mercoledì 8 febbraio 2012

Funzioni mentali superiori: linguaggio e intelligenza.

Le funzioni mentali superiori sono delle abilità o funzioni che la specie umana presenta in modo nettamente distinto, per livello o qualità, rispetto a tutte le altre specie animali.
Queste speciali funzioni sono il linguaggio e l’intelligenza.
La struttura mentale che sta alla base di queste forme di plasticità della condotta o di sistemi di comunicazione negli animali si rivela, tuttavia, (anche negli esseri più vicini a noi, come i primati antropoidi) sempre e comunque distinta da quella umana e con delle precise e fondamentali limitazioni. Queste limitazioni nella condotta adattiva o nella comunicazione sono talora non visibili nelle situazioni di routine, nelle quali gli animali possono apparirci “intelligenti” perché ben adattati ed abili e quasi “umani”, ma emergono con immediatezza se si introducono delle novità e dei fattori che non rientrano nello schema adattivo proprio della specie e dell’individuo. Molti animali dimostrano delle capacità di manipolazione e di articolazione della condotta che, a prima vista, sembrano fornire una prova di grande intelligenza e di comportamento volontario e finalizzato (si pensi alla costruzione dei nidi, ai riti di corteggiamento, alla cura della prole, alle tecniche di caccia, alle migrazioni coordinate di grandi stormi, ecc.) Se, però, si introduce una variazione ambientale che richiederebbe un processo adattivo della condotta complessa propria dell’animale, vediamo che pressoché, invariabilmente, l’animale non sembra tenere conto e prosegue come se nulla fosse nel suo comportamento complesso di sempre, che si rivela quindi stereotipato  e non adattabile.
A prima vista sembra che solo gli umani siano capaci di autentica comunicazione, e che ciò che separa il linguaggio umano da quello di tutti gli altri animali sia uno iato pressoché incolmabile. Il linguaggio verbale umano viene considerato il tratto distintivo della “specie”, “la barriera ultima che lo divide dagli animali”.
La comunicazione, invece, distinta dal linguaggio, rimane pur sempre un fenomeno generale, presente ad ogni livello del regno animale. Si pensi ad esempio ai feromoni degli insetti, che trasmettono informazioni tramite il canale olfattivo, o alla danza delle api, o alla comunicazione gestuale. 
Si parla di codice articolato invece quando i segnali possono essere analizzati secondo due livelli di articolazione: la prima è quella dei segni (ovvero delle unità che trasmettono il significato); la seconda è quella delle figure (ossia delle unità che non trasmettono significato). Il linguaggio umano è l’esempio tipico di codice doppiamente articolato; è infatti scomponibile in fonemi, non veicolanti significato, ed in parole, veicolanti significato. I vantaggi di un codice doppiamente articolato derivano dalla possibilità , praticamente infinita, di ricombinare le figure in segni (ossia nel caso del linguaggio umano, i fonemi in parole). A loro volta poi le parole stesse possono essere infinitamente ricombinate per la formazione e l’invio di messaggi in numero, ancora, infinito.
La doppia articolazione è descrivibile, nella terminologia linguistica, come articolazione di regole fonetiche e regole sintattiche. Le regole fonetiche sono quelle che permettono, a partire da un numero estremamente limitato di suoni ( l’alfabeto italiano ad es. comprende solo 21 suoni), di comporre un numero altissimo di parole. Detto altrimenti, le regole fonetiche sono il primo meccanismo moltiplicatore, che a partire da pochi suoni base permette di comporre interi vocabolari. La sintassi è quindi il secondo meccanismo moltplicatore, quello che permette, a partire da un numero già alto di parole, di comporre un numero pressoché infinito di enunciati.
Il cervello umano ha, anche rispetto ai cervelli animali più evoluti, diverse particolarità anatomiche che vale la pena di vedere da vicino.
Per cominciare, l’encefalo umano è decisamente grande rispetto al corpo. La specie umana ha quindi un alto indice di encefalizzazione. La correlazione diretta tra dimensioni del cervello e  intelligenza è tuttavia piuttosto grossolana : di fatto, ciò che è rilevante non è la dimensione assoluta dell’encefalo quanto la quota di cervello che, una volta assolti i compiti nervosi di base,  resta “libera”  per le funzioni cognitive elevate.
Inoltre, la parte di encefalo umano che, in proporzione, è cresciuta di più, è senz’altro la neocorteccia, e cioè la zona dove si svolgono le funzioni cognitive superiori. Il progressivo aumento della neocorteccia è una caratteristica tipica degli ominoidei e specifica di Homo.
Ma non basta: il cervello umano mostra anche altre particolarità funzionali, legate alla specializzazione delle diverse zone encefaliche. La specializzazione più macroscopica , e meglio nota, è senz’altro quella relativa agli emisferi: mentre l’emisfero destro controlla le ricezioni e le risposte di tipo olistico, spaziale ed emozionale, il sinistro presiede alle funzioni analitiche, sequenziali e linguistiche. La specializzazione emisferica non è completa alla nascita e progredisce nel corso dello sviluppo ontogenico, per giungere a maturazione con la pubertà. L’encefalo è poi suddivisibile in quattro lobi: parietale( controllo dell’integrazione e dell’associazione sensoriale), frontale (controllo del comportamento motorio), temporale ( controllo della memoria), occipitale (controllo della visione). Nella specie umana i primi tre lobi sono sviluppati a discapito del quarto.
Infine, le circonvoluzioni della neocorteccia determinano aree altamente specializzate. Le zone deputate al linguaggio sono in Homo sapiens l’area di Broca, che presiede alla combinazione dei fonemi in parole, e che si trova nella porzione posteriore della circonvoluzione frontale inferiore; e l’area di Wernicke, che presiede all’identificazione e selezione dei suoni verbali, e che comprende la circonvoluzione temporale superiore ed il lobulo parietale inferiore. A proposito di queste aree si è affermato che esse rappresentano  strutture interamente nuove del cervello umano, nel senso che sono tra le ultime a completare l’isolamento mielinico, molti mesi dopo la nascita.  
Il cervello non è ovviamente, l’unico organo preposto al linguaggio: la produzione materiale effettiva dei suoni è affidata alla faringe, alla laringe e alla bocca. Nei vertebrati, i meccanismi di controllo della faringe, laringe e bocca servono primariamente come componenti dell’apparato respiratorio e di quello alimentare, e sono poi riutilizzati, in gradi diversi e con possibilità ed esiti diversi, per le emissioni vocali. Solo in  Homo sapiens raggiungono la piena capacità articolatoria, e quindi la capacità di gestire un linguaggio vero e proprio.   La filogenesi dello sviluppo del linguaggio non è direttamente esplorabile, e, si sono contrapposte due teorie principali.
La teoria gradualista ipotizza che l’evoluzione morfologica e quella culturale degli ominidi siano state parallele, graduali e uniformi, e che il linguaggio si sia evoluto progressivamente e lentamente alla stregua di un qualsiasi altro organo complesso.
Anche il linguaggio avrebbe dunque avuto un’evoluzione graduale e continua alla pari di tutti gli altri fattori di sviluppo culturale (pensiero figurativo, capacità manuale, organizzazione sociale, etc.).
La teoria del salto linguistico ipotizza invece che l’aumento della capacità cranica sia correlato non già a un potenziamento del linguaggio, quanto, più in generale, a un progressivo miglioramento delle capacità cognitive. Poi, ad un determinato stadio dell’evoluzione ominide, e probabilmente solo con la nostra specie, si avrebbe avuto l’emergere improvviso, in un tempo relativamente breve, di una nuova capacità di gestire le informazioni a livello superiore, che avrebbe avviato una sorta di esplosione culturale. In breve, si ipotizza che il linguaggio si sia instaurato in un tempo relativamente rapido come modulo di alto livello, sopra capacità cognitive già pienamente evolute. In questa seconda ipotesi il linguaggio assume un ruolo centrale: il suo emergere in forma moderna e completa  segnerebbe infatti la linea di discrimine fra le capacità cognitive primitive e quelle definitivamente moderne.
Nella stima dell'encefalizzazione quel che più conta non è il valore assoluto delle dimensioni del cervello tra gli umani  ed i  parenti più prossimi, le grandi antropomorfe bensì, quanto la parte "residuale" di encefalo che, in rapporto alle dimensioni corporee, resta per cosi dire "libera" per lo sviluppo delle funzioni cognitive.
Senz'altro meglio dotato dal punto di vista della capacità encefalica, Homo Sapiens tuttavia non dà vita, per tutta la prima parte della sua esistenza. a nessuna "rivoluzione tecnologica". Ci si deve quindi domandare che cosa sia successo 30.000 anni fa, quando finalmente avviene il grande "salto cognitivo", e perchè mai l'esplosione culturale non corrisponda all'emergere di una nuova specie, bensì alla stabilizzazione mondiale di Homo sapiens moderno. 
(Canestrari)

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