lunedì 8 luglio 2013

"Freud e la nuova razionalità"

di Antonio Gargano


Sigmund Freud, nato nel 1856 a Freiberg, in Moravia, da una famiglia ebrea di lingua tedesca, trascorse l’infanzia e la giovinezza a Vienna, dove si formò in un’atmosfera di cultura positivistica e materialistica e dove si laureò in medicina nel 1881. Nei primi anni dopo la laurea in medicina, Freud si occupò degli effetti chimici degli anestetici e della cocaina; da queste ricerche passò allo studio dei disturbi mentali. Collaborando con il collega Josef Breuer, Freud giunse a capire che l’isteria non è causata da un tessuto che si è necrotizzato, da una lesione del sistema nervoso, da un fatto fisico, ma da tutt’altro. Freud e Breuer studiarono pazienti affette da isteria che, indotte a cadere in un sonno ipnotico, riuscivano a liberarsi del loro malessere, ad alleviare i loro sintomi e a dare segni di guarigione. Essi iniziarono ad applicare il loro metodo, che chiamarono catartico (dal greco catarsi=purificazione) riscontrando anche su altri tipi di pazienti che il ricordare gli episodi traumatici che hanno portato alla sofferenza libera dai sintomi stessi; piú precisamente, se il paziente non semplicemente ricorda l’episodio traumatico, ma riprova «l’affetto che lo aveva accompagnato», il sintomo scompare. Freud studiò le dinamiche dell’ipnosi anche in Francia, presso la clinica parigina della Salpêtrière insieme a Charcot. Tornato a Vienna, dovette difendersi dagli attacchi della medicina ufficiale, ispirata a principi positivistici, convinta della natura puramente organica, fisica, dei disturbi mentali. Nel 1895 Freud e Breuer pubblicarono un libro intitolato Studi sull’isteria, che raccoglieva i risultati delle loro esperienze terapeutiche.
Successivamente Freud si rende conto che l’ipnosi non è un metodo affidabile per diversi motivi: prima di tutto perché non tutti i pazienti possono venir ipnotizzati, in quanto l’ipnosi implica una sorta di stato di inferiorità, di debolezza del paziente, inoltre perché si riscontrano fenomeni di ricaduta, ma soprattutto Freud si convince del fatto che il paziente ipnotizzato, proprio perché si trova in una condizione di soggezione nei confronti dell’ipnotizzatore che gli comanda di ricordare, racconta traumi, afferma di essersene liberato, ma lo fa soltanto perché pensa che il medico abbia piacere di sentirsi dire questo. Freud ricorre all’espressione “ricordi di copertura” per indicare ricordi che il paziente inventa, sia pur inconsapevolmente. Per questo Freud sostituisce il metodo ipnotico con quello delle libere associazioni. Egli si accorge che il paziente, anche senza essere ipnotizzato, se posto in uno stato di rilassatezza, mediante libere associazioni di parole e di ricordi fa emergere l’evento che lo opprime: il paziente viene sollecitato a esprimere immediatamente e liberamente tutto ciò che pensa; con le libere associazioni si mette in movimento una catena di ricordi, di pensieri che penetra in profondità nella psiche ed arriva di anello in anello alla causa del malessere. Freud si avvicina cosí alla scoperta dell’inconscio.
Freud esplicita con chiarezza un’idea che era stata già presente nel Romanticismo, in Schopenhauer e in una parte della cultura dell’800. I romantici tedeschi avevano parlato del sogno come un luogo in cui si manifestano verità diverse da quelle della vita reale, cosciente. Schopenhauer parla della coscienza come della superficie di un lago, lasciando intendere che sotto la superficie c’è qualcosa d’altro. Freud perfeziona queste intuizioni e, grazie alle sue esperienze terapeutiche, perviene alla formulazione della teoria dell’inconscio, delineata nel celebre libro L’interpretazione dei sogni, apparso nel 1900, che si può considerare l’inizio della psicoanalisi, di una nuova consapevolezza dell’uomo. Freud sostiene che non solo nello stato di rilassatezza, ma a maggior ragione nel sogno, i contenuti che urgono all’interno dell’individuo e che causano il suo malessere riescono a manifestarsi, sia pure parzialmente. L’interpretazione dei sogni mostra che la nostra vita cosciente è solo la punta di un iceberg. Come in un iceberg la parte emergente è minima rispetto a quella sommersa, cosí nella nostra vita psichica il conscio è un materiale minimo rispetto al materiale inconscio che si trova nella profondità della nostra psiche. L’inconscio è un intero mondo di forze che premono dal nostro interno e mantiene dentro di sé contenuti respinti dalla coscienza in quanto per le sue convinzioni morali l’individuo non li riconosce come congrui, come ammissibili. Questi contenuti rimossi dalla coscienza vengono tenuti sotto controllo da una censura, che impedisce loro di emergere, ma che in stato di rilassatezza, e soprattutto durante il sonno, si indebolisce, consentendo ai contenuti inconsci di manifestarsi parzialmente. La censura si indebolisce, ma non si annulla del tutto: durante il sonno l’inconscio manifesta nei sogni, i suoi contenuti, ma in maniera parziale, distorta, per cui è necessaria un’interpretzione dei sogni. In questa grande opera Freud decodifica il linguaggio dell’inconscio attraverso l’analisi dei sogni dei suoi pazienti (e dei propri) e riesce a capire quali sono i meccanismi fondamentali attraverso cui la censura modifica il contenuto inconscio, il contenuto latente del sogno e lo fa diventare contenuto manifesto, cioè quello che noi ricordiamo. Imparando a decifrare il contenuto manifesto del sogno si può risalire al contenuto latente (nascosto) e quindi agli impulsi dell’inconscio.
I meccanismi fondamentali attraverso i quali impulsi, desideri, emozioni del nostro inconscio vengono tradotti in immagini di sogno sono:
- la condensazione, per la quale un’idea, un’immagine del sogno può fondere insieme vari pensieri e ricordi; dice in proposito Freud: «Il sogno è stretto, misero e laconico in paragone alla estensione e alla ricchezza delle idee del sogno»;
-lo spostamento, processo per cui la carica emotiva (attrazione erotica, aggressività, etc) è separata dal suo oggetto reale ed è riferita a un oggetto differente;
-la drammatizzazione, che è la «trasposizione in immagini visive»; la maggior parte dei sogni sono composti da immagini vivide, mentre il pensiero concettuale è in essi spesso debole o assente; i pensieri e le emozioni alla base del sogno si presentano in successione densa e movimentata, come se il sognatore fosse allo stesso tempo spettatore e attore in un dramma misterioso;
-la simbolizzazione, che consiste nell’utilizzo da parte dell’inconscio di simboli sostitutivi delle cose. Riccorriamo in proposito alle parole e a qualche esempio dello stesso Freud: «Il simbolismo è forse il capitolo più strano della teoria dei sogni [...] i simboli realizzano in certo qual modo l’idea dell’interpretazione onirica degli antichi e del popolo [...]. Per il genitale maschile il sogno conosce un gran numero di figurazioni che si possono dire simboliche, nelle quali il lato comune a tutti i paragoni è per lo più evidente: in primo luogo oggetti lunghi e sporgenti come per esempio bastoni, ombrelli, stanghe, pali, alberi ed altro. Poi da oggetti che abbiano con esso l’attitudine comune di poter penetrare nel corpo e di ferire, come per esempio armi appuntite di ogni sorta, coltelli, pugnali, lance, spade, ma anche armi da fuoco come schioppi, pistole e rivoltelle, che per la loro struttura si adattano ottimamente a questo simbolo [...]. Il genitale femminile viene rappresentato simbolicamente con tutti quegli oggetti che hanno in comune con esso la qualità di rinchiudere uno spazio vuoto atto ad accogliere qualche cosa. Dunque con pozzi, fosse o caverne, con recipienti e bottiglie, con scatole, barattoli, bauli, astucci, casse, borse, ecc. Anche la nave appartiene a questa serie [...]».

-l’elaborazione secondaria: nel contenuto manifesto (quello che ricordiamo al risveglio) durante il sogno è già avvenuta un’elaborazione degli impulsi inconsci da parte della censura, ma un’ulteriore trasformazione avviene nell’elaborazione secondaria nel momento in cui ci si risveglia, cioè quando la censura, rientrata in azione con tutte le sue forze, ostacola il ricordo della trama del sogno e induce a dare un senso al ricordo del sogno.
Tutto il complesso “lavoro onirico”, cioè il lavoro della censura durante il sonno, è volto a mascherare i reali contenuti dell’inconscio. Il sogno si presenta dunque come l’espressione travestita e deformata di un desiderio represso, non accettato dall’io cosciente. Dal punto di vista psicologico, la funzione del sogno è quella di scaricare la tensione generata da desideri repressi, desideri che spesso riguardano la vita sessuale. «Quanto più ci si occupa dell’interpretazione dei sogni - scrive Freud - tanto più si è disposti a riconoscere che la maggior parte dei sogni degli adulti tratta di materiale sessuale ed esprime desideri erotici». Un’ulteriore scoperta di Freud è che il sogno è sempre collegato a una dinamica affettiva, a un fatto emotivo della primissima infanzia sprofondato nell’inconscio. Su questa strada Freud tra l’altro ricostruisce la reale dimensione della vita infantile, che nel 1905 teorizza nel libro Tre saggi sulla teoria della sessualità. Quest’opera provoca uno scandalo generale, una rottura con Breuer e con i suoi primi discepoli, tra cui Jung, in quanto Freud vi dimostra che la vita del bambino non è quale è sempre stata dipinta, cioè ingenua e innocente, ma è invece animata da fortissime tensioni sessuali.
Freud cosí difende la propria scoperta dell’inconscio: «Molti ci contestano il diritto di presupporre l’esistenza di qualcosa di psichico che è inconscio e di usare tale presupposto ai fini scientifici. A costoro possiamo rispondere che la nostra presupposizione dell’inconscio è necessaria e legittima, e che abbiamo numerose prove della sua esistenza. È necessaria perché i dati dalla coscienza presentano moltissime lacune: tanto nelle persone sane quanto in quelle malate avvengono spesso atti psichici che si possono spiegare solo presupponendone altri di cui, tuttavia, la coscienza non dà alcuna prova. Questi non comprendono solo gli atti mancati e i sogni delle persone sane, e tutte le cose definite come sintomi psichici o ossessioni in quelle malate: la nostra personalissima esperienza quotidiana ci informa di idee che ci vengono in testa, non sappiamo da dove, e di conclusioni intellettuali a cui siamo giunti, non sappiamo come. Tutti questi atti consci restano slegati e inintelligibili se insistiamo ad affermare che ogni atto psichico che si verifica in noi deve essere passato prima attraverso la coscienza; d’altro canto, essi presentano evidenti legami se li interpoliamo con gli atti inconsci che abbiamo dedotto [...]. Quando, poi, appare chiaro che la presupposizione dell’esistenza dell’inconscio ci mette in grado di costruire un valido procedimento attraverso cui possiamo esercitare un’effettiva influenza sul corso dei processi consci, avremo una prova incontrovertibile di quanto supposto. Stando cosí le cose, è insostenibile l’affermazione secondo cui tutto ciò che avviene nella mente deve essere anche noto alla coscienza».
A partire dalla scoperta dell’inconscio Freud elabora una teoria topica dell’apparato psichico. Egli sostiene che la psiche si divide in tre luoghi (topos in greco significa luogo): il conscio (che comprende tutti i contenuti psichici di cui siamo consapevoli), l’inconscio (i contenuti che sono nel profondo e sfuggono alla consapevolezza) e il preconscio, dove si trovano tutti quei contenuti che non abbiamo presenti, ma che possiamo facilmente richiamare alla memoria (per esempio che cosa abbiamo mangiato a pranzo, oppure che giorno della settimana è oggi). La vita per andare avanti ha bisogno di una certa dose di dimenticanza, l’oblio è funzionale alla vita, come Nietzsche sostiene in Sull’utilità e danno della storia per la vita. L’apparato psichico ha tantissimi contenuti e un’unica energia, la libido, di caratterizzazione sessuale, che muove la nostra esistenza. La libido è un’energia che spinge all’autoconservazione, al piacere. Freud vede tutta la vita psichica svolgersi sotto la costellazione della libido e del principio del piacere. Libido significa in latino “desiderio”. Freud ne parla in questi termini: «Libido è un’espressione proveniente dalla teoria dell’affettività. Noi chiamiamo cosí l’energia [...] delle pulsioni che hanno a che fare con tutto ciò che è compreso nella parola amore». La libido non può trovare realizzazione in maniera immediata perché ciò provocherebbe una continua tendenza all’autoaffermazione, impedendo la vita sociale. Pertanto essa viene in parte deviata. C’è un tipo di deviazione positiva, che Freud chiama sublimazione, che dà luogo alle creazioni artistiche. Per Freud le opere d’arte nascono da una deviazione della libido: in alcuni individui di particolare struttura psichica la libido non riesce a indirizzarsi verso la sua meta, devia e cerca mondi di sogno in cui il piacere si realizza, ma a un livello sublimato. In molti altri casi se la libido non riesce a trovare sfogo si presentano sintomi nevrotici in quanto, perché l’energia soffocata nell’inconscio può mandare segnali che disturbano la vita cosciente. La libido, anche nei casi piú felici, non si può esprimere direttamente perché, spinta a cercare la sua realizzazione secondo il principio del piacere, deve gradualmente sottomettersi a un altro principio, il principio di realtà, per cui ogni individuo non può realizzare il soddisfacimento dei propri bisogni immediatamente, ma deve abituarsi a controllarli tenedo conto degli altri, delle esigenze della vita sociale, deve imparare a rinviare la scarica della pulsione, la soddisfazione del desiderio.
Subito dopo la scoperta del nuovo continente dell’inconscio Freud nel 1901 pubblica Psicopatologia della vita quotidiana. A differenza de L’interpretazione dei sogni, che aveva avuto scarso successo editoriale, quest’opera ha una grande diffusione e contribuisce alla popolarità di Freud anche in America. La tesi che viene qui sostenuta è che tutta una serie di fatti che ci capitano ogni giorno: lapsus linguae (scambio di un termine con un altro), paraprassie (atti mancati o sbagliati), ecc. non sono casuali, ma dipendono da un insieme di cause psichiche precise. Si profila cosí il determinismo psichico: nel mondo psichico niente avviene a caso, ma tutto avviene per necessità e ha una causa (come secondo Democrito o Spinoza, per i quali tutto nella natura è necessità). In quest’opera Freud inoltre teorizza la continuità fra normalità e malattia, fra fisiologia e patologia mentale: egli sostiene che l’inconscio invia di continuo segnali che possono disturbare la vita quotidiana senza ostacolarla in maniera grave, mentre gli stessi meccanismi inconsci, se piú intensi, possono generare la malattia mentale, la nevrosi. I medesimi meccanismi che operano nella nevrosi sono presenti nella vita di tutti i giorni (per questo il libro si chiama Psicopatologia della vita quotidiana). Freud analizza in questo volume i lapsus linguae, le paraprassie, gli errori, gli atti mancati e dimostra che in questi eventi che capitano a ognuno di noi tutti i giorni è all’opera uno stesso meccanismo di interferenza, di disturbo dell’incoscio che, se opera invece in modo intenso, porta alla nevrosi, alla difficoltà di rapporto con la realtà. L’esempio più banale è quello dei lapsus linguae: quasi inevitabilmente, leggendo anche una sola pagina, facciamo due, tre errori, scambiando una parola o una lettera con un’altra. Quando leggiamo ad alta voce, molto spesso infiliamo una parola al posto di un’altra. Abbiamo sotto gli occhi sul foglio una parola e invece ne pronunciano un’altra. Il motivo è che c’è qualche cosa che ci ossessiona, c’è un tabú, c’è qualche cosa che per noi non è accettabile, e per questo tendiamo a non leggerle quella parola: entra in azione un meccanismo di disturbo dell’inconscio che ci porta a non pronunciare quel termine, un meccanismo simile a quello per cui, per esempio, c’è un’abitudine abbastanza diffusa a dire “una brutta malattia” oppure, come si diceva fino a qualche tempo fa, “il male del secolo” invece di “tumore”. Freud usa proprio questo tipo di esempi per dire che vediamo con inquietudine un certo termine, una certa parola, che per noi si riconnette a qualche significato morboso, oscuro, torbido, sgradevole: noi non la enunciano e ne pronunciano un’altra. Oppure semplicemente urge in noi un pensiero, un evento emotivamente carico, e allora l’inconscio ci manda un segnale di disturbo e ci distrae. Oltre ai lapsus linguae, Freud analizza le paraprassie, gli atti sbagliati; per esempio: prendo la metropolitana, dovrei scendere alla tale fermata, invece non me ne accorgo, scendo alla fermata successiva, e perdo per esempio un appuntamento. Il problema è che non volevo andare a quell’appuntamento: l’inconscio per qualche motivo non mi ci voleva far arrivare. Oppure, ho l’ombrello, lo lascio a casa di un amico, poi non lo trovo piú e non mi riesco a ricordare dove lo abbia lasciato. Freud sostiene che per esempio in quei casi posso provare una forte aggressività verso quell’amico, che non sento piú come amico e, per non ricordarmene, non mi ricordo neppure di avere lasciato l’ombrello presso di lui. Si tratta di fatti della vita di tutti i giorni, ma in cui è operante un disturbo dell’inconscio. I piú interessanti fra gli atti sbagliati sono quelli che ci procurano danni, le paraprassie che ci danneggiano, come per esempio scivolare e farsi male: c’è la classica buccia di banana per strada, dieci passanti la vedono, la scansano e continuano a camminare tranquillamente, io non me ne accorgo, scivolo su quella buccia di banana e mi faccio male. Qual è la spiegazione? Che probabilmente ho un complesso di colpa, che é inconscio, di cui quindi non mi rendo conto, ma mi voglio punire per qualcosa e mi punisco facendomi male. Oppure perdo il portafogli pieno di soldi, perdita fastidiosa: volevo incosciamente punirmi di qualche cosa e mi sono punito perdendo il portafogli. I meccanismi sono vari, alcune perdite - lo ricordo solo per segnalare che la psicanalisi non si presta a regolette facili - possono dipendere per esempio da questo: ho una persona cara ammalata, temo che possa morire, l’incoscio allora mi fa fare questo ragionamento di tipo superstizioso (la superstizione è guidata dall’inconscio): meglio che perdo il portafogli piuttosto che perdere la persona cara; offro al destino il portafogli, oppure l’anello, il gioiello, la cosa cara, pur di non perdere invece la persona cara. Sono quindi molto diversi tra loro i meccanismi che ci portano ad errori, a paraprassie, ad atti sbagliati. Freud con questo tipo di ragionamento fonda - come abbiamo accennato - un’altra grande categoria della psicanalisi: il determinismo psichico. I fatti di cui abbiamo parlato, il leggere una parola al posto di un’altra, lo scendere alla fermata sbagliata della metropolitana, il dimenticare l’ombrello a casa di un amico, il perdere il portafogli, lo scivolare sulla buccia di banana, di solito vengono attribuiti al caso. Si dice: “ho dimenticato”, “è capitato per caso”. come se questa fosse una giustificazione. Per Freud invece nella vita psichica il caso non esiste, al contrario tutto è necessario, c’è sempre un motivo preciso per ogni evento, c’è sempre un rapporto di causa ed effetto. Non ce ne accorgiamo in quanto la causa spesso è sprofondata nell’inconscio, e l’inconscio, per definizione, non lo abbiamo presente, quindi imputiamo certi nostri comportamenti al caso.
Nel 1920 Freud imprime una svolta decisiva alle sue teorie sulla base nuove osservazioni: studiando le “nevrosi di guerra” di combattenti del primo conflitto mondiale osserva che soldati che avevano subito traumi nelle trincee tutte le notti sognavano qualcosa di doloroso, di penoso. Secondo le concezioni elaborate ne L’interpretazione dei sogni questo non si dovrebbe verificare in quanto il sogno è la realizzazione di un desiderio. Nello stesso periodo Freud pone l’attenzione sul gioco di un bambino, un suo nipotino. Tutti i bambini si divertono a gettare via un oggetto e a farselo riportare; la psicoanalisi spiega questo gioco in maniera semplice: il bambino ha bisogno di sentirsi rassicurato del fatto che la madre, se si assenta, ritorna, e trova questa rassicurazione nel ripresentarsi dell’oggetto da cui si è separato; invece questo bambino gettava via un oggetto a cui teneva senza recuperarlo, si fermava a metà del gioco, pur essendo questa la metà dolorosa. Dallo studio di questi casi Freud ricava una revisione delle sue teorie. Egli sdoppia l’energia psichica fondamentale, la libido, e pone ora la vita psichica sotto l’egida di due forze: la pulsione di vita (Eros) e la pulsione di morte (Tanatos). È vero che l’uomo tende all’unione, alla procreazione, alla creazione (Eros), ma è altresí vero che c’è in lui una forza antagonista di egual portata (Tanatos). L’uomo non è dominato soltanto dalla ricerca del piacere, ma anche da tendenze a regredire, a tornare indietro fino a quella situazione che era l’unione con la madre, quindi all’indistinzione dal mondo, e fino allo stadio della vita inorganica, cioè all’unione col tutto. In Al di là del principio del piacere (1923) Freud teorizza la presenza nella psiche umana di una tendenza all’autodistruzione, al dissolvimento di se stessi. Siamo negli anni in cui si verifica la grande rinascita di Kierkegaard, nasce l’esistenzialismo, e si può scorgere in queste teorie di Freud una qualche consonanza con la concezione dell’esistenza come colpevole distacco dal tutto: nell’uomo c’è una fortissima tendenza a espiare questa colpa e a voler ritornare a essere una sola cosa con il tutto.
Rientrano nel campo delle pulsioni di morte una serie di fenomeni che tendono non ad affermare l’individuo, bensí a farlo regredire, a fargli perdere i confini della propria individualità, riportandolo verso la indistinzione dal tutto, che portano al superamento dei propri confini fisici, per esempio l’ubriachezza, la droga, oppure la tendenza a voler affrontare il rischio, le situazioni estreme. C’è in qualche modo un aspetto dionisiaco nell’uomo (il notturno, l’indistinto), una volontà di superare il principium individuationis. La pulsione di morte è molto simile al dionisiaco di Nietzsche. Nell’uomo c’è una forza che lo spinge verso l’indistinzione, l’oblio di sé, il notturno, il perdere i propri confini, una tendenza che al limite estremo vuol dire volontà di morire: nell’uomo c’è un impulso distruttivo e autodistruttivo.
Freud vede questi due principi come ineliminabili, ma soprattutto inscindibili. Questa teoria viene delineata nella risposta che egli dà ad Albert Einstein, il quale nel 1932 gli pone una pensosa domanda sulla possibilità che l’uomo metta fine alla guerra. Freud risponde in maniera sfumata, sforzandosi di giungere a una conclusione possibilistica e ottimistica, ma riaffermando che odio e amore, Eros e Tanatos, sono due forze che non possono manifestarsi l’una senza l’altra. Leggiamo l’argomentazione centrale che Freud offre alla riflessione di Einstein: «Presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire — da noi chiamate sia erotiche (esattamente nel senso di Eros nel Simposio di Platone) sia sessuali, — e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva. Ella vede che propriamente si tratta soltanto della dilucidazione teorica della contrapposizione tra amore e odio, universalmente nota, e che forse è originariamente connessa con la polarità di attrazione e repulsione che interviene anche nel Suo campo di studi. Non ci chieda ora di passare troppo rapidamente ai valori di bene e di male. Tutte e due le pulsioni sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto. Ora, sembra che quasi mai una pulsione di un tipo possa agire isolatamente, essa è sempre legata — vincolata, come noi diciamo — con un certo ammontare della controparte, che ne modifica la meta o, tavolta, solo cosí ne permette il raggiungimento. Per esempio, la pulsione di autoconservazione è certamente erotica, ma ciò non toglie che debba ricorrere all’aggressività per compiere quanto si ripromette. Allo stesso modo la pulsione amorosa, rivolta a oggetti, ha bisogno di un quid della pulsione di appropriazione, se veramente vuole impadronirsi del suo oggetto. La difficoltà di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito per tanto tempo di riconoscerle [...]. Vorrei tuttavia intrattenermi ancora un attimo sulla nostra pulsione distruttiva, meno nota di quanto richiederebbe la sua importanza. Con un po’ di speculazione ci siamo convinti che essa opera in ogni essere vivente e che la sua aspirazione è di portarlo alla rovina, di ricondurre la vita allo stato della materia inanimata. Le si addice il nome di pulsione di morte, mentre le pulsioni erotiche stanno a rappresentare gli sforzi verso la vita. La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando, con l’aiuto di certi organi, si rivolge all’esterno, verso gli oggetti. L’essere vivente protegge, per cosí dire, la propria vita distruggendone una estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia, rimane attiva all’interno dell’essere vivente e noi abbiamo tentato di derivare tutta una serie di fenomeni normali e patologici da questa interiorizzazione della pulsione distruttiva. Siamo perfino giunti all’eresia di spiegare l’origine della nostra coscienza morale con questo rivolgersi dell’aggressività verso l’interno. Noti che non è affatto indifferente se questo processo è spinto troppo oltre in modo diretto; in questo caso è certamente malsano. Invece il volgersi di queste forze pulsionali alla distruzione nel mondo esterno scarica l’essere vivente e non può non avere un effetto benefico. Ciò serve come scusa biologica a tutti gli impulsi esecrabili e pericolosi contro i quali noi combattiamo. Si deve ammettere che essi sono più vicini alla natura di quanto lo sia la resistenza con cui li contrastiamo e di cui ancora dobbiamo trovare una spiegazione». La speranza di arrivare a una società in cui l’aggressività non si manifesti è una speranza vana. In quest’affermazione c’è un indiretta critica a Marx: nel comunismo si prospetta una società egualitaria in cui, non essendoci la proprietà privata, l’uomo non avrebbe più aggressività; invece per la psicanalisi la proprietà privata può incrementare l’aggressività, ma non è l’unico movente di questa forza nell’uomo. Per Freud, Marx si illude nel prospettare una società comunista in cui l’abolizione della proprietà privata porti l’estinzione dell’aggressività. Cosí si esprime Freud in proposito: «Con l’abolizione della proprietà privata si toglie al desiderio umano di aggressione uno dei suoi strumenti, certamente uno strumento forte, ma, altrettanto certamente, non il piú forte».
Siamo arrivati quindi al punto in cui la libido si scinde in principio di Eros e principio di Tanatos e dalla teoria topica dell’apparato psichico si passa alla teoria strutturale cioè alla nota tripartizione dell’apparato psichico in Es, Io e Super-io: l’Es (Es è in tedesco il pronome neutro) rappresenta «la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità», l’insieme dei contenuti mentali, fortemente legati a Eros e Tanatos che l’uomo non vuole riconoscere ; l’Io è la consapevolezza di se stesso da parte dell’individuo, la sua concezione di se stesso e insieme è un’istanza di mediazione fra le altre componenti psichiche e di guida del comportamento; il Super-io comprende l’insieme delle proibizioni, dei divieti, dei tabú che introiettiamo nella prima infanzia attraverso l’educazione che riceviamo; qualche divulgatore della psicoanalisi lo ha definito un “poliziotto interiore”. È utile considerare la definizione che Freud stesso dà delle forze componenti l’apparato psichico. Dell’Es Freud afferma: «Suo contenuto è tutto quanto è ereditato, acquisito con la nascita, fissato costituzionalmente, prima di tutto dunque gli istinti derivanti dall’organizzazione del corpo, i quali trovano qui una prima espressione psichica a noi sconosciuta nelle sue forme». L’Io invece «rappresenta ciò che chiamiamo ragione e giudizio in contrapposizione con l’Es che contiene le passioni». «Il Super-io è il successore e rappresentante dei genitori (ed educatori) che avevano vegliato sulle azioni dell’individuo durante il suo primo periodo di vita; quasi senza modificarle, esso perpetua le loro funzioni». Da una parte abbiamo quindi le spinte dell’Es dall’altra le proibizioni del Super-io, mentre l’Io deve mediare tra queste due forze. Ma l’Io deve fare i conti anche con la realtà esterna, che manda i suoi stimoli; l’Io è quindi una struttura in continuo riequilibrio in quanto deve evitare che uno di questi tre fattori: Es, Super-io, stimolo esterno, prenda il sopravvento, il che porterebbe alla nevrosi. Si può dire che Freud riprenda con un linguaggio moderno e scientifico la visione della psiche presente già in Platone e Aristotele, che la vedono tripartita. Platone descrive l’anima come una biga alata in cui la ragione, l’auriga deve tenere due cavalli, uno bianco (anima irascibile) e uno nero (anima concupiscibile) sotto controllo. La funzione di mediazione dell’Io fra le varie istanze dell’apparato psichico è vista da Freud in termini drammatici: «La richiesta piú pesante per l’Io è probabilmente quella di tenere a bada le pretese istintive dell’Es, al quale scopo esso deve mantenere grandi quantitativi di contro-cariche. Ma anche la pretesa del Super-io può essere cosí forte e inesorabile da far sí che l’Io rimanga come paralizzato di fronte agli altri suoi compiti».
Giunto a questa visione dinamica dell’apparato psichico e delle pulsioni fondamentali, Freud si lancia in una teorizzazione della civiltà e della società che per gli psicanalisti che lo avevano seguito fino ad allora costituí una forte sorpresa in quanto comportava un’estrapolazione filosofica e sociologica delle sue teorie fuori dal contesto strettamente medico. L’indagine antropologica era stata iniziata nel 1914 con Totem e tabú a partire dalla sua scoperta del complesso di Edipo, cioè di quella fase dell’infanzia caratterizzata dall’attaccamento per il genitore di sesso opposto e dall’ostilità per il genitore dello stesso sesso. Freud sostiene che questo tipo di ostilità si è manifestato anche agli inizi della storia della società. Gli inizi della società sono inizi tribali, in cui prevale la figura del padre-padrone. Il passaggio dalla tribú alla società avviene attraverso l’assassinio del padre primitivo. La società nasce dunque con un’assassinio. All’autorità esteriore del padre, che è stata eliminata fisicamente, si sostituisce il totem, cioè una divinità venerata e sentita come una potenza interiore. All’autorità esterna si sostituisce l’autorità interna, che è qualcosa di molto piú minaccioso in quanto avvertito come innafferrabile, sacrale. Questo avviene perché l’assassinio comporta un complesso di colpa. La figura minacciosa del totem impone anche tabú, cioè proibizioni assolute, piú categoriche di quelle date dal padre. L’autorità, la proibizione diventano cosí qualcosa di fantastico, che può essere elaborato in senso morale o religioso, e diventano forze interne che non si riescono a controllare. Queste forze sono nate nel momento in cui c’è stato il passaggio dallo stato tribale allo stato societario, che si porta dietro quel complesso di colpa implicante un disagio per l’individuo. Freud sviluppa queste intuizioni in Il disagio della civilità (1929) in cui sostiene che il vivere civile è incomparabilmente superiore alla vita animale, la civiltà è un bene a cui non si può rinunciare, ma comporta un disagio in quanto essa nasce sulla base di un complesso di colpa, sulla base di proibizioni e divieti imposti all’individuo. Gli uomini hanno sempre sognato la beatitudine di una situazione pre-civile (età dell’oro per il mondo greco, Eden del mondo cristiano, il buon selvaggio di Rousseau) in quanto la civiltà viene vista come qualcosa che toglie libertà all’individuo. Con il procedere della civiltà tende dunque a crescere il disagio, matrice di nevrosi. L’uomo moderno deve abituarsi a livelli sempre piú stretti di interdipendenza e interazione con gli altri e quindi a dosi sempre maggiori di disagio. Una conclusione pessimistica, dunque. Freud è morto nel 1939, venti giorni dopo l’inizio della seconda guerra mondiale, in cui ci sono state esplosioni di follia collettiva, di sadismo di massa, che sembrano devastanti espressioni di reazione irrazionale al “disagio” da lui diagnosticato.
Il pensiero freudiano può essere interpretato come una «mappa delle interferenze che deformano la coscienza» (come afferma il filosofo Remo Bodei). La psicanalisi, cioè, è un tentativo di prendere in considerazione le stratificazioni, le interferenze, le intermittenze, i piani di frattura del pensiero logico. Il concetto di razionalità deve essere ampliato, fino a comprendere anche ciò che apparentemente è refrattario alla logica e alla coscienza: le credenze, le superstizioni, ma anche i sogni, i contenuti fantastici dell’arte, i quali non presentano verosimiglianza, devono essere sottoposti ad analisi per scoprirvi i nuclei di verità che contengono. La razionalità cui siamo abituati è quella cartesiana, fondata sul principio di evidenza e sulla “chiarezza” e “distinzione” delle idee, che viene articolata mediante il ragionamento e la rigorosa deduzione. Emblema della razionalità occidentale è l’atteggiamento illuministico: la ragione è equiparata alla luce, che si diffonde sulle tenebre dell’ignoranza e della superstizione e le dissipa. Per Freud invece anche all’interno delle tenebre si celano nuclei di verità, anche se di una verità deformata, che si può manifestare nella fantasia o nella patologia, e che va decodificata, trasponendola dal linguaggio dell’inconscio in quello della coscienza. Per Freud la verità non è qualcosa che si presenta con evidenza, bensí qualcosa che «nasce da forze in lotta e da forme di compromesso: non vi è una evidenza puntuale della verità, bensí questa viene sagomata in un processo non lineare, si profila al termine di un tragitto tortuoso», come afferma ancora Remo Bodei.
Il delirio, le nevrosi ossessive e altri fenomeni psichici analizzati da Freud presentano un persistere del paziente nelle sue fantasie, che non vengono scalzate dall’ostentazione di una verità percettibile. La logica dell’evidenza si trova in questi casi in contrato con qualcosa di altro, con “interessi” che si annidano nel soggetto fino a fargli negare ostinatamente l’evidenza. I sogni, le fantasie, le nevrosi, le esperienze di turbamenti nella percezione della realtà considerati da Freud portano a concludere che al di sotto della sfera del “logico” si annidano in noi “gruppi di interessi”, “nuclei di verità”, incapsulati al di sotto della coscienza, come i resti di Pompei sono sommersi da strati di cenere. Portarli alla luce, renderli coscienti è in fondo il compito che Freud e la psicanalisi si propongono, decodificando, “traducendo” il linguaggio in cui questi contenuti sono espressi, il linguaggio dell’inconscio, e allargando cosí il campo della nostra razionalità. Si può concordare con quanto scrive in La missione di Sigmund Freud un grande psicoanalista, Erich Fromm: «Nella sua fede nel potere della ragione, Freud era un figlio dell’età dell’Illuminismo, il cui motto “Sapere aude”, “osa sapere”, è impresso in tutta la personalità di Freud e in tutta la sua opera».

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