MENTALIZZAZIONE E DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
L’essenza della mentalizzazione è tenere a mente la mente,
considerare gli stati mentali propri e degli altri, comprendere i
fraintendimenti, vedere se stessi dall’esterno e gli altri dall’interno; è
caratteristica fondamentale di una salute mentale ed emotiva matura, di
particolare valore nel facilitare e promuovere le transazioni interpersonali
efficaci. Implica la capacità di riconoscere e sintonizzare i propri pensieri e
sentimenti.
Il successo della mentalizzazione include una capacità di
cura e di perdono che vale per se stessi quanto per gli altri, e fa la
differenza nelle decisioni, deliberate o subliminali, che prendiamo
quotidianamente in merito a ciò che diciamo o facciamo (Allen, Fonagy e Bateman
2010).
Esprime una funzione della corteccia prefrontale e
rappresenta una folk psychology che ogni individuo utilizza per attribuire un
significato all’interazione con gli altri e a se stesso. I soggetti con
Disturbo Borderline di Personalità (BPD) hanno difficoltà a mentalizzare, in
particolare nelle situazioni interpersonali e nelle relazioni intime. In un
contesto interattivo, l’uomo è esposto a stati di iperarousal e ha bisogno di
qualcosa che lo protegga da effetti soverchianti; in quei momenti, la
mentalizzazione realizza la funzione di ammortizzatore. Per i soggetti borderline
l’iperarousal induce una disconnessione a livello della corteccia prefrontale e
innesca meccanismi di attacco-fuga e di freezing, piuttosto che la
mentalizzazione (Bateman e Fonagy 2006).
Partendo dal presupposto che la costruzione della capacità di
mentalizzare si basa sulla possibilità di pensare lo stato mentale del proprio
oggetto primario, è fondamentale che l’atteggiamento prevalente dell’oggetto
primario verso il sé del bambino sia sufficientemente pensante, premuroso e
positivo.
Quando eventi traumatici spingono il bambino a ignorare
difensivamente le sue percezioni relative a pensieri e sentimenti dell’oggetto
primario, la mentalizzazione viene inibita. Alla base del funzionamento
borderline potrebbero esserci molti fattori, tra cui determinanti di natura
biologica e genetica, l’inaccessibilità dell’oggetto materno o anche un
fallimento materno più precoce.
Qualunque sia la causa principale, la comprensione teorica e
clinica del soggetto con BPD non può prescindere dall’evidenza empirica di
relazioni d’attaccamento danneggiate, di esperienze traumatiche di abuso e
trascuratezza, di deficit del sistema di regolazione delle emozioni, di
fallimenti nello sviluppo della capacità di mentalizzare. Riappropriarsi della
mentalizzazione è il primo e più significativo risultato del processo analitico
(Fonagy e Target 2001).
Il trattamento basato sulla mentalizzazione (MBT), ideato e
sviluppato da Anthony Bateman e Peter Fonagy, offre una cornice all’interno
della quale diversi modelli possano trovare posto, sempre che l’obiettivo sia quello di aumentare la
mentalizzazione. Si tratta di una terapia dinamica che utilizza la relazione e
il processo terapeutico come meccanismi chiave per il cambiamento. I terapeuti
devono fare del loro meglio per costruire e ricostruire un’immagine del
paziente nella propria mente; devono, inoltre, capire se stessi e approcciare
la terapia con una certa dose di umiltà.
Una posizione di ignoranza è essenziale. Paziente e terapeuta
condividono i loro punti di vista, senza rivendicare chi ha ragione. Non c’è
alcuna certezza nel trattamento del BPD; la flessibilità e la capacità di
tollerare l’incoerenza sono tra le caratteristiche più importanti che un
terapeuta deve possedere per realizzare un trattamento efficace (Bateman e
Fonagy 2010).
Non c’è incertezza sul fatto che sia i bambini sia chi si
prende cura di loro possano compromettere la relazione d’attacamento; questo
non si traduce in un’attribuzione di colpa agli uni o agli altri, mentre
l’influenza delle figure di attaccamento primario nello sviluppo psicologico
riveste una particolare importanza in termini di strategie preventive.
Ciascuno porta quote sconosciute di rischio ereditario per
una serie di condizioni, dall’ipertensione al diabete alla depressione alla
schizofrenia; la sfida futura sarà comprendere meglio e identificare questi
fattori di rischio genetici e il loro rapporto con l’esperienza di sviluppo
come elementi critici che influenzano la struttura finale e il funzionamento
del cervello adulto (Allen e Fonagy 2008)
Valentina De Felice.
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