mercoledì 4 settembre 2013

Psicologia e dintorni...

Narcisismo Freudiano e oltre...
 
Introduzione al mito di Narciso
Narciso era figlio di Liriope, una ninfa di fonte che per la sua bellezza venne rapita dal Dio fluviale Cefiso. Figlio delle acque, egli era un giovane di straordinaria bellezza, cui Tiresia il veggente, aveva previsto lunga vita a condizione che non conoscesse mai se stesso.  A sedici anni contava già numerosi amanti di entrambi i sessi, tutti immancabilmente respinti. Un giorno mentre era a caccia di cervi in una foresta, chiese a gran voce se ci fosse qualcuno nei dintorni e la ninfa Eco, che si era innamorata di lui e lo seguiva di nascosto, gli rispose ripetendo le sue ultime parole, tentando il desiderato abbraccio che Narciso respinse come di consueto. Si narra che della bella ninfa siano rimaste soltanto le ossa tramutate in sassi e che la sua voce sia tuttora vagante in valli solitarie. Un giorno però, una delle sue amanti respinte, la dea Nemesi, fece si che anche Narciso venisse privato dell’abbraccio di colui che ama. Accadde così che quest’ultimo un giorno, assetato, si affacciasse in prossimità di una sorgente e scorgendo la propria immagine riflessa se ne innamorasse perdutamente. In principio non riconobbe se stesso, ma in seguito arrivò alla verità: “Io sono te” e struggendosi d’amore per quello che ormai sapeva essere se stesso, si lasciò morire. Quando cercarono di dargli degna sepoltura, coloro che lo amavano scoprirono, nel punto in cui scomparve, un bellissimo fiore dai petali bianchi orlati di color zafferano, il narciso, che a livello di classificazione botanica, appartiene alla specie della aamarillidacea bulbosa, un fiore contenente la narcisina, un potente alcaloide tossico che causa decessi inspiegabili di animali da pascolo nelle zone mediterranee. Tuttavia il bulbo essiccato è stato usato in medicina e ancora oggi si consiglia come sedativo, antispasmodico e antidiarroico. Nella letteratura il mito di Narciso ha colto l’aspetto propriamente psichico di investimento pulsionale, per cui Narciso è divenuto simbolo di un atteggiamento dell’Io che sa amare solo se stesso, escludendosi totalmente dal resto del mondo.



 2.     Freud

Il termine narcisismo fu adottato per la prima volta da Paul Nacke nel 1889 per descrivere l’atteggiamento di chi tratta il proprio corpo allo stesso modo con cui viene trattato il corpo di un oggetto sessuale, per cui lo contempla, lo liscia e lo accarezza finché queste manovre non gli procurano un soddisfacimento completo. Freud prese in considerazione il narcisismo primario, ovvero partì dal presupposto che la mente del neonato sia assolutamente e perversamente narcisistica. Secondo la sua visione Narciso, il fiore tossico dai bei petali, o il giovinetto ambiguo che pago di sé respinge tutti, è il mito che più di tutti riguarda gli esseri umani in quanto tutte le persone nascono narcisiste ed il costo che si paga, per abbandonare questa dimensione nel corso dello sviluppo personale, è molto alto. Gli esseri umani di tutte le età utilizzano la libido, per vivere, amare, e difendersi dalla vita, quando questa si fa insopportabile, dirigendola o sullo stesso io, o su oggetti che di volta in volta appaiono degni di nota. Questo meccanismo di investimento narcisistico genera angoscia, interesse, curiosità, vita e morte. Il neonato prova una sensazione di narcisistica onnipotenza in quanto, non essendo capace di definire il confine tra io e non io, non si accorge della presenza della mamma, o meglio, non arriva a considerare quella presenza come altro da sé: avverte lo stesso piacere di Narciso, il piacere di bastare a se stessi. Nell’utero materno si vive, in un beato stato di appagamento dove non c’è desiderio, in quanto la presenza del desiderio, come insegnavano i filosofi post-socratici, era essa stessa motivo di conflitto ed instabilità. Attraverso l’esperienza della nascita però questo stato di beata pacificazione cessa ed il senso di autosufficienza narcisistica viene meno: il neonato comincia infatti a sperimentare la sensazione della fame e dell’abbandono. Seppur i genitori facciano di tutto per restituirgli sicurezza ed appagamento, man mano che la vita procede, con essa avanza anche l’inesorabile dolore della separazione: come un crudele paradosso per raggiungere un buon funzionamento psichico il bambino deve avvertire se stesso come figura separata dagli altri, e più i confini tra io e non-io si fanno più chiari e netti, più il bambino comincia a sentire di essere solo al mondo, scoprendosi dipendente dagli altri e accorgendosi di essere impotente. Secondo Freud questa rappresenta un’esperienza terrificante e angosciante, una delle cause di tutte le nostre possibili nevrosi future, anche perché inspiegabile per una psiche non ancora formata e protetta di un neonato che si ritrova, dal’essere cullato e dal fluttuare in uno stato di pace, all’essere esposto al freddo, alla fame ed alla minaccia dell’abbandono. Gran parte della vita psichica del neonato, del bambino e del futuro adulto, secondo ciò che affermava Betelheim, consiste nell’elaborare sempre più raffinate strategie di difesa nei confronti dei sentimenti d’abbandono. Una volta scoperta la dipendenza dagli altri, iniziano i tentativi atti ad indirizzare la nostra libido sugli altri, o meglio in termini freudiani, sugli oggetti. Questo meccanismo di indirizzare la libido per poter superare l’angoscia della solitudine, o nei casi estremi per ripararsi dall’interferenza del mondo, come osservò Freud, è una pratica comune anche nell’adulto che se ne serve di volta in volta per i suoi scopi. Osservando l’atteggiamento affettuoso che mostrano i genitori verso i loro bambini, è possibile riconoscere che si tratta di una ripetizione del loro proprio narcisismo, ormai da tempo abbandonato. Essi attribuiscono al bambino, infatti, ogni virtù e perfezione, nascondendo e dimenticando tutti i suoi difetti; inoltre il bambino verrà ad esaudire tutti quei sogni di desiderio che i genitori non hanno mai realizzato, ed infine troveranno la sicurezza dell’immortalità dell’Io cercando rifugio nel bambino, cosicché l’amore dei genitori, commovente ed infantile allo stesso tempo, non è altro che il loro narcisismo risorto.

Freud si è occupato della teoria del narcisismo primario nel tentativo di inglobare la schizofrenia nella teoria della libido: egli considerava che i “parafrenici” fossero caratterizzati da megalomania e da una deviazione dei loro interessi dal mondo esterno, dalle persone e dalle cose. Anche i nevrotici però si allontanano in qualche modo dal rapporto con la realtà, ma a differenza degli schizofrenici, intrattengono ancora relazioni erotiche con persone o cose nella loro fantasia, sostituendo quelli che sono gli oggetti reali con oggetti immaginari, ma rinunciando a intraprendere quell’attività motoria che gli consentirebbe di pervenire ai loro scopi connessi con quegli oggetti. I parafrenici invece hanno ritirato la libido dal mondo esterno senza sostituirla con altri oggetti nella fantasia; considerando che una delle loro caratteristiche principali è la megalomania, si perviene alla conclusione che la libido che è stata ritirata dal mondo esterno viene indirizzata verso l’Io, dando origine a quell’atteggiamento che può definirsi narcisismo. Tuttavia il meccanismo appena descritto è un narcisismo secondario, che viene a sovrapporsi ad un narcisismo primario: mettendo a confronto i bambini con i popoli primitivi, si evince che questi ultimi possiedono caratteristiche che se si presentassero isolatamente, potrebbero benissimo essere ascritte a megalomania, come la sopravvalutazione della potenza dei desideri e degli atti psichici, onnipotenza del pensiero, credenza nella virtù taumaturgica delle parole, e l’applicazione nella magia di tutte queste premesse. Nei bambini si rinviene un atteggiamento molto simile nei confronti del mondo esterno, che indica l’esistenza di un investimento libidico originario dell’Io, di cui una quota è in seguito ceduta agli oggetti, ma che fondamentalmente persiste. Il narcisismo per Freud è quindi primario e si osserva con la crescita una contrapposizione tra libido dell’Io e libido oggettuale: quanto più l’una è utilizzata, tanto più l’altra si impoverisce, ma nella condizione di narcisismo le due energie sono indifferenziate e si differenziano allorquando si manifesta l’investimento oggettuale. Freud prosegue la sua analisi del narcisismo portando degli esempi di come le modificazioni dell’Io portano ad un cambiamento nella distribuzione della libido: i malati organici perdono l’interesse per le cose del mondo esterno che non riguardano le loro sofferenze e ritirano l’interesse libidico dai loro oggetti d’amore investendoli sul proprio Io, ovvero finché soffrono cessano di amare, riportandoli all’esterno nel momento in cui guariscono; stessa cosa avviene nel sonno, dove si ha un ritiro narcisistico degli investimenti libidici sulla propria persona, o meglio sul desiderio di dormire. Anche l’ipocondria produce gli stessi effetti sulla distribuzione della libido, ritirandosi dal mondo esterno e concentrandosi sull’organo che assorbe l’attenzione, solo che in questo caso le manifestazioni organiche non sono dimostrabili. Freud si chiese cos’è che imponesse alla vita psichica di oltrepassare i confini del narcisismo per investire la libido sugli oggetti. Questa necessità si presenta quando l’investimento libidico dell’Io supera un certo livello: anche se una buona dose di egoismo è una sorta di protezione contro la malattia, in fin dei conti per non rischiare di ammalarsi si deve cominciare ad amare e se a causa di qualche frustrazione non ci è possibile amare, siamo destinati ad ammalarci. Tuttavia l’elaborazione psichica delle eccitazioni è di notevole aiuto nell’assorbimento interno di quelle che sono incapaci di una scarica diretta all’esterno o di quelle per cui tale scarica appare momentaneamente inopportuna. Freud porta un’ulteriore prova dell’esistenza di un narcisismo primario, prendendo in considerazione l’osservazione della vita erotica degli esseri umani: dopo una prima fase dove le pulsioni sessuali sono appoggiate alle pulsioni dell’Io (autoerotismo), più tardi ne diventano indipendenti dirigendosi alla persona che si prende cura del bambino, generalmente la madre (scelta analitica). Tuttavia egli individua una tipologia di soggetti disturbati nello sviluppo libidico, che scelgono la loro persona come oggetto d’amore, manifestando una scelta oggettuale narcisistica. Affermando che l’essere umano ha originariamente due oggetti sessuali, se stesso e la donna che lo accudisce, Freud postula un narcisismo primario in tutti, che in qualche caso può esprimersi in modo dominante nella sua scelta oggettuale. Ma come evolve il narcisismo primario in soggetti adulti normali? Che fine ha fatto la libido dell’Io? E’ passata in blocco nell’investimento oggettuale? Per rispondere a questi quesiti Freud ricorrse alla rimozione, sostenendo che i moti pulsionali libidici subiscono tale sorte nel momento in cui entrano in conflitto con le idee etiche e culturali dell’individuo; più precisamente la rimozione scaturisce dalla stima che l’Io ha per se stesso. Ci sono individui che elaborano coscientemente sensazioni, esperienze, impulsi e desideri edificando dentro di sé un Io ideale al quale commisurano l’Io reale, mentre altri non riescono in questo compito e rimuovono prima ancora che tutto ciò possa arrivare alla coscienza; l’Io ideale diventa la meta dell’amore di sé di cui si godeva durante l’infanzia, e fa quindi la sua ricomparsa il narcisismo del soggetto, spostato su questo ideale che come l’Io infantile si considera dotato di ogni virtù e perfezione: in pratica l’uomo, non essendo capace di abbandonare un soddisfacimento di cui ha goduto in passato, venendo disturbato dalle osservazioni degli altri e dal risveglio della sua coscienza critica, tenta di recuperarla nella nuova veste di un Io ideale. Tuttavia la formazione di un ideale non coincide con la sublimazione in quanto, nel primo caso è l’oggetto che, senza subire alcuna modificazione nella sua struttura, viene esaltato nella psiche dell’individuo, mentre la sublimazione si configura come una pulsione sessuale che prende una nuova direzione ed una nuova meta su cui dirigersi; ora mentre la formazione di un ideale aumenta le richieste dell’Io ed è tra i fattori più potenti che promuovono la rimozione, la sublimazione è una via d’uscita che permette l’esaudimento delle richieste senza comportare la rimozione. E’ compito della coscienza badare a che sia assicurato il soddisfacimento narcisistico dell’Io ideale, ed una volta postasi questa meta, continuerebbe a controllare l’Io reale e a commisurarlo con l’Io ideale. Ciò che in effetti sprona verso la formazione di un Io ideale, a favore del quale la coscienza agisce come un sorvegliante, ha avuto origine dall’influenza critica esercitata dai genitori, dagli educatori e dall’opinione pubblica; in questo modo grandi quantità di libido di natura essenzialmente omosessuale vengono ritirate per la formazione dell’Io ideale narcisistico e trovano scarica e soddisfacimento nel suo mantenimento: il costituirsi della coscienza è in fin dei conti l’incorporazione delle critiche dei genitori prima e della società poi. Infine, per ciò che concerne l’autostima, Freud considera quest’ultima un’espressione della grandezza dell’Io, e tutto ciò che un individuo possiede e conquista, ogni residuo del senso primario di onnipotenza, concorre ad aumentarla; l’autostima è quindi strettamente dipendente dalla libido narcisistica, e l’investimento libidico oggettuale ne produce un calo, in quanto chi ama ha rinunciato ad una parte del suo narcisismo, e tale perdita può essere rimpiazzata solo dall’essere ricambiati in amore. I rapporti tra erotismo ed autostima cambiano nel caso in cui gli investimenti erotici siano egosintonici, oppure abbiano subito la rimozione: nel primo caso l’amore si afferma come qualsiasi altra attività dell’Io, ed amare abbassa l’autostima, mentre essere amati la rialza; se la libido è rimossa, l’investimento erotico è avvertito come un grave svuotamento dell’Io, il soddisfacimento amoroso è impossibile, e l’Io può di nuovo arricchirsi solo a patto di ritirare la libido dai suoi oggetti. Il ritorno all’Io della libido oggettuale e la sua trasformazione in narcisismo ristabilisce un amore felice, che corrisponde alla condizione originaria in cui libido dell’oggetto e dell’Io non possono essere distinte. Freud sostiene quindi che lo sviluppo dell’Io consiste in un distacco dal narcisismo originario, nonostante faccia sorgere vigorosi tentativi per riguadagnare quella posizione perduta; tale distacco si compie tramite lo spostamento della libido su un Io ideale esterno, e l’appagamento si realizza con l’esaudire tale ideale. Contemporaneamente l’Io ha appoggiato l’investimento libidico sull’oggetto e così facendo si impoverisce, così come si impoverisce a beneficio dell’Io ideale; ma l’Io si arricchisce nuovamente per il soddisfacimento ricavato dall’oggetto, proprio come si arricchisce quando esaudisce il suo ideale: quindi una parte dell’autostima è primaria e corrisponde al residuo del narcisismo infantile, un’altra parte scaturisce dall’esaudimento dell’Io ideale, ed una terza deriva dal soddisfacimento della libido oggettuale.


3.     Kohut

Heinz Kohut ha descritto un sottotipo particolare di paziente narcisista definito “ipervigile”. Egli credeva che gli individui narcisisticamente disturbati, si fossero arrestati da un punto di vista evolutivo ad uno stadio in cui avessero bisogno di specifiche risposte dalle persone del loro ambiente per mantenere un Sé coeso ed in mancanza di tali risposte essi tendessero alla frammentazione del Sé. Kohut spiegava questo stato di cose come il risultato di fallimenti empatici dei genitori che, non avendo risposto alle manifestazioni di esibizionismo del bambino, adeguate rispetto alla sua fase di sviluppo, con validazione e ammirazione, non avevano offerto esperienze gemellari e non avevano fornito al bambino un modello degno di idealizzazione. Queste carenze si manifestano nella tendenza del paziente a formare un transfert speculare, gemellare o idealizzante. Per spiegare come nello stesso individuo possano coesistere bisogni narcisistici e oggettuali Kohut elaborò la teoria del doppio asse, per la queale gli individui hanno bisogno nel corso della nostra vita, di risposte di tipo     oggetto-Sé da parte di coloro che li circondano, solo che ad un certo livello gli altri vengono trattati  non come individui separati, ma come fonti di gratificazione per il sé. Il bisogno delle funzioni confortanti e validanti degli oggetti-Sé non si esaurisce mai, e per questo il fine del trattamento è aiutare il paziente a superare il bisogno di oggetti-Sé arcaici ed acquisire la capacità di usare oggetti-Sé più maturi e appropriati. In sostanza concettualizzò il Sé narcisistico non come difensivo, ma come un normale Sé arcaico che è semplicemente stato congelato nel suo sviluppo, e vedeva l’individuo narcisista come un bambino nel corpo dell’adulto, in quanto ha interiorizzato funzioni mancanti dalle persone del suo ambiente. Egli riteneva per questo l’aggressività un fenomeno secondario, come rabbia narcisistica in risposta alla mancata gratificazione dei propri bisogni di rispecchiamento e di idealizzazione, quindi una risposta del tutto comprensibile alle mancanze genitoriali. Kohut considerava l’idealizzazione nel transfert del paziente narcisista come la riedizione di una normale fase evolutiva piuttosto che un atteggiamento difensivo, e la riteneva un modo per compensare una struttura psichica deficitaria. I narcisisti ipervigili sono estremamente sensibili al modo in cui gli altri reagiscono nei loro confronti, e pertanto la loro attenzione è costantemente diretta verso gli altri alla ricerca della pur minima reazione critica, sentendosi di continuo offesi; sono generalmente timidi ed inibiti, ed evitano di mettersi in luce nella convinzione di essere rifiutati ed umiliati. Nel nucleo del loro mondo interno vi è un profondo senso di vergogna connesso al loro segreto desiderio di esibirsi con modalità grandiose: nella loro psicopatologia hanno un ruolo centrale i sentimenti di umiliazione e di penosa esposizione che derivano dal confronto con i limiti delle proprie capacità o dal riconoscimento di bisogni insoddisfatti, e molte delle difese che tali individui sviluppano sono dirette a evitare una consapevolezza dei sentimenti associati a queste esperienze. Per questo il narcisista ipervigile tenta di mantenere la stima di sé evitando le situazioni di vulnerabilità e studia attentamente gli altri per apparire come si deve; inoltre attribuisce proiettivamente agli altri la disapprovazione che nutre nei confronti delle sue fantasie grandiose. Kohut pensava che la psicanalisi fosse il trattamento d’elezione per la maggior parte dei pazienti narcisisti ed individuava l’empatia come chiave della tecnica: il terapeuta deve empatizzare col paziente per tentare di riattivare una fallita relazione genitoriale, andando incontro al bisogno del paziente di affermazione, di idealizzazione o di essere come il terapeuta; inoltre l’analista ed il terapeuta dovrebbero interpretare, non troppo maturamente, il bisogno del paziente di essere confortato, e non gratificare attivamente tale bisogno, quindi il suo approccio non implica una tecnica prevalentemente supportiva. Egli consigliava ai terapeuti di prendere il materiale analitico in modo diretto, il più vicino possibile all’esperienza del paziente, evitando in questo modo la ripetizione dei fallimenti empatici dei genitori, che spesso cercano di convincere il bambino che i suoi reali sentimenti sono diversi da quelli che lui descrive. Kohut era molto attento ai segni di frammentazione del Sé che potevano emergere nel corso della seduta: in presenza di tali frammentazioni il terapeuta deve incentrare la propria attenzione sull’evento precipitante piuttosto che sul contenuto della frammentazione stessa; ciò è in linea con una premessa generale della psicologia del Sé, per cui i terapeuti devono continuamente sorvegliare le modalità con cui riproducono i traumi infantili nei loro pazienti. Egli pensava d’altronde che il paziente avesse sempre ragione e quindi se si sentisse trascurato o ferito fosse ragionevole presumere che il terapeuta avesse commesso un errore. Inoltre è sempre stato sensibile alla vulnerabilità del paziente narcisista nei confronti del senso di vergogna: il terapeuta deve evitare di scavalcare l’esperienza soggettiva consapevole del paziente aggiungendo materiale inconscio che è al di fuori della sua consapevolezza, in quanto le interpretazioni delle motivazioni inconsce faranno solo sì che si senta colto in fallo, incompreso e pieno di vergogna. Sottolineava anche l’importanza di rilevare l’aspetto positivo dell’esperienza del paziente, evitando commenti che potevano essere vissuti come duramente critici; il fine del trattamento psicoterapeutico e psicanalitico del disturbo narcisistico di personalità era per Kohut aiutare i pazienti ad identificare e a ricercare oggetti-Sé appropriati. L’approccio di Kohut rispetto al narcisismo è stato duramente criticato, in particolare la sua riduzione della psicopatologia a deficienze empatiche dei genitori è stata vista come una colpevolizzazione semplicistica nei confronti dei genitori stessi; l’enfasi che poneva sullo stare vicino all’esperienza del paziente, sebbene sia in un certo senso vicina alla tecnica gestaltica, è stata messa in discussione da diversi psicanalisti in quanto porta a trascurare tematiche inconsce che dovrebbero essere affrontate durante il trattamento. Infine qualche parola relativa ai vissuti controtransferali, che con i pazienti narcisisti sono in genere molto intensi; il terapeuta coinvolto in un transfert idealizzante con un paziente narcisista può infatti compiacersi di godere di un calore e di un amore così intenso da portarlo a colludere con il desiderio del paziente di escludere la rabbia e l’odio dalla terapia. Un’evoluzione frequente nel trattamento dei pazienti narcisisti è che essi inizialmente idealizzeranno il loro attuale terapeuta mentre svaluteranno tutti quelli incontrati precedentemente; se il terapeuta non considera tale processo come una manovra difensiva, molto probabilmente accetterà di essere idealizzato come espressione del fatto che egli possiede pregi che altri suoi colleghi non avevano. I terapeuti che non riescono a riconoscere i propri bisogni narcisistici, e quindi utilizzarli per rendere il trattamento più efficace, possono invece disconoscerli ed esteriorizzarli, creando la visione erronea del paziente come l’unico membro della diade paziente-terapeuta che presenta segni di narcisismo. Inoltre un problema controtransferale tipico del narcisista ipervigile descritto da Kohut è che spesso il terapeuta si sentirà controllato, ed è pertanto utile in questi casi affrontare e discutere la questione apertamente .

4.     Kernberg

Kernberg ha descritto una tipologia di pazienti narcisisti che si può definire “inconsapevole”. E’ bene evidenziare che i pazienti studiati da Kernberg, essendo per la maggior parte ospedalizzati, presentavano caratteristiche più primitive, con aggressività, grandiosità, arroganza, tratti antisociali e differivano nettamente rispetto a quelli studiati da Kohut che erano pazienti ambulatoriali che presentavano un funzionamento relativamente buono e potevano permettersi una terapia). In realtà la tipologia di Kernberg coincide con la descrizione del DSM IV per il disturbo narcisistico di personalità: un quadro pervasivo di grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia che compare nella prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque o più dei seguenti elementi: senso grandioso di importanza; assorbimento da fantasie di illimitato successo, potere, fascino, bellezza, e di amore ideale; credere di essere speciale e unico, e di dover frequentare e potere essere capito solo da altre persone speciali e di classe elevata. Richiedere eccessiva ammirazione, avere la sensazione che tutto gli sia dovuto e la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative; sfruttamento interpersonale, ovvero approfittarsi degli altri per i propri scopi; mancanza di empatia; invidia nei confronti degli altri, o credere che gli altri siano invidiosi; mostrare comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi. Kernberg considerava l’organizzazione difensiva della personalità narcisistica simile al disturbo borderline di personalità, e la distingueva in base al Sé grandioso del narcisista, integrato ma patologico; egli considerava tale struttura una fusione tra Sé ideale, oggetto ideale e Sé reale, che da luogo ad una svalutazione distruttiva delle immagini dell’oggetto. I pazienti con disturbo narcisistico di personalità si identificano nelle loro idealizzate immagini di sé al fine di denegare la loro dipendenza dagli oggetti esterni e dalle immagini interne di questi oggetti; nello stesso tempo negano gli aspetti inaccettabili delle proprie immagini di sé proiettandoli negli altri. Il Sé grandioso patologico spiega dunque il paradosso del funzionamento egoico relativamente buono in presenza di difese primitive come scissione, identificazione proiettiva, onnipotenza, svalutazione, idealizzazione e diniego; praticamente, mentre il paziente borderline tende ad avere rappresentazioni di sé alterne che lo fa apparire diverso di giorno in giorno, il paziente narcisista ha un livello di funzionamento che lo fa apparire più regolare e coerente, anche se fondato su un Sé patologico integrato. Inoltre la personalità borderline è più soggetta a problemi connessi alla debolezza dell’Io come uno scarso controllo degli impulsi ed una ridotta tolleranza dell’ansia, mentre tali debolezze sono molto meno comuni nelle personalità narcisistiche grazie ad un funzionamento più uniforme della struttura del Sé. Tuttavia Kernberg considerava che alcuni pazienti narcisisti, quelli che occasionalmente richiedono un’ospedalizzazione, funzionano ad un livello borderline, presentando contemporaneamente la grandiosità e l’altezzosità della personalità narcisistica, sia il deficitario controllo degli impulsi e le caleidoscopiche relazioni d’oggetto caratteristici degli individui borderline. A differenza di Kohut che concettualizzava il Sé narcisistico come un normale Sé arcaico che è semplicemente stato congelato nel suo sviluppo, Kernberg vedeva il Sé di questi pazienti come una struttura altamente patologica che era priva di somiglianza con il normale sviluppo del Sé del bambino. In particolare l’espressione esibizionistica del bambino è affascinante e tenera, e non ha nulla a che vedere con l’avidità e le pretese del Sé patologico del narcisista. Egli considerava il Sé patologicamente grandioso come una difesa contro l’investimento negli altri, ed in particolare contro la dipendenza negli altri; questa caratteristica può manifestarsi come una pseudo autosufficienza, attraverso la quale il paziente nega qualsiasi bisogno di accudimento e contemporaneamente tenta di impressionare gli altri e di ottenerne l’approvazione; aveva inoltre una visione più primitiva dell’aggressività di questi pazienti, che li porta ad essere distruttivi nei confronti degli altri. Quest’aggressività originerebbe dall’interno e non può essere concettualizzata come una reazione comprensibile di fronte a insufficienze altrui; una sua manifestazione è una cronica e intensa invidia che induce a voler rovinare e distruggere le cose buone degli altri: Kernberg descrisse questi pazienti come individui costantemente impegnati a confrontarsi con gli altri, solo per poi ritrovarsi tormentati da sentimenti di inferiorità e da un’intensa brama di possedere ciò che gli altri hanno. La svalutazione degli altri nel tentativo di gestire l’invidia provata nei loro confronti è associata con un impoverimento del mondo interno delle rappresentazioni oggettuali, e lascia i pazienti con una sensazione di vuoto interiore che può essere compensato solo da un’ammirazione ed un plauso costanti da parte degli altri, oltre che da un controllo onnipotente nei loro confronti, così che la loro libertà, la loro gioia e la loro autonomia non producano ulteriore invidia. Kernberg considerava l’idealizzazione non come un tentativo di compensare una struttura psichica deficitaria, ma come una difesa contro sentimenti negativi come rabbia, invidia, disprezzo e svalutazione. I pazienti da lui descritti sembravano avere solo le forme più superficiali di relazione d’oggetto, e dimostrano uno scarso interesse per ciò che gli altri dicono, a meno che non si tratti di commenti lusinghieri nei loro confronti; sembrano non avere alcun tipo di consapevolezza del loro impatto sugli altri, parlano come se si rivolgessero ad un vasto pubblico, stabilendo raramente un contatto visivo. Parlando al cospetto degli altri e non con gli altri, sono ignari del fatto che sono noiosi e che di conseguenza alcuni abbandoneranno la conversazione per cercare compagnia altrove; mostrano un evidente bisogno di essere al centro dell’attenzione ed i loro discorsi sono ricchi di riferimenti ai loro successi; sono insensibili ai bisogni delle altre persone, fino al punto di non permettere che altri contribuiscano alla conversazione: vengono percepiti come se avessero un trasmettitore ma non un ricevitore. Con questo comportamento i pazienti narcisisti inconsapevoli tentano di impressionare gli altri con le loro qualità e di preservarsi al contempo dalla ferita narcisistica eludendo le loro risposte.

Anche Kernberg considerava la psicanalisi come il trattamento d’elezione per i pazienti narcisisti; il suo approccio parte dal presupposto che il Sé grandioso del paziente viene proiettato ed introiettato in modo alterno, in modo che nella stanza d’analisi sono sempre presenti due figure, una idealizzata e l’altra svalutata all’ombra di quella idealizzata: essendo l’idealizzazione del terapeuta un modo per difendersi da sentimenti scissi di disprezzo, invidia e rabbia, andrebbe interpretata piuttosto che essere accettata come un normale bisogno evolutivo. La sua tecnica è molto più dialettica e meno empatica di quella di Kohut: essendo convinto che l’avidità e la mancanza d’impegno tipici del disturbo narcisistico non fossero aspetti di uno sviluppo normale, riteneva che questi tratti dovessero essere affrontati ed esaminati partendo dal loro impatto sugli altri, pertanto lo sviluppo precoce di un transfert negativo deve essere sistematicamente esaminato ed interpretato. Il terapeuta deve quindi focalizzarsi sull’invidia e sul modo in cui impedisce al paziente di ricevere o riconoscere l’aiuto: quando i pazienti ricevono qualcosa di positivo dal loro terapeuta, spesso la loro invidia aumenta poiché ciò genera sentimenti di inadeguatezza o di inferiorità rispetto alle capacità di cura e di comprensione del terapeuta. Kernberg pensava che una comprensione cognitiva attraverso il processo interpretativo fosse cruciale per il successo terapeutico, ed individuava negli obbiettivi della terapia lo sviluppo della colpa e della preoccupazione nei confronti degli altri e l’integrazione dell’idealizzazione e della fiducia con la rabbia ed il disprezzo. Egli riteneva che i pazienti narcisisti fossero i più difficili da trattare in quanto ogni loro sforzo mira a fare fallire il terapeuta; affinché la terapia abbia successo, questi pazienti devono confrontarsi con intensi sentimenti di invidia verso colui che ha qualità positive che a essi mancano. Il paziente usa difensivamente la svalutazione ed il controllo onnipotente per tenere a distanza il terapeuta, e queste difese devono essere affrontate continuamente. I pazienti con accentuati tratti antisociali possono essere di fatto incurabili, mentre vi sono dei fattori che depongono per una prognosi favorevole: capacità di tollerare la depressione e la tristezza, maggiore propensione verso la colpa rispetto alle tendenze paranoidi nel transfert, una certa capacità di sublimare le pulsioni primitive, un controllo degli impulsi relativamente buono ed una buona motivazione. Per pazienti caratterizzati da eccessiva crudeltà e sadismo, con spiccate caratteristiche antisociali, che non hanno nessun coinvolgimento con gli altri, con intense reazioni paranoidi verso gli altri e con una rabbia cronica razionalizzata come colpa degli altri, Kernberg suggeriva una terapia supportiva, dove un’identificazione con il terapeuta li potrebbe aiutare a funzionare meglio, ma è opportuno che il processo rimanga non interpretato. Uno dei problemi controtransferali con i pazienti narcisisti inconsapevoli è la noia, dovuta al fatto che parlano come se si trovassero di fronte ad un vasto pubblico, e che non considerano il terapeuta come una persona separata con pensieri e sentimenti propri; questa sensazione di essere esclusi dal paziente può essere il prodotto di un processo di identificazione proiettiva in cui il paziente ignora il terapeuta come in passato i suoi genitori avevano ignorato lui. Dato che i pazienti narcisisti tendono a considerare l’analista come un prolungamento di sé, spesso evocano nel terapeuta stati che riflettono i loro conflitti interiori: un aspetto del paziente è proiettato nel terapeuta che si identifica con quel Sé prima di aiutare il paziente a reintroiettarlo. Il contenimento di questi aspetti proiettati del paziente può essere una parte importante del trattamento psicoterapeutico dei pazienti narcisisti e comprendere questo può aiutare il terapeuta a non allontanarsi dal paziente, a non affrontarlo sadicamente e a non provare la sensazione di sentirsi ferito e violentato da lui.

5.     Lowen

Lowen condivide la definizione di Kernberg della personalità narcisistica come una combinazione di intensa ambizione, fantasie grandiose, sentimenti di inferiorità, ed eccessiva dipendenza, accompagnati da incertezza cronica, insoddisfazione di sé stessi, crudeltà e sfruttamento nei confronti degli altri. Questa analisi descrittiva permette di identificare i soggetti narcisisti, ma per capirli è necessario penetrare sotto la superficie per vedere il disturbo della personalità che dà origine a quel comportamento. In ottica psicanalitica il problema si sviluppa nella prima infanzia, come risultato della fusione tra sé ideale, oggetto ideale e immagini reali di sé, difesa necessaria per fare fronte alla realtà intollerabile del mondo interpersonale. I narcisisti in pratica sono assorbiti dalla loro immagine e non sono in grado di distinguere tra l’immagine di chi credono di essere e l’immagine di chi effettivamente sono, di modo che l’identificazione con l’immagine idealizzata porti alla perdita della reale immagine di sé.  Secondo la psicanalisi però, tutto ciò che avviene nella psiche determina la personalità, trascurando di considerare che tutto ciò che avviene nel corpo influenza pensiero e comportamento quanto ciò che avviene nella psiche; la coscienza è in rapporto con le immagini che regolano le nostre azioni, che implicano l’esistenza dell’oggetto che rappresenta: l’immagine di sé deve avere un qualche rapporto con il sé, che è qualcosa di più di un’immagine. E’ doveroso quindi risalire al sé corporeo che viene proiettato sull’occhio della mente come immagine ed il senso di sé dipende dalla percezione della vita del corpo, che è a sua volta una funzione della mente che crea immagini. Quindi se il corpo è sé, l’immagine di sé reale deve essere un’immagine corporea, e si può abbandonare l’immagine di sé solo se si rifiuta la realtà di un sé incorporato. I narcisisti non negano di avere un corpo, però lo considerano come uno strumento della mente, soggetto alla loro volontà e l’attività del corpo è basata in questo modo su delle immagini anziché su delle emozioni. In sostanza per Lowen la negazione dei sentimenti è il disturbo principale della personalità narcisistica, che può essere definita come una persona la cui condotta non è motivata dai sentimenti. A questo proposito egli fa un paragone con l’isteria dell’epoca vittoriana: ai tempi di Freud l’abitudine di tenere a freno l’eccitazione sessuale comportava lo sviluppo nelle persone di un superio rigoroso e severo che creava ansia e forti sensi di colpa. Oggi al contrario sono pochi a soffrire coscientemente di sensi di colpa ed a provare ansie per problematiche legate al sesso, semmai può esserci una più diffusa inclinazione nel lamentarsi per non essere all’altezza, in merito alle proprie prestazioni.  Il narcisista quindi sembra mancare di quello che potrebbe essere considerato un normale superio, e non avendo il senso del limite, ha la tendenza ad agire i propri impulsi e si sente libero di ricercare il proprio stile di vita al di fuori delle regole sociali. A livello affettivo quindi, mentre l’isterico è iperemotivo ed esagera la manifestazione dei propri sentimenti, predisponendosi all’ansia, il narcisista invece li minimizza ed è pervaso da un senso di vuoto che lo porta spesso alla depressione. Nell’isteria è presente una paura più o meno cosciente di essere sopraffatti dai sentimenti, mentre nel narcisismo questo timore è per lo più inconscio. Queste distinzioni sono per lo più teoriche in quanto poi nella clinica l’ansia e la depressione possono essere presenti contemporaneamente, soprattutto nelle personalità borderline; tuttavia possono essere utili a configurare come il cambiamento di una serie di valori dominanti possa portare verso l’affermazione di diverse patologie. Oggi prevale la tendenza a considerare i limiti come restrizioni non necessarie al potenziale umano e potere, efficientismo e produttività hanno preso il posto di virtù ormai desuete come la dignità, l’integrità ed il rispetto di sé stessi. Il narcisismo non è certo però apparso nella nostra epoca, per Freud infatti, il termine si riferiva a quei soggetti che derivavano una soddisfazione erotica dalla contemplazione del proprio corpo e che potesse fare parte del normale decorso dello sviluppo sessuale degli uomini. Lowen invece non credeva al concetto di narcisismo primario, e ritenendo che ogni forma di narcisismo fosse secondaria e venisse determinata dalle difficoltà nel rapporto genitore-figlio, da una distorsione dello sviluppo, considerando che occorresse cercare qualcosa che i genitori avessero fatto al bambino, piuttosto che indagare semplicemente su ciò che avevano tralasciato di fare, anche se poi in realtà i bambini sono spesso soggetti ad entrambi i tipi di trauma. I genitori, non riconoscendo e non rispettando l’individualità del figlio, non gli danno un affetto ed un appoggio sufficienti ed allo stesso tempo, con la seduzione, cercano di farli corrispondere all’immagine che se ne sono fatti. La mancanza di cure e di rispetto aggrava la distorsione, ma è quest’ultima a causare il disturbo.

Lowen individua diversi gradi di disturbi e di perdita del Sé, e distingue cinque tipi di turbe narcisistiche che si differenziano per caratteristiche e per gravità; in ordine crescente di gravità elenca:

il carattere fallico –narcisistico;  nel quale il divario tra immagine e Sé è minimo, e si configura come un investimento dell’Io degli uomini nella seduzione delle donne; il loro narcisismo consiste nell’esagerazione della propria immagine sessuale e nella preoccupazione per essa. Si manifesta con l’ostentazione di un senso di superiorità e di una dignità esagerata. La controparte femminile del maschio fallico-narcisistico è il carattere isterico che identifica una donna preoccupata della propria immagine sessuale, sicura di sé, spesso arrogante e vigorosa, dalla forte presenza. Il suo narcisismo è evidente nelle tendenza a essere seduttiva e a misurare il proprio valore in base alla capacità di attrarre sessualmente con il suo fascino femminile.

Proseguendo nella classificazione evidenzia il carattere narcisistico che ha un’immagine dell’Io più grandiosa, ed una necessità di sentirsi perfetto e di essere considerato tale anche dagli altri; spesso ha un apparente successo e si dimostra abile a cavarsela nel potere e nel denaro, è tenuto in grande considerazione dagli altri, però ha un’immagine grandiosa in quanto è contraddetta dalla realtà del Sé: i caratteri narcisistici sono totalmente fuori posto nel mondo dei sentimenti e non sanno come rapportarsi alle altre persone in maniera reale e umana.

Al terzo posto vi è la personalità borderline, che può anche non manifestare i sintomi caratteristici del narcisismo; alcuni di loro possono proiettare un’immagine di successo, di competenza e di autorità che però si frantuma facilmente quando è sottoposta a stress emotivo, rivelando in questo modo il bambino impaurito e bisognoso di aiuto che vi sta dietro. Altri si propongono come deprivati, enfatizzano la propria vulnerabilità e si appoggiano spesso agli altri, nascondendo la grandiosità e l’arroganza che non potrebbero essere confermate da adeguati riconoscimenti. Molte volte l’ostentazione dei caratteri narcisistici è una difesa efficace contro al depressione, però in questo caso l’esibizione di un successo non garantisce tale protezione e spesso questi pazienti iniziano il trattamento affermando di essere depressi, in quanto spesso i sensi di superiorità e di inferiorità coesistono. Rispetto alle altre due tipologie individuate precedentemente, nelle personalità borderline si riscontra una minore forza dell’Io, e sono meno motivate da un senso autentico del Sé.

La quarta classificazione riguarda la personalità psicopatica caratterizzata da un grado ancora maggiore di grandiosità manifesta o latente. Si considera superiore agli altri e dimostra un’arroganza che rasenta il disprezzo per l’umanità, nega i sentimenti ed ha la tendenza all’acting out in forma antisociale, un tipo di comportamento che non tiene conto degli altri ed è generalmente distruttivo degli interessi più autentici del Sé; i soggetti psicopatici mentono, imbrogliano, rubano, uccidono, senza dare segno di provare colpa o rimorso, e questa estrema mancanza di solidarietà umana li rende molto difficili da trattare. In genere gli impulsi impliciti in questi comportamenti hanno origine da situazioni infantili così traumatiche da non poter essere integrate nello sviluppo dell’Io, di modo che i sentimenti associati a questi impulsi slittino al di là della percezione dell’Io; l’azione viene compiuta in assenza di sentimenti consci. Vengono individuati nella descrizione delle personalità psicopatiche una serie di caratteristiche legate al narcisismo, come il bisogno di gratificazione istantanea, e l’incapacità di contenere i desideri e di sopportare le frustrazioni, le cui origini vanno ricercate nell’insufficienza del senso di Sé.

Infine, al livello più alto della scala vi è la personalità paranoide, caratterizzata da una vera e propria megalomania. I soggetti paranoidi sono convinti di essere al centro degli sguardi e di ogni discorso, e che la gente cospiri contro di loro, in quanto si sentono speciali e molto importanti, e possono credere di avere poteri straordinari; si alienano a tal punto da non riuscire più a distinguere tra fantasia e realtà. Sebbene assomigli di più ad una psicosi, si possono ritrovare nella personalità paranoide molte caratteristiche legate al narcisismo come estrema grandiosità, un marcato divario tra l’immagine dell’Io ed il Sé reale, arroganza, insensibilità verso gli altri,  negazione e proiezione.

Il narcisista dimostra mancanza di interesse per gli altri, così come per i suoi più veri bisogni, mettendo spesso in atto un comportamento autodistruttivo. Il narcisismo denota un investimento nell’immagine invece che nel Sé ed i narcisisti amano l’immagine che si sono costruiti; avendo un Sé debole ed incapace di dirigere le proprie azioni, si comportano al fine di incrementare l’immagine, spesso a scapito del Sé. Molte persone, naturalmente, investono sulla propria immagine facendo molti sforzi per dare agli altri ed a se stessi una buona impressione. La differenza però è tra un interesse sano per  una apparenza basato sul senso di Sé, e al contrario lo spostamento di identità dal Sé all’immagine, caratteristico dello stato narcisistico. L’essere umano ha una duplice identità che deriva in parte dall’identificazione con l’Io;è un’organizzazione mentale che si sviluppa con la crescita, ed in parte dall’identificazione con il corpo e con ciò che sente. Dal punto di vista dell’Io, il corpo è un oggetto da osservare, studiare e controllare nell’interesse di una prestazione che sia all’altezza della propria immagine. Dall’altro punto di vista, giacché l’uomo è mosso dai sentimenti così come dalla volontà, il corpo svolge un ruolo attivo ed informa la mente delle sue necessità e dei suoi desideri, determinando così la direzione e lo scopo delle azioni del soggetto. In una persona sana le due identità sono congruenti, mentre quando manca la congruenza tra Sé ed immagine di Sé, la personalità è disturbata ed il grado di questo disturbo è direttamente proporzionale al grado di incongruenza. Nella schizofrenia l’immagine non ha quasi alcun rapporto con la realtà. Nei disturbi narcisistici l’incongruenza è minore, ma sufficiente a produrre una scissione dell’identità, con conseguente confusione, che i narcisisti evitano negando l’identità basata sul corpo senza dissociarsi da esso, e concentrando l’attenzione e l’interesse esclusivamente sull’immagine. Impedendo che qualsiasi sentimento o sensazione intensa raggiunga la coscienza, i narcisisti possono trattare il corpo come un oggetto che dipende dal controllo della volontà, ritirando quindi la libido dal corpo ed investendola sull’IO.

Sostanzialmente quindi il narcisista vive in funzione della propria immagine che, non trovando riscontro e non essendo sostenuta dai vissuti del corpo, ha un bisogno continuo di essere alimentata e gonfiata dal riconoscimento da parte degli altri. In conseguenza di ciò la personalità narcisistica per poter funzionare diventa dipendente dall’ambiente, e questo la porta ad allontanarsi sempre di più dal suo vero sé che corrisponde alle emozioni ed ai sentimenti che trovano sede nel corpo. Quindi nel momento in cui l’immagine si costituisce come forza dominante della personalità, l’individuo sopprimerà qualsiasi sentimento che la contraddica, facendo diventare il vero sé che sta sotto ribelle e rabbioso, in quanto nascosto e negato. Tuttavia questa ribellione e questa rabbia non possono mai essere del tutto soppresse poiché sono espressione della vitalità della persona; non potendo essere espresse direttamente, si riveleranno nell’acting out, e ciò può essere molto pericoloso. Lowen è convinto che l’immagine può raggiungere una posizione dominante solo in assenza di sentimenti forti, ed è proprio questa negazione dei sentimenti che costituisce la base della personalità narcisistica.

Tutti i nevrotici utilizzano il meccanismo di anestetizzare alcune parti del corpo per reprimere i sentimenti, però nel caso del narcisismo è in gioco una difesa tipica, proprio la negazione dei sentimenti. Questi consistono nella percezione di un evento o di un movimento interno al corpo, e nel caso della negazione dei sentimenti ciò che viene bloccato è proprio la funzione della percezione. La necessità di proiettare e di mantenere un’immagine costringe a impedire che qualsiasi sentimento contrario ad essa raggiunga la coscienza, e spesso il comportamento evidente che potrebbe contraddire l’immagine viene razionalizzato. Nell’individuo narcisista le azioni non sono associate ai sentimenti che le motivano, ma sono giustificate dall’immagine. La conseguenza della negazione dei sentimenti propri è l’insensibilità a quelli degli altri, infatti i narcisisti possono essere spietati, sfruttatori, sadici e distruttivi a causa del fatto che mancano di empatia, e non vedono gli altri come persone reali, ma solo come oggetti da usare. In sostanza quindi senza la negazione dei sentimenti l’immagine non diventerebbe dominante, ma solo quando lo diventa i sentimenti vengono continuamente negati. Lowen a proposito della negazione dei sentimenti fa un interessante paragone con la guerra, in cui si insegna a vedere i nemici non come persone reali, in quanto uccidere una persona reale non risulterebbe facile, ma come immagini che è loro dovere distruggere. La vittoria e la sconfitta sono questioni di vita o di morte e non c’è spazio per i sentimenti. I soldati devono obbedire agli ordini, combattere senza discutere ed agire senza sentire, in quanto entrare in contatto con la propria paura, dolore o tristezza li indebolirebbe e li renderebbe inefficaci. Spesso l’immagine attraverso la quale il narcisista vede gli altri è intrisa di aspetti rifiutati dal proprio Sé, e l’aggressione verso gli altri ha in parte origine dal desiderio di distruggere questi aspetti respinti; se ha un’immagine di forza, proietterà sugli altri un’immagine di vulnerabilità e di debolezza che deve essere distrutta. Altro aspetto legato al narcisismo è la menzogna; l’inconsistenza e l’inadeguatezza dell’immagine, essendo dovute ad una negazione della realtà, caratterizza i narcisisti come persone inclini a mentire, avvicinandoli per certi aspetti a quelle che sono le personalità psicopatiche a cui manca completamente il Super-Io portandoli con il tempo a perdere la capacità di distinguere tra menzogna e verità, identificandosi completamente con la propria immagine che ormai è divenuta reale. Per Lowen inizialmente la negazione è consapevole in quanto la percezione selettiva ci permette di distogliere l’attenzione da un problema la cui soluzione non è in nostro potere. Non si decide di negare la realtà di una situazione, ma si è consapevoli della sua sgradevolezza e del desiderio di evitarla. Col tempo però la negazione diventa inconsapevole e non si prova più dolore, e si crea al suo posto l’immagine di una situazione piacevole e felice, che permette di andare avanti come se tutto andasse bene. In questo modo la negazione si struttura nel corpo sotto forma di tensioni croniche localizzate muscolarmente. Lowen riconosce comunque che nei narcisisti vi siano sentimenti potenzialmente presenti, che si manifestano di tanto in tanto in forma distorta ed assumono due forme: una rabbia irrazionale, che corrisponde ad un’esplosione distorta di collera ed un lacrimoso sentimentalismo che è un sostituto dell’amore. La spiegazione che dà di questo fatto è che se da un lato è vero che l’Io riesce a controllare i sentimenti simulandoli o limitandone l’intensità è anche vero che le emozioni sono risposte del corpo nella sua totalità, pertanto non è possibile sopprimere o negare la paura senza sopprimere nello stesso tempo un sentimento di collera. Lowen nella sua pratica terapeutica cerca di mettere in contatto i narcisisti con i propri sentimenti ed particolarmente con la propria tristezza. Tristezza e paura sono infatti le emozioni che sono soggette a severe inibizioni da parte dei soggetti narcisisti, in quanto la loro espressione rende vulnerabili. Esprimere la tristezza conduce, infatti, alla consapevolezza di una perdita e rievoca il desiderio, esponendo pertanto alla possibilità di un rifiuto e di un’umiliazione, quindi non volere e non provare desideri è una difesa contro possibili ferite; se non si prova paura non ci si sente vulnerabili e si può pensare di non venire colpiti. La negazione della tristezza e della paura consente quindi di proiettare un’immagine di indipendenza, di coraggio e di forza, nascondendo a se stessi ed agli altri la propria vulnerabilità. L’immagine però è solo una facciata, è impotente, e di per sé non ha forza reale, che risiede invece nei sentimenti dell’individuo. Altra tematica legata al narcisismo è quella del controllo, che protegge da una possibile umiliazione. i narcisisti controllano in primo luogo se stessi, negando quei sentimenti che li renderebbero vulnerabili, e devono controllare anche le situazioni in cui si trovano coinvolti, accertandosi che non ci sia possibilità che altri abbiano potere su di loro; potere e controllo sono quindi due facce della stessa medaglia, ed insieme concorrono a proteggere l’individuo dal sentirsi vulnerabile ed incapace di prevenire una possibile umiliazione. Lowen è convinto che la maggior parte dei pazienti narcisisti fossero in qualche modo stati umiliati dai genitori nel corso della loro infanzia, che avevano usato il potere come mezzo per controllarli. Molte volte il potere si configura come maggiore forza fisica che costringe il bambino alla sottomissione, mentre altre volte prende la forma di una critica che lo fa sentire senza valore, inadeguato e stupido, altre volte ancora nei bambini più grandi subentra la seduzione con promesse di trattamenti speciali e di maggiore intimità a condizione che il bambino si adegui ai desideri dei genitori. Una spiegazione di questi comportamenti, è che gli adulti ripetano sui figli il trattamento che hanno ricevuto dai loro stessi genitori, in quanto i bambini sono gli oggetti più a portata di mano, quelli su cui è più facile sfogare risentimenti e frustrazioni; in sostanza quindi entrare in una logica di potere comporta il ricorso alla ribellione o alla sottomissione. Il bambino che si sottomette impara che i rapporti sono governati dal potere e questa è una premessa perché da adulto lotti per ottenerlo. I bambini imparano presto a giocare lo stesso gioco dei genitori, ed il miglior modo per avere potere su di loro è fare qualcosa che li turbi; i genitori di fronte ai comportamenti distruttivi tesi a turbarli, promettono al bambino, se cede, di dargli ciò che vuole, e dal momento che cedere implica una perdita di potere, la minaccia della ribellione deve essere sempre presente. Molto spesso la lotta di potere tra un genitore ed un figlio è parte di una più grande lotta per il potere che è in atto tra marito e moglie, ed il bambino che viene portato con la seduzione a sentirsi speciale diviene il centro di questa lotta. In fin dei conti non può esserci amore in un rapporto quando il potere ha un ruolo determinante e le battaglie familiari per il potere finiscono per essere estremamente distruttive.

Lowen è convinto che se ai bambini venisse consentito di esprimere la collera verso i genitori tutte le volte che sentissero di avere un risentimento legittimo, nel mondo ci sarebbero molte meno personalità narcisistiche. Per arrivare a conoscere se stessi i narcisisti devono ammettere la loro paura della follia e sentire la rabbia omicida che hanno dentro e che identificano con la follia ed è utile in fase terapeutica indicargli che ciò che credono follia, ovvero la loro collera, è in realtà una cosa normale se riescono ad accettarla, mentre la vera follia è ciò che loro considerano un segno di equilibrio mentale, cioè la mancanza di emozioni. Lowen propone un’interessante differenza tra il narcisista e le personalità schizoide: il primo mette a fuoco la realtà esterna escludendo in parte il mondo interno del sentimento, mentre il secondo si ritira dal mondo esterno e si rifugia nella realtà interiore perché non è in grado di tenere testa alle forze ed alle pressioni del mondo esterno. I narcisisti sanno quindi affrontare bene la realtà, anche se non sono in grado di rispondere emotivamente alle situazioni ed avendo ridotto tutti gli oggetti ad immagini, finiscono per manipolare le persone e le cose.

Proteggere l’organismo dagli stimoli che non può governare, è parte della funzione di adattamento dell’Io designata a proteggere l’integrità della persona e ciò si configura come negazione di alcuni aspetti della realtà esterna. Tuttavia questa difesa valida, diventa una nevrosi nel momento in cui, protraendosi nell’età adulta, rimane operante in situazioni in cui la persona non è indifesa. La negazione è ottenuta rendendo la superficie insensibile agli stimoli, ed il suo effetto è quello di irrigidire l’Io che diventa così incapace di rispondere emotivamente alla realtà o di modificarla secondo i propri sentimenti. Se l’individuo quindi, si viene a trovare in una situazione di eccesso o di eccitazione che non riesce a sfogare entra in difficoltà, in quanto vive la stessa come un dolore e dispiacere e quando la tensione aumenta al punto da diventare intollerabile il soggetto si anestetizza. Più grande è la minaccia dello sfogo, maggiore sarà l’energia investita nella facciata esposta al mondo che serve all’individuo per controllare e negare i sentimenti; l’effetto finale quindi, sarà l’imprigionamento del vero sé, il sé sensibile.

Fonte: dal web

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