martedì 8 ottobre 2013

Attenzione: liberamente fluttuante...


Posted di drdedalo

“… il cambiamento può essere un atto di volontà
o un flusso, ma l’atto di volontà è più complicato”

Parlare di attenzione è parlare della più fondamentale delle attività psichiche: senza l’attenzione non ci sarebbe il linguaggio, non sarebbero possibili i pensieri, i sogni, la “percezione della realtà”.
E’ modulando la quantità di attenzione che rivolgiamo ad un qualsiasi oggetto, fisico o mentale, reale o immaginario, è indugiando su di esso, scrutandolo, osservandolo, assaggiandolo, studiandolo, che possiamo portarlo dentro, e illuminarlo, renderlo più o meno interessante, vivido, familiare, caro.
E l’attenzione, come tutte le funzioni fondamentali, tende a restarsene sullo sfondo, ignorata e usata quasi automaticamente come uno strumento così scontato che, come un braccio, una gamba o un occhio, non ha bisogno di niente a meno che si guasti, si deteriori o smetta di funzionare.
Ha poco bisogno di attenzione, l’attenzione! Lavora da sola, spesso così da sola che continua la sua attività anche quando il suo uso conduce ad una serie di problemi che compaiono ma che, finché non vengono analizzati accuratamente (cambiando l’attenzione, appunto), se ne stanno lì, fino a diventare cronici.
C’è tutta una quantità di disturbi mentali che potrebbero essere catalogati e descritti come disturbi dell’attenzione: possiamo vedere il Disturbo Ossessivo Compulsivo come un’appiccicosità dell’attenzione, un’incapacità di staccarla da un oggetto se non con grandi sforzi e con faticosi rituali; la depressione come un’insistenza dell’attenzione su oggetti indigeribili, il rimuginare della mente fino allo sfinimento su colpe, abbandoni, lutti, “negatività”; la mania, lo stato di grandezza maniacale come un dilagare dell’attenzione, l’espandersi dell’Ego senza tener conto dei confini fino a gonfiarsi ipertroficamente; il Panico come lo scivolamento dell’attenzione verso il baratro, l’impossibilità di distrarsi rispetto ad un sintomo, che, quindi, risucchia e fa precipitare; ecc.
Queste, che potremmo definire modalità dell’attenzione non sono che strumenti che ci siamo abituati ad usare: modi in sé né buoni né cattivi, propensioni forse, qualità del nostro modo di essere nel mondo, anche tratti del carattere che ci hanno contraddistinto: un bambino fantasioso, con la testa fra le nuvole, o introverso o musone, schivo, riflessivo o, al contrario espansivo, incontenibile o sensibile, suscettibile, permaloso.
Niente di male… ognuno di questi che ho citato non è che un modo di stare nel mondo e nelle cose: una presa, una modalità di cogliere gli oggetti e le relazioni, un gesto interno che ci fa descrivere il mondo in un certo modo.
De-scriverlo: metterlo lì, presentarlo a noi stessi come se lo scrivessimo in un certo modo, raccontandocelo con un gesto che non è passivo ma solo in parte conscio.
Sono tratti del carattere, modi quasi innati o, comunque appresi in tenera età, che determinano le nostre percezioni e, poi, quasi contemporaneamente le nostre risposte a ciò che ci circonda, dentro, nel nostro mondo psichico, e “fuori”.
Ciò che può renderli patologici è l’automaticità: la fissazione (causata dai più svariati eventi) su uno solo di essi che diventa ponderante e dominante a discapito degli altri, favorendo una direzione e, in un certo senso, uno squilibrio.
E’ l’automatismo che andrebbe curato e, per farlo occorre curare l’attenzione: mettere l’attenzione sul modo in cui stiamo attenti, imparare a prenderci cura dei modi in cui dirigiamo il nostro sguardo.
Il consiglio di Freud ai terapeuti, la regola che dava come primo presidio di cura per la loro attenzione era: “Si tenga lontano dalla propria attenzione qualsiasi influsso della coscienza e ci si abbandoni completamente alla propria ‘memoria inconscia’, oppure in termini puramente tecnici: si stia ad ascoltare e non ci si preoccupi di tenere a mente alcunché”.
Questo è il primo strumento per curare la fissità, il primo e più importante diluente di un’attenzione troppo fissata.
Non è qualcosa che può essere insegnato in termini puramente teorici: l’attenzione non si insegna con un “dire” ma con un fare… se vuoi percepire comincia ad agire e, se vuoi cambiare la tua attenzione  comincia a stare attento in un modo diverso.
Ai pazienti veniva detto di “dare diritto di cittadinanza all’inconscio”, senza censurare niente, favorendo il flusso e lasciando stare la coerenza, prediligendo le libere associazioni senza curarsi della logica o del solito modo di procedere. Non è facile all’inizio, ma dopo un po’ si prende il gusto del flusso di coscienza, ci si accorge di come le cose possono associarsi in modi diversi e si sperimenta una sorta di “prima liberazione”: il pensiero può scorrere più fluidamente, le idee sono più libere di emergere, cose strane vengono alla mente.
E così, in questo Pandemonio, ad esempio, l’attenzione può diventare una delle ragazze di cui parla D.F. Wallace “… il tipo di ragazza imprendibile, fatalmente bella che fluttua per i corridoi di liceo nei sogni degli eiaculatori notturni” una tipa, insomma, che non riesci a conquistare ma che puoi sognare, e che sognandola puoi allargare i tuoi orizzonti e, idealizzandola un po’ ti ispira come può fare una musa…
L’attenzione può cambiare, cambiando il modo in cui percepisci il tempo che può diventare non il solito Cronos che mangia i suoi figli, non il tempo cronologico che scorre inesorabilmente in avanti ma Kairos: il momento in corso, in cui le cose accadono mentre il tempo scorre, in cui l’attenzione può essere messa, la puoi mettere, sugli incontri e sullo stupore di vedere che le cose che hai di fronte sono nuove, non invecchiate e non le stesse, lontane quindi dalle ripetizioni e dalla coazione e dal solito ritorno dell’uguale, e esenti, per forza, dalla noia.
E se lasciamo che la nostra attenzione fluttui possiamo staccarci per un attimo dalla tirannia dell’io, trovarci nel flusso e con la possibilità di liberarci momentaneamente da noi stessi che, come sa chiunque si sia qualche volta “sciolto”, è un gran sollievo!

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