L'essere umano è meno crudele di quanto si creda?
L'esperimento Milgram riveduto e corretto
Un'équipe di sociologi e psicologi statunitensi ha rianalizzato
i dati dello studio del 1963 per indagare la crudeltà dell'essere umano. E ha
scoperto qualcosa di inaspettato
di SANDRO IANNACCONE
È STATO uno degli
esperimenti più controversi e scioccanti nella storia della psicologia sociale.
Lo ha ideato e
condotto lo scienziato statunitense Stanley Milgram nel 1963,
all'indomani del processo contro il criminale
nazista Adolf Eichmann. Scopo: capire se e quanto fosse credibile la
giustificazione addotta dai torturatori dei lager, che sostenevano di essersi
limitati a "eseguire ordini dei propri superiori". Ovvero, in ultima
analisi: comprendere fino a che punto l'autorità possa plagiare la scala dei
valori degli esseri umani, trasformando persone comuni in aguzzini spietati e
senza scrupoli. I risultati dell'esperimento sembrarono mostrare che,
purtroppo, l'umanità è intrinsecamente crudele. O, più precisamente, disposta a
comportarsi in modo crudele sotto stimoli opportuni. Ma oggi un esame
approfondito dei dati raccolti da Milgram, condotto dal ricercatore Matthew
Hollander della University of Wisconsin e pubblicato sul
British Journal of Social Psychology, cambia - almeno parzialmente -
le conclusioni originali. E svela una strategia per mettere a tacere quello che
Hollander stesso definisce il "lato oscuro" dell'umanità.
Facciamo un passo
indietro. Per studiare il fenomeno della cosiddetta "obbedienza
distruttiva", Milgram reclutò 40 uomini di età compresa tra 20 e 50 anni,
di diversa estrazione sociale, comunicando loro che avrebbero partecipato a un
esperimento su memoria e apprendimento. I partecipanti alla prova erano
chiamati a insegnare degli abbinamenti di parole a uno o più
"allievi" e successivamente a interrogarli su quello che avevano
appreso. Gli "insegnanti" avevano a disposizione una pulsantiera con
venti interruttori, azionando i quali potevano infliggere all'allievo una
scossa elettrica variabile tra 15 volt ("molto leggera", che avevano
sperimentato su se stessi prima dell'inizio dell'esperimento) e 450 volt
("molto pericolosa"). Erano affiancati da un esperto che li
persuadeva, con varie formule precedentemente preparate da Milgram
("L'esperimento richiede che lei continui", "Non ha altra scelta,
deve proseguire"), ad andare avanti con le punizioni, nonostante lamenti e
grida degli allievi. Questi ultimi, in realtà, erano complici di Milgram e non
ricevevano alcuna scossa: si trattava di attori istruiti per simulare dolore
fisico e suppliche di misericordia.
Due terzi degli
"insegnanti", comunque, somministrarono scosse elettriche fino a 450
volt, incuranti del fatto che gli allievi sembrassero nel frattempo svenuti per
il dolore. Solo alla fine dell'esperimento i partecipanti vennero informati che
si era trattata di una messinscena. "L'autorità ha avuto la meglio",
scriveva Milgram nel 1974, "contro gli imperativi morali dei soggetti
partecipanti, che imponevano loro di non far del male al prossimo. La gente
comune può diventare così parte attiva di un processo distruttivo terribile:
sono pochissime le persone che hanno le risorse necessarie per resistere
all'autorità".
Uno scenario
tutt'altro che confortante, sconfessato almeno parzialmente dal nuovo studio di
Hollander: "Milgram non ha tenuto conto delle sfumature nelle risposte dei
partecipanti", sostiene, "dividendoli semplicemente in 'obbedientì e
'disobbedienti'". Lo psicologo ha esaminato attentamente le registrazioni
audio dell'esperimento, analizzando le risposte dei partecipanti allo studio e
scoprendo sei modi diversi con cui i soggetti resistevano (o almeno cercavano
di resistere) all'autorità di chi voleva convincerli a continuare con le
punizioni. "In effetti", continua Hollander, "la maggioranza di
essi crollava, rispettando gli ordini. Ma un buon numero di persone ha
resistito, usando le stesse modalità di resistenza verbale di chi, alla fine,
ha ceduto".
Tra le "modalità
di resistenza" di cui parla lo scienziato ci sarebbero le cosiddette
"strategie di stallo", come parlare all'allievo o all'amministratore
dell'esperimento, e soprattutto il metodo stop try, che consiste nel dichiarare
esplicitamente di non avere intenzione di continuare con la prova. "Questo
dimostra", spiega Hollander, "che anche i partecipanti classificati
come 'obbedienti' da Milgram lo hanno fatto solo dopo aver tentato diverse
strategie di resistenza. Certo, hanno resistito meno dei soggetti
'disobbedienti', ma lo studio di queste differenze potrebbe essere cruciale per
elaborare strategie più generali per la resistenza all'autorità e la
prevenzione di comportamenti illegali o non etici".
Se addestrati bene,
insomma, potremmo diventare un po' meno inclini ad accettare passivamente
l'imposizione della crudeltà. Una questione molto più attuale di quel che si
potrebbe pensare: "Non bisogna scomodare casi storici tristemente famosi
come l'Olocausto, le torture nella prigione di Abu Grahib o i metodi di
interrogatorio della Cia", commenta Douglas Manyard, docente di sociologia
alla University of Wisconsin, non coinvolto nello studio. "Basta pensare,
per esempio, a pilota e copilota di un aeroplano in una situazione di emergenza
o al preside di una scuola che impone a un insegnante di punire un allievo: un
subalterno rispettoso dell'autorità ma disobbediente quando eticamente
necessario potrebbe fare la differenza".
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