giovedì 23 gennaio 2014

Psicologia e dintorni... Disturbi di personalità


Che cos’è il disturbo Paranoide

Il disturbo paranoide di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato dalla tendenza, persistente ed ingiustificata, a percepire e interpretare le intenzioni, le parole e le azioni degli altri come malevole, umilianti o minacciose. Il mondo è vissuto come ostile e guardato sempre, nei contesti più vari, con diffidenza e sospettosità, con conseguente “obbligatoria predilezione” per uno stile di vita solitario. Sfiducia e sospettosità portano le persone che soffrono di questo disturbo ad avere un atteggiamento ipervigilante (ricercano segnali di minaccia, di falsità e di significati sottostanti nelle parole e nelle azioni altrui), ad agire in modo cauto e guardingo, ad apparire “fredde” e prive di sentimenti; questi soggetti sono, inoltre, eccessivamente permalosi, polemici, ostinati e sempre pronti a contrattaccare quando credono di essere criticati o maltrattati.
Questa patologia colpisce lo 0,5-2,5% della popolazione, con una maggiore incidenza tra le minoranze etniche e gli immigrati. Si presenta più frequentemente negli uomini.


Come si manifesta

La sensazione prevalente, praticamente costante, nelle persone che presentano il disturbo paranoide, è quella di minaccia, pericolo, aggressione. Ne conseguono uno stato di allerta e di tensione fisica insopportabili. Tipicamente le persone con disturbo paranoie di personalità, infatti, presentano pensieri del tipo: “Non si può mai abbassare la guardia!”, “Appena ti rilassi sono pronti a fregarti!”. A volte la sensazione interna assume una diversa sfumatura, quella della derisione, e gli altri, più che pericolosi, sono percepiti come sprezzanti o provocatori.
La reazione emotiva e, quindi, il conseguente comportamento variano:

    quando la convinzione è di essere, ingiustamente, vittime di un mondo ostile e umiliante prevarranno rabbia, risentimento o irritazione e la tendenza sarà quella di reagire attaccando e aggredendo;
    quando, invece, la sensazione che si vive è quella dolorosa di essere escluso, in quanto non voluto, di essere emarginato dal gruppo, prevarranno ansia, tristezza, senso di solitudine e astenia,con la conseguente tendenza ad isolarsi, a ritirarsi dal mondo.
    Gli individui con questo disturbo possono essere anche morbosamente gelosi e sospettare, senza reali motivi, che il coniuge o il partner sia infedele.

Questi soggetti presentano, inoltre, due importanti difficoltà che si rinforzano reciprocamente. La prima è rappresentata dall’incapacità di porsi nella prospettiva dell’altro, di distinguere il proprio punto di vista da quello altrui; l’altra è la difficoltà a distinguere tra mondo esterno (realtà obiettiva) e mondo interiore (proprie sensazioni e idee). La sensazione pervasiva di minaccia, ad esempio, non viene mai considerata come un vissuto soggettivo, una fantasia o un’ipotesi, ma come un dato di realtà assoluto e certo.
Spesso le persone con questo disturbo sentono di non avere capacità sufficienti per gestire determinate situazioni e provano quindi un senso di costrizione da parte del mondo esterno rispetto alle loro scelte.



Come capire se si soffre di disturbo paranoide di personalità

Chi soffre di questo disturbo è, o spesso gli dicono di essere, eccessivamente permaloso o geloso e soprattutto sempre sospettoso, sul “chi va là”. Gli altri non ispirano quasi mai fiducia. La persona con disturbo paranoide, infatti, pensa che c’è sempre “sotto c’è una fregatura” e si aspetta di essere in qualche modo danneggiato, sfruttato o umiliato. In genere preferisce limitare i contatti con gli altri e tende ad isolarsi e a condurre, anche se con sofferenza, uno stile di vita solitario. Può alternare dei periodi in cui prevale l’ansia e la tensione, a periodi più rabbiosi e rancorosi o anche stati di depressione e abbattimento; quello che è certo è che non conduce una vita serena, ma prevale comunque uno stato di sofferenza ed una difficoltà a “vivere bene nel mondo, con gli altri”.
Alcuni di questi sintomi, tuttavia, si possono ritrovare anche in altre patologie, è quindi in genere necessario rivolgersi a persone competenti che possano fare una diagnosi seria ed accurata. Alcuni esempi: spesso nel disturbo paranoide troviamo sintomi ansiosi e/o depressivi che potrebbero farci pensare a disturbi d’ansia o a un disturbo dell’umore(disturbo bipolare e depressione); l’eccessiva sospettosità caratterizza, inoltre, anche il disturbo borderline di personalità e le idee di riferimento caratterizzano anche i disturbi deliranti e la schizofrenia; il ritiro sociale, infine, è presente sempre nel disturbo schizoide.


Cause

Non esistono,per questa patologia, delle cause certe e specifiche. Tra i possibili fattori di rischio sembrano essere coinvolti: fattori temperamentali, caratteristiche familiari e, spesso, trasferimenti di città o di nazione.
L’esordio avviene in adolescenza o prima età adulta anche se raramente il soggetto giunge all’osservazione di un terapeuta prima dei 30-40 anni.


Conseguenze

Diffidenza e sospettosità portano il soggetto ad avere atteggiamenti e comportamenti che causano numerosi problemi. La modalità di interazione spesso controllante, aggressiva e sospettosa, ad esempio, non incoraggia certo gli altri ad approcci gentili e amichevoli, ma al contrario, suscita nelle altre persone proprio il comportamento ostile o l’allontanamento temuti dal paranoico; la persona con questo disturbo si conferma in questo modo la “correttezza dell’approccio paranoide alla vita”.
Purtroppo nel tempo questo disturbo può causare problemi lavorativi, coniugali, relazionali e, in alcuni casi, può portare ad un isolamento che peggiora e rinforza il disturbo stesso.


Differenti tipi di trattamento

In genere le persone che soffrono di questo disturbo non cercano spontaneamente aiuto, ma sono spesso i parenti ad insistere per diverse motivazioni, tra le quali più frequentemente uno stato depressivo del soggetto, un suo progressivo isolamento sociale o problemi relativi a comportamenti rabbiosi e aggressivi.
La psicoterapia è sicuramente il trattamento di scelta, in particolare una psicoterapia cognitiva individuale a lungo termine, anche se difficile da impostare perché la sfiducia e la sospettosità dei soggetti con disturbo paranoide si estendono a coinvolgere anche la figura del terapeuta. Gli aspetti di trattamento più comportamentali possono essere usati, con buoni risultati, per migliorare le capacità sociali e diminuire la sospettosità.
La terapia farmacologica può essere introdotta, come supporto alla psicoterapia, se il paziente presenta sintomi che interferiscono con il funzionamento quotidiano e/o sociale e sempre in presenza di ideazione suicidaria (quindi sia nelle condizioni di abbattimento che di aggressività). In genere si tende ad utilizzare i regolatori dell’umore in monoterapia, quando non vi sono tematiche deliranti, in associazione con antipsicotici di seconda generazione in presenza di deliri, comportamenti bizzarri e idee suicidarie.


Il trattamento metacognitivo-interpersonale

Nell’ambito dello sviluppo della terapia cognitiva sono studiati diversi programmi di psicoterapia per la cura dei disturbi di personalità.
Presso il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma è stato messo a punto un modello di trattamento metacognitivo-interpersonale specifico per il disturbo paranoide di personalità. Questo tipo di trattamento è volto ad individuare non solo i comportamenti disfunzionali, ma anche il tessuto di cognizioni, gli aspetti affettivi e le strategie che caratterizzano il disturbo; in altre parole,  il paziente è allenato a riconoscere e identificare quali emozioni prova, come pensa, agisce e fronteggia i problemi.
L’obiettivo finale è quello di migliorare la qualità di vita della persona, rispettando le sue esigenze e le sue priorità. Per raggiungere tale obiettivo è indispensabile creare, fin dalle prime sedute, le condizioni per stabilire un buon rapporto terapeutico; il terapeuta eviterà, infatti, il coinvolgimento in dinamiche relazionali patologiche, accordandosi sugli scopi e gli obiettivi del lavoro terapeutico.
Più specificatamente il trattamento si basa, in un primo momento, sul riconoscimento degli stati d’animo che sono tipici dalla persona con questo disturbo; in altre parole si aiuta il paziente a riconoscere, ad esempio, lo stato di minaccia, pericolo o derisione, a cui seguono emozioni quali ansia, tensione, rabbia, oppure lo stato in cui sente di essere stato escluso dagli altri, a cui, invece, seguono tristezza ed isolamento.
Grazie alla presa di consapevolezza e alla maggiore conoscenza di questi e altri stati d’animo è possibile, in un secondo momento, lavorare per migliorare le due importanti difficoltà che tipicamente presentano i soggetti con questo disturbo: l’incapacità di porsi nella prospettiva dell’altro e la difficoltà di distinguere tra mondo esterno e mondo interiore. Questo è uno degli aspetti più importanti del trattamento ed è fondamentale per regolare lo stato interno del soggetto e le sue relazioni. Per insegnargli a porsi nella prospettiva dell’altro, ad esempio, si guida la persona  ad “osservare i processi mentali” del terapeuta; quest’ultimo, infatti, illustra ed esplicita al paziente cosa pensa in un dato momento, come arriva a determinate conclusioni e quali elementi prende in considerazione per formarsi delle convinzioni. Il terapeuta, inoltre, mostra in vivo quanto questa difficoltà occupa la mente del soggetto e quanto gli condiziona la vita e le relazioni.
Un’ulteriore parte del trattamento, infine, è costituito dalla messa in discussione delle interpretazioni disfunzionali del paziente riguardo al comportamento e alle intenzioni degli altri,  attraverso la formulazione di ipotesi alternative alle sue convinzioni. In altre parole il paziente viene allenato a fornire nuove interpretazioni delle situazioni, dei comportamenti e dei pensieri degli altri. Questo permette al soggetto di migliorare le sue difficoltà ed acquistare nuovi strumenti per verificare l’attendibilità delle sue interpretazioni e ipotesi.
La psicoterapia, dunque, non solo mirerà a costruire delle strategie utili e adeguate per affrontare e gestire gli stati interni e le difficoltà di cui abbiamo parlato, ma permetterà al paziente di migliorare funzionamento sociale e relazionali interpersonali.

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