che ci deve animare è quello di cercare di migliorare sempre noi stessi per rendere migliori i nostri alunni.
La fase critica che investe la nostra scuola rende necessaria una rivalutazione del ruolo insegnante: maestri si può diventare con l’impegno costante, la ricerca e soprattutto la chiarezza degli obiettivi che si vogliono perseguire. Le motivazioni pedagogiche che stanno alla base della rivalutazione del maestro unico non sono state, forse, opportunamente definite, ma chi ogni giorno si impegna nella scuola sa che le ripetute presunte innovazioni hanno demotivato tanti maestri.
Da maestra che opera nella scuola da più di vent’anni e che è nata come maestra unica per poi vivere tutte le novità nella scuola con l’entusiasmo della neofita e a volte la delusione per i risultati non corrispondenti alle aspettative, posso solo augurarmi che questo ritorno al passato sia vissuto alla luce delle esigenze dei bambini. Il nostro ruolo è determinante ai fini della formazione della personalità degli alunni e noi non possiamo prescindere dall’ascolto, dal rispetto dei tempi, dei ritmi e dei modi di apprendimento di ciascun alunno: garantire una presenza stabile è anche utile per creare un clima sociale positivo e disteso, nel quale sia data ad ognuno la possibilità di esprimersi e di sentirsi compreso. La scuola, per espletare al meglio il suo compito, ha bisogno di maestri che lo siano anche di vita, che aiutino il bambino a fare del sapere il mezzo per vivere meglio con se stessi e con gli altri, per costruire una società più giusta e più a misura d’uomo,sempre orientati da alti valori. Più è tempestivo l’intervento, più immediati saranno i risultati. I maestri della scuola elementare, non solo quella di deamicisiana memoria, ma anche quelli di più recente generazione (cito, fra tutti, il maestro Gianni Rodari) sono quelli che insegnano agli alunni a vivere semplicemente con il loro esempio e la loro gioia. Non dimentichiamo che i bambini, anche se sono cambiati, sono sempre bambini e riescono ancora a stupirsi e a fantasticare: non dobbiamo uccidere i loro sogni, la loro voglia di crescere e di imparare, di scoprire e di fare…non dobbiamo dimenticare che le loro tappe evolutive devono essere rispettate senza inutili “bombardamenti culturali”.
La scuola primaria è la scuola dell’accoglienza e del dialogo, dell’approccio al sapere intenzionale e motivato, della socializzazione e della creatività; ha bisogno di guide serene e motivate, che riaffermino la loro dignità nell’azione sinergica con le famiglie, che tanto più ci apprezzano quanto più siamo capaci di far comprendere la dignità del nostro ruolo e il rispetto per il nostro operato.
La storia è maestra di vita e ciò che di positivo ci ha offerto il passato deve essere rivisto alla luce dei cambiamenti sociali con gli opportuni adeguamenti, ma con la precisa consapevolezza che i bambini hanno bisogno di saldi punti di riferimento. L’importanza di chiamarsi “maestro” è, dunque, motivo di orgoglio per chi ancora crede in questo ruolo.



Autore: Aida Dattola, insegnante nella scuola primaria, laureata in Pedagogia.

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