Per quindici anni, nel periodo più intenso e importante, dal
punto di vista scientifico, della sua vita, Freud tiene con il collega Wilhelm
Fliess, di due anni più giovane di lui, una corrispondenza quasi giornaliera.
I due si conoscono quando Fliess, arrivato a Vienna nel 1887
per la specializzazione, riceve da un amico il consiglio di frequentare le
lezioni che Freud teneva sull’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso.
Ben presto tra i due si afferma un rapporto di amicizia e già
nella sua prima lettera, nel novembre del 1887, Freud si esprime così :
” Egregio amico e collega,
la mia lettera odierna è dettata da un motivo professionale;
devo però iniziare confessando che spero di poter proseguire il rapporto con
Lei, e che Lei mi ha lasciato una profonda impressione, la quale potrebbe
facilmente indurmi a comunicarLe schiettamente in quale categoria di uomini
sento di doverLa collocare.”
E’ la prima di una lunga serie di lettere tra i due. Quelle
di Fliess sono andate perdute, mentre quelle di Freud a Fliess, circa 300, ci
sono arrivate ( e la storia del loro acquisto e della loro pubblicazione nel
1985 è, a dir poco, romanzesca).
Queste lettere, dopo ogni sorta di peripezie, finirono nelle
mani della principessa Marie Bonaparte, famosa psicoanalista e allieva dello
stesso Freud. Essa rifiutò di distruggerle, come avrebbe voluto il suo maestro,
e le conservò gelosamente, conscia del loro valore storico e scientifico.
Proprio negli anni di questo carteggio Freud ebbe, come egli stesso disse poi,
"capacità di introspezione quali un uomo può avere una sola volta nella
vita"
15 ottobre 1897
Caro Wilhelm,
la mia autoanalisi è in effetti la cosa più importante che io
abbia ora per le mani, e promette di essermi assai preziosa se arriverò a
finirla. Quando sono giunto a metà, essa si è interrotta improvvisamente per
tre giorni…il quarto giorno procedette puntualmente; naturalmente la pausa fu
determinata anche da altro, e cioè dalla
resistenza di fronte a qualche
sorprendente novità. Da allora sono di nuovo occupato intensamente, con la
mente fresca, quantunque afflitto da molteplici piccoli disturbi che nascono
dal contenuto dell’analisi. La mia attività professionale sfortunatamente mi
lascia ancora molto tempo libero…
Sono proceduto ancora parecchio, ma non sono ancora arrivato
al vero punto definitivo. Comunicare quanto è ancora incompleto è così faticoso
e mi porterebbe tanto lontano che spero mi scuserai e ti accontenterai di
conoscere i frammenti ormai certi. Se l’analisi mantiene ciò che mi attendo, la
rielaborerò in modo sistematico e te ne esporrò i risultati. Finora non ho
trovato nulla di completamente nuovo, ma tutte le complicazioni alle quali sono
normalmente abituato. Non è una cosa facile. Essere del tutto onesti con sé
stessi è un buon esercizio. Mi è nata una sola idea di valore generale: in me
stesso ho trovato l’innamoramento per la madre e la gelosia verso il padre, e
ora ritengo che questo sia un evento generale della prima infanzia, anche se
non sempre si manifesta tanto presto come nei bambini resi isterici. (Analogo
al “romanzo delle origini” dei paranoici, degli eroi e dei datori di
religioni). Se è così, si comprende il potere avvincente dell’Edipo re…La saga
greca si rifà a una costrizione che ognuno riconosce per averne avvertita in sé
l’esistenza. Ogni membro dell’uditorio è stato, una volta, un tale Edipo in
germe e in fantasia e, da questa realizzazione di un sogno trasferita nella
realtà, ognuno si ritrae con orrore e con tutto il peso della rimozione che
separa lo stato infantile da quello adulto.
Mi è balenata l’idea
che la stessa cosa possa essere alla base dell’Amleto. Non penso ad una
intenzione deliberata di Shakespeare, ma ritengo piuttosto che un avvenimento
reale abbia spinto il poeta a tale rappresentazione, mentre il suo inconscio
capiva l’inconscio dell’eroe.
Come giustifica l’isterico Amleto la sua frase: “Così la
coscienza ci rende tutti codardi” e la sua esitazione a vendicare il padre
uccidendo lo zio? Come può giustificarle se non per il tormento suscitato in
lui dall’oscuro ricordo di aver meditato lui stesso il medesimo gesto contro il
padre, per passione verso sua madre? “Trattate ogni uomo secondo il suo merito,
e chi sfuggirà alla frusta” la sua coscienza è il suo senso di colpa
inconscio…E alla fine non riesce, nello stesso modo prodigioso dei miei
isterici, ad attirare su di sé la punizione, vivendo l’identico destino del
padre, avvelenato dal medesimo rivale?
Il mio interesse è stato così esclusivamente concentrato
sull’analisi, che non ho ancora provato a saggiare se, invece della mia ipotesi
che la rimozione inizi sempre dal lato femminile e sia diretta contro quello
maschile, possa essere vero il contrario, come tu suggerisci. Ma una volta o
l’altra ci arriverò. Sfortunatamente io
posso contribuire poco al tuo lavoro e ai tuoi progressi. Da questo punto di
vista sono avvantaggiato rispetto a te. Quanto io ti racconto, infatti, delle
frontiere psichiche di questo mondo trova in te un critico competente, mentre
ciò che tu mi dici delle sue frontiere astrologiche suscita in me soltanto un
improduttivo stupore.
Con i saluti più affettuosi a te, alla tua cara consorte e al
mio nuovo nipote
Tuo Sigm.
Caro Wilhelm,
…Gli affari vanno in modo sconfortante, anche per i miei
colleghi più eminenti, d’altronde, tanto che ormai vivo soltanto del lavoro
“interiore”. Questo mi cattura e mi trascina, attraverso i tempi passati, in
rapide associazioni di pensieri; i miei stati d’animo variano come i paesaggi
dinanzi agli occhi di chi viaggia in ferrovia; e ciò che dice il grande poeta,
usando il suo privilegio di nobilitare (sublimare) le cose:
E quante care ombre risalgono;
simili a un’antica quasi perduta saga
tornano il primo amore e l’amicizia
può essere detto anche del primo terrore e del primo
conflitto. Alcuni tristi segreti della vita vengono così rintracciati fino alle
loro prime radici, e in tal modo ci si può render conto delle umili origini di
certi orgogli e privilegi. Sto sperimentando su me stesso tutte le cose che,
come testimone, ho visto svolgersi nei miei pazienti: vi sono giorni nei quali
rinuncio, depresso, perché non ho capito nulla dei sogni, delle fantasie o
degli stati d’animo di quella giornata, e altri giorni in cui un lampo di luce
dà coerenza al quadro, e il passato si rivela come una preparazione del
presente. Quali fattori determinanti, sto incominciando a presentire
l’esistenza di ampi motivi generali di cornice (come vorrei chiamarli) e di altri
motivi di riempimento, che variano a seconda delle esperienze individuali.
Nello stesso tempo mi si stanno risolvendo molti dubbi sulla concezione delle
nevrosi, anche se non tutti. Un’idea sulla resistenza mi ha permesso di guarire
tutti i miei casi che sembravano essere fuori strada, con il risultato che ora
procedono di nuovo in modo soddisfacente. La resistenza che costituisce, in
ultima analisi, il maggiore ostacolo per il lavoro non è nient’altro che il
carattere infantile dell’individuo, il carattere degenerativo che si è, o che
dovrebbe essersi, sviluppato in conseguenza di quelle esperienze, presenti in
forma conscia nei cosiddetti casi degenerativi, ma che qui è stato coperto
dallo sviluppo della rimozione. Con il mio lavoro lo sto dissotterrando, esso
si ribella, e la persona che all’inizio era così ben educata e nobile diviene
volgare, menzognera e insolente, una simulatrice, fino a che glielo dico
apertamente e la metto così in grado di vincere questo carattere degenerativo.
La resistenza è dunque divenuta per me una realtà obiettivamente tangibile, e
vorrei solamente aver afferrato anche quello che si cela dentro al concetto di
rimozione.
Questo carattere infantile si sviluppa nel periodo della
“nostalgia” dopo che il bambino è stato privato delle esperienze sessuali. La
nostalgia è la caratteristica principale dell’isteria, proprio come l’anestesia
attuale (anche se solo facoltativa) ne è il sintomo principale. Durante questo
periodo di nostalgia vengono prodotte le fantasie e (di regola?) viene
praticata la masturbazione; che poi cede alla rimozione: Se questo non accade,
non si avrà isteria; la scarica dell’eccitazione sessuale rimuove per gran
parte la possibilità dell’isteria. Ho capito che i vari movimenti ossessivi
sono un sostituto dei movimenti masturbatori abbandonati. Basta così per oggi;
ti manderò i dettagli un’altra volta, quando avrò ricevuto buone nuove da te…
Con i saluti più affettuosi a te, moglie e figlio
Tuo Sigm.
31 ottobre 1897
Caro Wilhelm,
….La mia analisi personale sta procedendo e rimane il mio
interesse principale; tutto è ancora molto oscuro, anche la natura dei
problemi; ma, allo stesso tempo, avverto il sentimento confortante che occorra
attingere solo al proprio magazzino per poter estrarre, al momento opportuno,
quanto sia necessario. La cosa più spiacevole sono gli stati d’animo che spesso
nascondono completamente la realtà. Anche l’eccitazione sessuale non serve più
a una persona come me. Tuttavia resto di buon animo. Quanto a risultati, siamo
di nuovo a un punto morto…..
Sotto l’influsso dell’analisi i miei disturbi cardiaci sono
stati ora spesso sostituiti da disturbi gastrointestinali. Perdona le vane
ciance di oggi che hanno semplicemente lo scopo di ribadire la continuità del
nostro scambio epistolare.
Cordialmente tuo Sigm.
Vienna, 5 novembre 1897
Caro Wilhelm,
per la verità non ho nulla da scriverti, ma lo faccio in
un’ora in cui avevo bisogno di compagnia e di incoraggiamento….l’autoanalisi è
di nuovo ferma, o piuttosto si trascina goccia dopo goccia, senza che io riesca
a capire nulla del modo in cui procede. Nelle altre analisi sono sempre più
aiutato dalla mia ultima idea sulla resistenza…il resto procede molto, molto
lentamente. Siccome non posso fare altro che l’analisi e mi rimane del tempo
libero, alla sera mi annoio. Il mio corso di lezioni è frequentato da undici
persone che siedono con penna e carta, ascoltano veramente ben poco di
positivo. Recito dinanzi a loro la parte del neuropatologo sempliciotto, e
commento il Beard, ma il mio interesse è altrove.
Non mi hai scritto nulla sulla mia interpretazione del re
Edipo e di Amleto. Dato che non ne parlo con nessun altro, poiché posso
immaginarmene in anticipo la reazione di stupefatta ripulsa, gradirei un tuo
breve commento sul tema. L’anno scorso mi hai bocciato alcune idee, con
ragione….
Sto meditando di tornare a sfruttarti a lungo un giorno; ma
ci riesco soltanto a voce e mi si è notevolmente ridotto il piacere
intellettuale di comprendere qualcosa di nuovo.
Con un occhio al risparmio ti chiedo: questa volta potresti
venire qui tu per Natale?
I saluti più affettuosi a te, moglie e figlio
Tuo Sigm.
Vienna, 15 marzo 1898
Caro Wilhelm,
…In questo periodo sono semplicemente instupidito, dormo
durante le analisi del pomeriggio e non ho più assolutamente idee. In effetti
credo che il mio sistema di vita, ogni giorno otto ore di analisi per otto mesi
all’anno, mi stia distruggendo. Sfortunatamente la mia leggerezza, che mi
consiglierebbe di prendermi una vacanza di tanto in tanto, non regge di fronte
ai cattivi guadagni di questi tempi e alle prospettive ancora peggiori per il
futuro. Per cui sto lavorando come un cavallo da fiaccheraio, come diciamo qui.
Mi è venuto in mente che potresti desiderare di leggere ciò che ho scritto sui sogni, ma che sei troppo
discreto per chiedermelo. Non c’è
bisogno di dire che te l’avrei mandato
prima di inviarlo all’editore. Ma dato che sono a un punto morto ti posso
spedire anche solo dei frammenti…Vi troveranno posto anche le osservazioni
riguardanti Edipo re, la favola del talismano e forse l’Amleto. Prima devo ancora
fare delle letture sulla leggenda di Edipo: non so ancora quali…
Naturalmente gradirei molto sapere se le vostre speranze
riguardo alle date si sono avverate e se possiamo mantenere immutate le nostre
aspettative per Pasqua. Di rinunciare non è neppure il caso di parlare.
Con i saluti più affettuosi
Tuo Sigm.
“L’interpretazione dei sogni” (1899)
…Una volta ebbi occasione di osservare a fondo la vita
psichica inconscia di un giovane, che a causa di una nevrosi ossessiva era
quasi incapace di vivere: non poteva andare in strada perché lo tormentava
l’idea di poter uccidere tutte le persone che gli passavano accanto,
trascorreva le sue giornate preparando ordinatamente le prove del suo alibi,
nel caso gli venisse mossa l’accusa di aver commesso uno degli omicidi avvenuti
in città. Inutile aggiungere che era un uomo altrettanto probo quanto colto. L’analisi
- che del resto lo portò alla guarigione – scoprì come motivazione di questa
penosa rappresentazione ossessiva impulsi omicidi nei confronti del padre, un
po’ troppo severo, impulsi che, con sua sorpresa, si erano manifestati
coscientemente quando aveva sette anni di età, ma che naturalmente avevano
origine in un’epoca infantile molto precedente. Dopo la dolorosa malattia e la
morte del padre, a trentun anni si manifestò il rimprovero ossessivo che si
trasferì su sconosciuti, nella forma della fobia anzidetta. Chi è stato sul
punto di voler spingere il proprio padre dalla cima di un monte nell’abisso,
può essere certamente ritenuto anche capace di non risparmiare la vita di
persone estranee; fa bene perciò a rinchiudersi nella sua stanza.
Secondo le mie ormai numerose esperienze, i genitori hanno la
parte principale nella vita psichica infantile di tutti i futuri
psiconevrotici: amore per l’uno, odio per l’altro dei genitori, fanno parte di
quella riserva inalienabile di impulsi psichici che si forma in quel periodo ed
è così significativa per la semeiologia della futura nevrosi. Non credo però
che gli psiconevrotici si differenzino molto a questo riguardo da altri uomini
che rimangono normali, nel senso che riescano a creare qualche cosa di
assolutamente nuovo e loro peculiare. E’ molto più probabile, ed è comprovato
da osservazioni occasionali in bambini normali, che anche in questi sentimenti
di amore e di odio verso i genitori essi ci facciano distinguere più
chiaramente, per semplice ingrandimento, ciò che accade in modo meno chiaro e
meno intenso nella psiche della maggior parte dei bambini. A sostegno di questa
conoscenza, l’antichità ci ha tramandato un materiale leggendario, la cui
incisività profonda e universale riesce comprensibile soltanto ammettendo
un’analoga validità generale delle premesse anzidette, tratte dalla psicologia
infantile.
Intendo la leggenda del re Edipo e l’omonimo dramma di
Sofocle.
Edipo, figlio di Laio re di Tebe e di Giocasta, viene
abbandonato lattante perché un oracolo ha predetto al padre che il figlio che
sta per nascergli sarà il suo assassino. Edipo viene salvato e cresce come
figlio di re in una corte straniera, sinché, incerto della propria origine,
interroga egli stesso l’oracolo e ne ottiene il consiglio di star lontano dalla
patria, perché facendovi ritorno sarebbe costretto a divenire l’assassino di
suo padre e lo sposo di sua madre. Sulla strada che lo porta lontano dalla
presunta patria, incontra il re Laio e lo uccide nel corso di una repentina
lite. Giunge poi davanti a Tebe, dove risolve gli enigmi della Sfinge che
sbarra la via; per ringraziamento i tebani lo eleggono re e gli offrono in dono
la mano di Giocasta. Per lungo tempo regna pacifico e onorato, genera con la
madre a lui sconosciuta due figli e due figlie, finché scoppia una pestilenza
che induce ancora una volta i Tebani a consultare l’oracolo. Qui comincia la
tragedia di Sofocle. I messi portano il responso che la pestilenza avrà fine
quando l’uccisore di Laio sarà espulso dal paese. Ma dove si trova costui?
E dove
Potrà scoprirsi l’indistinta traccia
Che testimoni della colpa antica?
Ora, l’azione della tragedia non consiste in altro che nella
rivelazione gradualmente approfondita e ritardata ad arte – paragonabile al
lavoro di una psicoanalisi – che Edipo stesso è l’assassino di Laio, ma anche
il figlio dell’assassinato e di
Giocasta. Travolto dalla mostruosità dei fatti commessi inconsapevolmente,
Edipo si acceca e abbandona la patria. La sentenza dell’oracolo è compiuta.
Edipo re è una cosiddetta tragedia del fato; il suo effetto
tragico pare basato sul contrasto fra il supremo volere degli dèi e i vani
sforzi dell’uomo minacciato dalla sciagura; profondamente colpito, lo
spettatore dovrebbe apprendere dalla tragedia la rassegnazione al volere della
divinità, la cognizione della propria impotenza. E’ logico, quindi, che alcuni
poeti moderni abbiano cercato di ottenere un effetto tragico analogo,
intessendo lo stesso contrasto in una favola da loro inventata. Ma gli
spettatori hanno assistito indifferenti all’attuarsi, contro ogni resistenza,
di una maledizione o del decreto di un oracolo in uomini incolpevoli: le
successive tragedie del fato sono rimaste inefficaci.
Se l’Edipo re riesce a scuotere l’uomo moderno non meno dei
greci suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che
l’effetto della tragedia greca non si basa sul contrasto fra destino e volontà
umana, bensì va ricercato nella peculiarità del materiale in cui tale contrasto si presenta… E realmente,
nella storia del re Edipo è contenuto un momento determinante di questo tipo.
Il suo destino ci commuove soltanto perché sarebbe potuto diventare anche il
nostro, perché prima della nostra nascita l’oracolo ha decretato la medesima
maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere
il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di
violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re
Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto
l’appagamento di un desiderio della nostra infanzia. Ma, più fortunati di lui,
siamo riusciti in seguito – nella misura in cui non siamo diventati
psiconevrotici – a staccare i nostri impulsi sessuali da nostra madre, a
dimenticare la nostra gelosia nei confronti di nostro padre. Davanti alla
persona in cui si è adempiuto quel desiderio primordiale dell’infanzia,
indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi
desideri hanno subito da allora nel nostro intimo. Portando alla luce nella sua
analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prendere conoscenza del
nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre
presenti. La contrapposizione con cui il coro ci lascia:
…mirate
Lui che sapeva gli enimmi famosi, il più grande tra gli
uomini,
Edipo, a cui nessuno nel tempo felice si volse
Senza un invido sguardo…verso che gorghi d’orrore
E di dolore discenda…
esprime un monito che tocca noi stessi e il nostro orgoglio,
noi che dagli anni dell’infanzia siamo diventati ai nostri occhi così saggi e
potenti. Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei desideri, offensivi per la
morale, che ci sono stati imposti dalla natura e dopo la loro rivelazione noi
tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene della nostra infanzia…
Nello stesso terreno dell’ Edipo re si radica un’altra grande
creazione tragica, l’Amleto di Shakespeare. Ma nella mutata elaborazione della
medesima materia si rivela tutta la differenza nella vita psichica di due
periodi di civiltà tanto distanti tra loro, il secolare progredire della
rimozione nella vita affettiva dell’umanità. Nell’Edipo, l’infantile fantasia
di desiderio che lo sorregge viene tratta alla luce e realizzata come nel
sogno; nell’Amleto permane rimossa e veniamo a sapere della sua esistenza – in
modo simile a quel che si verifica in una nevrosi – soltanto attraverso gli
effetti inibitori che ne derivano…Il dramma è costruito sull’esitazione di
Amleto ad adempiere il compito di vendetta assegnatogli; il testo non rivela
quali siano le cause o i motivi di questa esitazione, né sono stati in grado di
indicarli i più diversi tentativi di interpretazione. Secondo la concezione
tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il tipo d’uomo la
cui vigorosa forza di agire è paralizzata dallo sviluppo opprimente
dell’attività mentale (“la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla
pallida cera del pensiero”). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere
un carattere morboso, indeciso, che rientra nell’ambito della nevrastenia.
Sennonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto
apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due
volte, la prima in un improvviso trasporto
emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una
seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con tutta la
spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due cortigiani alla morte
a lui stesso destinata.
Che cosa dunque lo inibisce nell’adempimento del compito che
lo spettro di suo padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la
spiegazione: la particolare natura di questo compito.
Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta sull’uomo che
ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l’uomo che gli
mostra attuati i suoi desideri infantili rimossi. Il ribrezzo che dovrebbe
spingerlo alla vendetta è sostituito in lui da auto rimproveri, scrupoli di
coscienza, i quali gli rinfacciano letteralmente che egli stesso non è migliore
del peccatore che dovrebbe punire. Così ho tradotto in termini di vita
cosciente ciò che nella psiche dell’eroe deve rimanere inconscio. Se qualcuno
vuol dare ad Amleto la denominazione di isterico, posso accettarla solo come
corollario della mia interpretazione. A questa ben s’accorda l’avversione
sessuale che Amleto manifesta poi nel dialogo con Ofelia, la medesima
avversione sessuale che negli anni successivi doveva impadronirsi sempre più
dell’animo del poeta, sino alle sue estreme manifestazioni nel Timone d’Atene.
Naturalmente, può essere solo la personale vita psichica del
poeta, quella che si pone di fronte a
noi nell’Amleto. Traggo dall’opera di
Georg Brandes su Shakespeare la notizia che il dramma è stato composto
immediatamente dopo la morte del padre di Shakespeare (1601), quindi in pieno
lutto nella reviviscenza – ci è lecito supporre – delle sensazioni infantili di
fronte al padre.
E’ noto anche che il figlio di Shakespeare, morto giovane,
aveva nome Hammet (identico a Hamlet).
Fonte: Web
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