mercoledì 29 febbraio 2012

Psicologia: tra Freud e Jung


Non è facile orientarsi nelle varie psicologie per cui è importante riuscire a distinguere tra le scuole che, anche se si occupano sempre di psiche, partono da considerazioni diverse e da approcci che sono lontani tra loro sia nella sostanza che nella finalità ma, soprattutto, nella modalità di lavoro.
Per prima cosa possiamo partire dal comprendere bene la differenza che c’è tra psicologia e psicoanalisi che sovente vengono confuse.
Per psicologia si intende tutto ciò che riguarda la “psiche” che, come ben sappiamo traduce la parola “Anima”. Quindi, la psicologia è lo studio dell’anima dell’uomo e questo è un postulato che dovrebbe essere tenuto sempre presente in quanto oggi, si confonde spesso “psiche” con “mente-cervello” mentre invece sono due cose diversissime.
Infatti l’ANIMA è indubbiamente ciò che racchiude l’ESSENZA dell’uomo e non riguarda espressamente il suo cervello, la sua cognitività o i suoi comportamenti, ma è qualcosa di molto più grande: gli antichi consideravano l’anima il soffio vitale e, alcune culture la assimilavano al “principio divino”, quindi l’anima è qualcosa di estremamente difficile da individuare ma è sicuramente quell’istanza interna che rende possibile “dare significato” alle esperienze della vita anzi, forse è ciò che trasforma il vissuto in esperienza ma potrebbe essere anche quell’essenza che ci spinge a migliorarci, ad evolverci e a credere che vi possano essere possibilità per il mondo, anche laddove ci sono grandi difficoltà. E’ quel lato di noi che immagina, che elabora e che crea letteralmente nuove possibilità, qualcosa che ovviamente non è tangibile ma che dà costantemente prova di sé.
Oggi sarebbe molto più corretto parlare di “neuroscienze” che di “psicologia” in quanto, la maggior parte degli studi universitari sono orientati verso questo ramo e molto meno verso quello che i precursori pensavano e intendevano.
Come ben dice Hillman: “non è possibile comprendere l’anima attraverso la sola psicologia” ma bisogna anche spaziare tra storia, filosofia e religione, integrando anche la cultura poetica del romanticismo.
In effetti, lo scopo della psicologia dovrebbe essere quello di trovare una modalità affinchè l’anima possa riconoscersi nella vita e scambiare con essa, integrandosi fino a trovare un senso nel viaggio che si percorre.
Psicologia del profondo è invece il nome  che viene dato alla “psicoanalisi” e alla “psicologia analitica”, due branche che, attraverso lunghi processi interattivi (analisi) tra paziente e terapeuta “sondano l’anima” mettendo in pratica le direttive evidenziate dai loro padri fondatori: Freud e Jung e dalle relative scuole di pensiero che da loro hanno preso il via.
Lo scopo di questa parte della psicologia consiste nello studio delle profondità della psiche – e dell’anima indagando e cercando di dare spiegazioni ai vari meccanismi psichici che sono alla base dei comportamenti umani.
Possiamo dire che con il termine “Analisi del profondo” si intende tutto questo lungo, a volte lunghissimo processo che si svolge per sondare l’anima nelle sue complessità o, per dirla alla Hillman per “fare anima”.
Ovviamente non esiste solo l’analisi in senso stretto, ovvero quella fatta con un terapeuta, in quanto  ognuno di noi è terapeuta di sé stesso nell’ “analizzare” la propria vita interiore.
La psicoanalisi del profondo, fin dalle origini ha cercato di definire, di dare una struttura, di capire come funziona la psiche studiando le dinamiche e lo sviluppo dell’intero sistema psichico; non si limita a lavorare sul disadattamento vero e proprio delle persone ma cerca anche di definire come funziona la psiche partendo dalle potenzialità e dalle grandi differenze individuali; in pratica è uno strumento che serve anche il bisogno di “conoscersi” di ognuno di noi.
Partendo dal fatto di “essere al mondo”, questa branca studia le introiezioni che sono avvenute nei primi anni di vita, le interazioni affettive con le figure parentali e studia il divenire di una persona, incluse le sue effettive possibilità di autorealizzazione individuale, affettiva e sociale che sono alla base di una vita gratificante e piena di significato. Questo ramo della psicologia si interessa perciò del “divenire” di un soggetto e, proprio per questo, preme ed urta contro le discipline più prettamente biologiche che sostengono il “determinismo” mentre, al contrario, per la psicanalisi, l’uomo è considerato libero di “essere e di realizzare il suo potenziale”, affrontando però lo studio della parte inconscia.
La psicanalisi studia quindi soprattutto la sfera dell’inconscio che, come ben sappiamo, può avere e manifestare motivazioni molto diverse dall’Io cosciente, creando conflitti che, apparentemente, non avrebbero spiegazione. In pratica, la psicanalisi potrebbe essere chiamata la “scienza delle motivazioni inconsce”
Ci sono ancora molti problemi all’interno della psicologia che, ad esempio, accusa la psicanalisi di formulare ipotesi “non verificabili”. Del resto, questo ramo della psicologia parte dal lavoro fatto sui pazienti (la clinica), mentre gli psicanalisti accusano i rami sperimentali (comportamentisti e cognitivisti soprattutto) di lavorare nei loro laboratori asettici, senza un reale contatto con le persone.
Chiaramente si sono così formate due scuole, ognuna delle quali utilizza i suoi strumenti di indagine ma, è pur vero che la psicologia sperimentale trova molta difficoltà nello spiegare fenomeni tipicamente umani quali momenti di intensa passione, di spiritualità, di appagamento o anche momenti di estrema sofferenza. Diventa difficile collocare tutto ciò nel cervello… mentre, diventa molto più semplice comprendere se si parla, appunto di “anima”.

La psicoanalisi freudiana
Freud fu il primo a parlare di “anima”; in effetti, se lo si legge in lingua originale, per parlare della psiche egli usa il termine “seele” che significa appunto “anima” per cui, per trattamento psichico il grande maestro viennese intende “trattamento dell’anima”.
Freud fu praticamente il primo a teorizzare che la psiche avesse una parte profondamente inconscia che chiamò “ES” - che in lingua tedesca indica il pronome personale “esso” – ovvero, una zona che non arriva alla coscienza ma che nonostante tutto la influenza; un luogo chiamato “altro”, distinto dall’IO.
ES per Freud è tutto ciò che fa parte della nostra psiche ma con cui non siamo identificati e, proprio per questo assume, alla luce della coscienza  un forte senso di estraneità. Freud la definiva la parte inaccessibile della personalità.
Per Freud l’ES è un luogo pieno di energia ma senza una volontà unitaria; attinge direttamente alle pulsioni e vuole ottenere soddisfacimento in ottemperanza al più puro “principio di piacere”.
Ovviamente l’ES non ha valori, non ha morale e non è civile quindi non conosce l’idea del bene e del male, concetti che l’Io impara nel contatto con il mondo e la cultura.

Secondo Freud la maggior parte dei nostri comportamenti e soprattutto delle reazioni che abbiamo istintivamente sono tutte manifestazioni dell’ES anche se poi, l’Io tenderà a dare spiegazioni razionali proprio per evitare la sensazione di inadeguatezza che deriva da reazioni non desiderate e considerate estranee.
Si tratta di una forza molto travolgente e, soprattutto, molto più potente dell’IO prova ne è che spesso l’IO stesso resta sorpreso di fronte a certe reazioni emotive che sono in netta contrapposizione con la sua volontà.
Per Freud l’Io ha il compito di “conquistare” via via territori all’ES e considera questo dovere come un’opera di civiltà.
Chiaramente per Freud anche le società hanno dovuto pian piano imparare a controllare la parte inconscia lavorando sulle pulsioni istintuali delle persone che, altrimenti, impedirebbero la convivenza e lo sviluppo di tutto il tessuto sociale. Nelle idee freudiane, l’Io deve riuscire ad eseguire e soddisfare le pulsioni dell’ES ma deve trovare un modo che sia in linea con gli ideali e i principi dell’Io che quindi, tenga conto dei valori, dei sentimenti e degli ideali che ha.
Freud praticamente  sostiene che un IO sufficientemente forte è in grado di “contenere le pulsioni” dell’Es ed anche l’angoscia che deriva da queste pressioni; è in grado di contenerle, di differirle e di progettare poi il loro soddisfacimento nel momento più opportuno e con le modalità riconosciute dall’IO.
L’IO si forma pian piano emergendo dal magma indifferenziato dell’inconscio e diventa un vero e proprio mediatore tra l’ES e il mondo esterno. Per questo l’Io può trovarsi in grande difficoltà se le pulsioni dell’ES sono esagerate ed incontenibili e per contro, dall’esterno, giungono istanze morali troppo rigide che creano una vera e propria lacerazione nella personalità.
L’aiuto all’IO giunge dal Super Io che è un’istanza che può dare un sostegno valido ed efficace sempre che non sia diventato troppo rigido da bloccare le pulsioni anziché gestirle.
La struttura del Super Io si forma nel delicato rapporto del bambino con l’autorità ragion per cui può essere flessibile e adattabile oppure rigida ed implacabile tendente a bloccare anziché guidare.

La lotta tra la parte istintiva e la parte “civile” rappresenta la materializzazione del conflitto tra l’ES e l’istanza del Super Io che si è forgia sulla base delle regole, dei valori e delle strutture morali introiettate che diventano veri e propri riferimenti interni che aiutano a guidare l’Io; nel caso invece dell’introiezione di un’autorità inibitoria possono divenire veri censori che bloccano qualunque contenuto sospetto.
La  maggior parte delle persone fatica in questo processo perché non ha un Io sufficientemente strutturato per gestire le pulsioni per cui interviene un Super Io troppo rigido e censorio a “negare” o “rimuovere” le istanze dell’ES che, a quel punto, premeranno contro le barriere della coscienza per abbatterle.
Quando la situazione perdura troppo a lungo possono sorgere gravi problemi di adattamento e di autoregolazione che possono condurre a vere e proprie patologie in cui il Super Io (che si lega al Principio di realtà) si trova a confliggere con il Principio di Piacere.

Se da un lato è vero che non si possono soddisfare i nostri desideri se non tenendo conto della realtà, è però anche vero che il piacere deve trovare spazio nella vita poichè, in caso contrario, quest’ultima diventa arida e senza valore.
Il principio di realtà dispone di due modalità per affrontare le situazioni: può adattarsi al mondo esterno, oppure cercare di cambiare le cose mettendo in atto vere e proprie strategie.
La difficoltà per ognuno di noi sta nel riconoscere quando utilizzare il primo caso e quando, invece, il secondo.
Fondamentale nella psicologia Freudiana è il concetto di energia psichica che lui chiama “libido”. Freud si concentrò tantissimo sul tema della libido e della sessualità che, data anche l’epoca in cui è vissuto e il contesto sociale, era sicuramente una delle cose più inibite in assoluto. Freud pone l’energia istintuale e sessuale alla base dello sviluppo psichico e, la sua rimozione, alla base delle nevrosi.
Indubbiamente oggi non è facile restare fedeli alle teorie Freudiane ma ciò che resta importante è l’osservazione che questo studioso ha fatto della psiche; Freud resta una pietra miliare nella storia della psicologia in quanto è stato il primo ad essersi reso conto che esisteva un lato di noi completamente inconscio e che, questo lato, poteva travalicare completamente la coscienza fino a sbaragliarla; non solo, Freud portò il tabù della sessualità alla coscienza di tutti e tutto questo nel pieno della filosofia Vittoriana che pretendeva di coprire anche le gambe dei mobili.
Da un punto di vista astrologico e simbolico, possiamo vedere nella psicologia Freudiana il pianeta Saturno (Super Io) che si contrappone all’ES che, possiamo individuare in Plutone e nella Luna, due istanze che rappresentano il bisogno di gratificazione immediata delle pulsioni  proprio in virtù del principio di piacere.
La Luna rappresenta i bisogni primari e l’infanzia che è la fase in cui il bambino vuole tutto e subito e non sa ancora mediare con le sue pulsioni interne. In effetti, soprattutto le quadrature e le opposizioni tra Plutone e Saturno e tra Luna e Saturno sono da guardare con attenzione perché, in entrambi i casi, ci può essere il congelamento di una parte importantissima della propria natura: nel primo caso saranno proprio le pulsioni e gli istinti a venire costantemente controllati dal Super Io che tiene a bada qualcosa che teme fortemente possa travalicare i confini della coscienza; nel secondo caso saranno il “sentire” e le emozioni a venire bloccate per evitare la sofferenza.
L’intera psicologia Freudiana è -  astrologicamente parlando -  centrata sul pianeta Saturno che rappresenta anche le istanze sociali che premono sull’individuo in modo che si adegui alle regole bloccando i lati più animaleschi della sua natura.
In pratica, la psicanalisi freudiana è molto orientata alla comprensione delle pulsioni sessuali che, se vengono rimosse, possono inibire la personalità fino a patologizzarla; per lui è fondamentale la lenta conquista da parte dell’Io dei territori inconsci che appartengono all’Es; è importante altresì che l’Io si affranchi dalla tirannia del Super Io.
Freud fu anche un grande maestro e quindi, dalla sua scuola, uscirono allievi importantissimi. Alcuni di questi si trovarono in contrapposizione e iniziarono una loro personale psicologia. Il suo allievo più prestigioso con il quale arrivò alla rottura fu Carl Gustav Jung.

La psicologia analitica Junghiana
Carl Gustav Jung era un allievo di Freud ma, pian piano, iniziarono tra loro delle profonde divergenze che portarono ad una rottura definitiva. Jung era un personaggio eclettico che aveva molta esperienza: aveva lavorato al Burgholzli di Zurigo come assistente di Bleuler nel reparto psichiatria.
Era però un uomo curioso e particolare che aveva molto viaggiato all’esterno e che aveva raccolto materiale molto prezioso in Oriente, in Africa in Messico; lui spaziava anche nell’alchimia e nell’astrologia; fin da piccolo si era interessato di “spiritismo” e di filosofia orientale.
Non rinnegò mai apertamente le premesse Freudiane anche se la sua osservazione dell’inconscio lo portò a considerazioni nuove che chiamò “analitiche”.
Jung conobbe il mondo dell’inconscio non solo attraverso l’esperienza clinica e il lavoro sugli “psicotici”, ma in maniera personale in quanto ebbe fasi di vera e propria sofferenza psichica, quella che egli stesso definì  “malattia creativa”, qualcosa che è presente nei mistici, negli sciamani, negli scrittori e nei creativi in genere. Si tratta di una vera e propria ansia di ricerca di “verità” che si può presentare sotto forma di depressione, di nevrosi o di malattia psicosomatica: Jung sosteneva che, anche se la persona riusciva a mantenere le sue attività sociali, restava però essenzialmente concentrato su sé stesso e sui suoi problemi.
Uscì però da questi stati completamente trasformato nella sua personalità con la convinzione di aver trovato una verità o, quanto meno, di aver avuto accesso ad un nuovo mondo spirituale.
Le fantasie di Jung erano tantissime: le chiamava fantasie del sottosuolo; fu proprio a seguito di questi suoi stati psicologici che sentì il bisogno di distinguere l’inconscio in “personale e collettivo”.
Questa fu una vera rivoluzione nel modo di intendere la psiche; ad essa fece seguito la teoria degli archetipi che rappresentò come degli schemi precisi che si trovano all’interno della psiche e che si manifestano all’uomo con tematiche analoghe in tutte le culture del mondo. Gli archetipi si presentano attraverso immagini o motivi mitologici che possono essere ben calzati sui contenuti personali.
L’oggetto del contendere con Freud nacque proprio dal fatto che Jung non vide nell’inconscio solamente un luogo in cui erano relegati i contenuti rimossi e le pulsioni ma un luogo dove si trovano immense potenzialità, tutte quelle che l’umanità ha esperito: una sorta di grande pozzo in cui tutto sedimenta e viene poi trasmesso per via ereditaria a chi viene dopo.
Jung quindi ipotizzò che più l’IO è forte, maggiori possibilità ha di entrare in contatto con l’inconscio e maggiore sarà la sua apertura e le sue possibilità di crescere e di conoscere, arricchendo il bagaglio personale.
Per Jung le ipotesi freudiane non erano sufficienti a spiegare ciò che vedeva nei suoi malati psicotici e quindi fu spinto da questa esperienza a cercare nuove teorie che potessero dare spiegazioni.
L’inconscio per Jung rappresenta una ipotesi adattiva della psiche umana che si attiva per superare sofferenze e angosce che, altrimenti, minaccerebbero l’identità, il senso di coesione e di continuità.
Inoltre in Jung cambia di molto la visione dell’energia psichica che lui vede come qualcosa che spinge verso l’individuazione e verso la ricerca di una spiritualità; in pratica la “libido” per Jung è una forza che vuole migliorare, elevarsi e cercare il senso della vita.
In pratica, la psicologia Junghiana mette le basi di quella che si chiamerà poi “psicologia umanistica” ed aiuta l’individuo a cercare un senso alla vita e al mondo e a ritrovare un’unità interna attraverso un vero centro organizzatore (il SE’) che può chiamare l’Io a ritornare alla fonte da cui ha avuto origine; essere inconsci per Jung è uno stato naturale soprattutto nella prima parte della vita; le difficoltà che nasceranno da questa natura chiameranno l’uomo ad interrogarsi e a trovare spiegazioni avviando un rapporto con la propria dimensione inconscia e questo perché, nell’idea di Jung, le determinanti personali hanno un senso solo se si comprendono anche quelle collettive.
Per Jung la psiche è così organizzata:
Inconscio personale dove sedimentano i contenuti che non hanno avuto accesso alla coscienza;
Inconscio collettivo dove risiedono tutte le possibili manifestazioni di possibilità che l’umanità ha sviluppato e dove risiedono gli archetipi.
Io – identità cosciente
Persona (maschera di adattamento); ciò in cui siamo identificati; la definisce anche un segmento dell’inconscio collettivo che simula l’individualità. E’ una sorta di ruolo che dobbiamo assumere nella società.

Alla Persona si contrappone l’Ombra che la compensa e che andrà indagata. Nell’ombra ci sono tutti quei contenuti che il Super Io non può riconoscere e che generano colpa, vergogna e rimozione.
Gli archetipi che sono modelli di comportamento che attiveranno i sogni e le immagini archetipiche.
Anima e Animus: i due archetipi transessuali che si incaricano di portare alla coscienza il bisogno di totalità.
Il Se’ è l’archetipo centrale, quello della totalità che propone l’individuazione cercando una continua interazione con l’Io affinchè quest’ultimo riesca ad intuire il significato della vita individuale. Il Se’ è anche in grado di attrarre nella vita quelle esperienze che possono portare l’Io alla comprensione.
L’Io nel tempo deve riallacciarsi al Sè attraverso il lungo processo di individuazione che porta un soggetto a scoprire tutte le sue parti, comprese quelle “non riconosciute” in modo da diventare “individuo” ovvero completo.
Indubbiamente la psicologia analitica Junghiana si caratterizza da un punto di vista astrologico per le grandi valenze creative e per la speranza che riesce ad infondere considerando gli individui “liberi” ed in grado di autodeterminarsi semplicemente imparando a ricollegarsi con un grande centro unificatore interno.
Jung era un Sole in Leone quadrato a Nettuno e Chirone che, a loro volta opposti a Giove. Non può essere trascurato il suo prepotente bisogno di trovare significato che partiva sicuramente da un grande “caos creativo” interno che doveva trovare canalizzazione  onde evitare che portasse a disorganizzazioni psichiche. La sua natura curiosa avventurosa e curioso lo ha sempre spinto a ricercare e a trovare prima di tutto in sé stesso una strada di autoguarigione.

 La psicologia analitica è molto più Giovial Nettuniana e, proprio per questo più aperta alla spiritualità che passa per il ritrovamento di una unità interna che possa far sentire l’individuo unito con tutto ciò che lo circonda.

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