mercoledì 25 aprile 2012

da Repubblica

Coi traumi cervello più pigro
e così dimentichiamo le cose

Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, dietro certi tipi di amnesia potrebbe nascondersi una ridotta attività cerebrale seguita a esperienze sconvolgenti. Una scoperta che suggerisce la possibilità di curare intervenendo su specifiche aree cerebrali. Gli esperti: "Ma la cura dipende dalla causa" di SARA FICOCELLI

"MEMORIA": una parola talmente chiara e compatta da far pensare a qualcosa di altrettanto lineare e unitario. Ma non è così. Non esiste "la" ma "le" memorie, tante quante le cause che scatenato i ricordi e le aree del cervello che quei ricordi li formano, conservandoli o cancellandoli. Tra le varie forme di amnesia (dal greco a-mnesis, non-ricordo), quella psicogena è una delle più misteriose, perché non provocata da alcuna lesione cerebrale palese. Si sapeva che a causarla fossero i traumi psicologici e ora, grazie a Hans Markowitsch, della tedesca University of Bielefeld, sappiamo anche che tutto ciò è dovuto a una riduzione dell'attività cerebrale. In alcuni casi, cioè, il cervello dimenticherebbe perché ha vissuto un'esperienza sconvolgente che ha portato il suo substrato neurale a "funzionare meno", e l'ipofunzionamento sarebbe mediato dall'azione degli ormoni dello stress.

La scoperta, pubblicata su The Lancet, suggerisce la possibilità di curare questo tipo di amnesia intervenendo su specifiche aree cerebrali, ma, precisano gli esperti, è ancora presto per giungere a conclusioni di questo tipo. Quel che è certo, spiega Markowitsch, è che i disturbi della memoria non sempre si verificano dopo un danno cerebrale: a provocarli può essere un disagio psichiatrico più profondo e, raccogliendo per 5 anni dati attraverso la risonanza magnetica funzionale, lo studioso ha capito che uno stress prolungato può influenzare il funzionamento della corteccia infero-laterale frontale destra tanto da "bloccare" il recupero dei ricordi personali. "Quest'area - spiega Elisa Ciaramelli del Centro studi e ricerche in Neuroscienze Cognitive di Cesena, specializzata in memoria episodica - è particolarmente importante per innescare ricordi autobiografici, ed in stretto contatto con altre regioni frontali coinvolte nell'attività di self-proiection, che permettono di "viaggiare nel tempo" e sentirsi gli attori dei propri ricordi. Quando funzionano male, il recupero dei ricordi autobiografici si blocca".

Non è la prima volta che lo studioso tedesco fa luce sui misteri dell'amnesia. Poco tempo fa si era occupato del rapporto tra memoria autobiografica, stress psicologico e disturbo post-traumatico, spiegando che, in particolari condizioni emozionali e ambientali (nel suo studio fa l'esempio estremo dei reduci della Seconda Guerra Mondiale), il cervello subisce un trauma talmente forte da "ristrutturare" i ricordi creando false memorie. Chi è stato in guerra o ha subìto un incidente stradale, dunque, non deve fidarsi di tutto ciò che ricorda delle proprie esperienze di vita: la memoria autobiografica, nei soggetti che hanno vissuto uno shock, è spesso soggetta a distorsioni e produce informazioni falsate.

"Questi fenomeni però non sono tutti uguali - spiega Piergiorgio Strata, docente di Neurofisiologia all'Università di Torino e presidente dell'Istituto Nazionale di Neuroscienze - e dipendono in parte dalla disposizione genetica del soggetto e in parte dalla durata del periodo traumatico, dall'età, dal sesso e dalle esperienze di vita precedenti. Tutto viene mediato dagli ormoni dello stress, liberati dal corpo per migliorare la capacità di affrontare situazioni altrimenti insopportabili". Quello dell'amnesia da stress post-traumatico è dunque un meccanismo complesso rispetto al quale c'è ancora molto da scoprire. "E di questo bisogna tenere conto, ad esempio - conclude l'esperto, che si è occupato della memoria pro-veritate difensiva per il caso dei coniugi di Erba, Olindo e Rosa - quando i testimoni oculari nei processi hanno subìto un trauma".

In questo come in altri casi, è però molto difficile parlare di cura. Come spiega Benedetto Sacchetti, docente di Basi neurofisiologiche del comportamento umano presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute dell'Università di Torino, per quanto la ricerca in questo campo stia facendo passi da gigante (scienziati dell'università di Harvard hanno scoperto che iniettando del propanolo subito dopo un evento traumatico si cancella il ricordo scioccante, esperimento poi criticato da Cristina Alberini, ricercatrice italiana che lavora a New York), la cura dipende sempre dalle cause, e quindi ogni caso ne avrà una specifica. "Ci sono poi situazioni - spiega Sacchetti - come nel caso di un danno cerebrale, in cui il ricordo si perde completamente, è irrecuperabile. Altre forme invece possono essere affrontate con la psicoterapia e altre ancora possono essere avvantaggiate dall'impiego di tecniche di allenamento della memoria".

La buona notizia infatti è questa: la memoria si può esercitare e dall'amnesia, salvo traumi psicologici e danni cerebrali, ci si può proteggere. Ecco il perché di libri come "101 modi per allenare la memoria" (Newton & Compton, 200 p.,12,50 euro) delle neuroscienziate Sara Bottiroli ed Elena Cavallini. Ed ecco perché, nel suo lavoro, Markowitsch insiste sull'importanza della psicoterapia, unica arma in grado di carpire le sfaccettature che compongono la memoria. Che non è un'unità ma un insieme di sistemi e che come tale va affrontata. "Il trattamento dell'amnesia e dei disturbi dei ricordi è ancora un mistero. Persino per me che studio tutto ciò da 30 anni", conclude. "La società dovrebbe investire più risorse per aiutare i pazienti. Con il mio lavoro ho dimostrato che non esiste un approccio unitario. E che quindi, per trovare una cura, ci sono infinite possibilità".

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