L’anestesia del cuore:
l’alessitimia come patologia delle emozioni?!
(da psicodialogando)
In alcuni casi l’incapacità di esprimere una propria
emozione, soprattutto se si parla d’amore, è strettamente influenzata dalla
paura e da una mancanza di coraggio. A volte, però, essa rappresenta una
manifestazione di una patologia che impedisce l’uomo di verbalizzare il proprio
vissuto emotivo. L’alessitimia (o alexitimia)
raggruppa un insieme di deficit della competenza emozionale ed emotiva,
mostrato dall’incapacità di percepire, riconoscere, mentalizzare (pensare ai
sentimenti) e descrivere verbalmente i propri e gli stati altrui. Il termine “alessitimia” deriva dal greco“a”,
per mancanza,“lexis”, per parola e “thymos”, per emozione; letteralmente
“man-canza di parole per le emozioni”, ed indica una sorta di “analfabetismo
emozio-nale”. Attualmente essa viene definita anche come possibile deficit della funzione
riflessiva del sé.
La persona che presenta sintomi di alessitimia non è in grado
di esprimere le proprie emozioni e di empatizzare con gli altri, inoltre, non
sa discriminare le proprie emozioni. La capacità di dare un nome ai propri
sentimenti viene meno in quanto le persone affette non hanno sviluppato una
capacità simbolica tale da saper utilizzare le parole rappresentative di un
sentimento. Il parlare spesso viene sostituito con l’azione fisica diretta data, a volte, dalla scarsa disposizione a
provare emozioni positive come la gioia, felicità ed amore. L’emozione vissuta
per via somatica e senza elaborazione mentale,
non viene concettualizzata.
Data l’incapacità di esternare l’emotività, le espressioni
facciali, di conseguenza, si presentano rigide e povere, perciò si utilizza
spesso un’imitazione sociale. È raro, se non impossibile, che l’alessitimico
senta il bisogno di chiedere conforto ad una persona esterna in quanto vi è una difficoltà nel comunicare il proprio
disagio emotivo. L’empatia rappresenta un limite negli alessitimici, in quanto
non è sviluppata abbastanza, impedendo la costituzione di rapporti di intimità.
Gli alessitimici non sono persone empatiche, piuttosto disinteressate alla
sofferenza, al vissuto emotivo di una persona. L’alessitimia è di recente
scoperta, introdotta per la prima volta da John Nemiah e Peter Sifneos negli
anni settanta per descrivere un insieme di caratteristiche di personalità nei
pazienti psicosomatici, dove per psicosomatica s’intende quella branca della
medicina che studia la connessione tra un disturbo somatico e la sua origine di
natura psicologica. Nel 1976 alla XI°Conferenza Europea sulle Ricerche
Psicosamitiche fu diffuso per la prima volta il termine di alessitimia[1].
Alcune variabili socioculturali e dinamiche familiari possono influire sullo
sviluppo della patologia. Tra le possibili ipotesi correlate all’eziologia
dell’alessitimia, si è considerato lo stile di attaccamento evitante-insicuro
introdotto da Bowlby[2], distinto da un bisogno ossessivo di attenzioni e
cure. L’attaccamento è il legame che si
istaura tra il bambino e la figura significativa della madre. La natura del
rapporto, la presenza o meno di cure ed attenzioni, influenzerebbero le
relazioni future che il bambino andrà a costruire in un futuro prossimo.
Inoltre egli potrà o meno sviluppare delle caratteristiche di personalità
legate, appunto, alla forma di attaccamento avuta. L’alessitimia potrebbe rappresentare una difesa contro
un dolore psichico o un blocco della sfera affettiva causato da un trauma
infantile. L’alessitimia può svilupparsi in seguito ad un grave trauma o
malattie che portano ad uno stato di pericolo di vita (cancro, trapianto,
dialisi). In questo caso la malattia rappresenta una conseguenza secondaria.
Sono state suggerite ipotesi alternative alle probabili cause dell’alessitimia.
Secondo MacLeane, ad
esempio, l’origine eziologica è spiegabile secondo l’ipotesi che le emozioni
vengono incalanate direttamente negli organi corporei mediante vie
neuroendocrine e autonome. Nemiah (1975,1977) ha individuato un difetto
neurofisiologico che influenza la modulazione del corpo striato dell’input dal
sistema limbico alla neocorteccia che provocherebbe l’alessitimia. L’emisfero
coinvolto è quello destro oppure vi è
una mancanza di comunicazione interemisferica. La chiave di lettura
della patologia è abbastanza complessa ed articolata in quanto essa può
manifestarsi in correlazione a numerose condizioni psichiatriche come i
disturbi dell’umore o disturbi d’ansia[3]. In questo caso si parla di
comorbilità. Recentemente è stato scoperta l’associazione tra l’alessitimia e i
disturbi alimentari.
Quest’ultimi non sono direttamente influenzati
dall’incapacità di simbolizzazione emotiva, alcuni sintomi sono co-presenti in
entrambi i casi. Le abbuffate, il vomito, le azioni collegate alla bulimia come
l’abuso di sostanze e la cleptomania , vengono messe in atto per riempire un
vuoto emozionale. Le persone dipendenti da droghe o alcool manifestano
disregolazione affettiva correlata a depressione, rabbia, ad un collage di
sentimenti dolorosi. Coloro che sperimentano droghe per un periodo prolungato,
avranno come conseguenze modificazioni neurochimiche e strutturali del cervello
per cui il disagio emozionale entrerà a far parte di un circolo vizioso. La
correlazione tra alessitimia e depressione è data dalla somiglianza
sintomatologica, per cui i soggetti affetti da disturbi dell’umore, come gli
alessitimici, hanno difficoltà a creare relazioni intime. Infatti entrambi
mostrano un’incapacità di trasformare in parole i propri sentimenti.
Naturalmente a seconda della gravità della sintomatologia depressiva,
l’alessitimia sarà un tratto comune e stabile della personalità. La freddezza delle emozioni
nell’alessitimia può essere stimata quantitativamente mediante diverse scale di
misura, la più celebre è il Toronto Alexithymia Scale a 20 items ( TAS-20) di
Parker et al., 1993; Bagby et al ( 1994). Lo scopo dello strumento è valutare le
difficoltà nell’identificare e verbalizzare i propri stati emotivi e la
tendenza a non utilizzare le emozioni nelle proprie elaborazioni cognitive,
preferendo informazioni relative all’ambiente esterno. Esso è uno strumento di
autovalutazione in cui il soggetto deve indicare, su una scala da 0 a 5 punti,
il proprio grado di accordo. L’intervento psicoterapeutico abbraccia le
terapie focalizzate sul riconoscimento e
denominazione della sfera emotiva. La chiave di lettura delle terapie è di ordine supportivo, orientamento
cognitivo o psicodinamico.
Risulta essere
importante dare spazio all’educazione emotiva, per cui i pazienti impareranno
gradualmente a dare un nome alle emozioni, a mentalizzare il proprio mondo
interno. L’anestesia
emotiva dei pazienti può migliorare, ma rimane auspicabile una maggiore
attenzione su una patologia “giovane” creando tecniche di insegnamento. Spesso
può presentarsi in maniera non patologica, ovvero è facile incontrare nella
propria vita, persone che non sono in
grado di esternare i propri sentimenti. In tal caso bisognerebbe osservare se
l’incapacità è data da una mancanza di coraggio (o assenza di sentimento). Se
essa si presenta solo con alcune
persone, non si parla di alessitimia, bensì una caratteristica di
personalità lontana dalla patologia!
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