lungo viaggio, si trovava di nuovo al punto di partenza, e
gli parve che gli occhi della
statua lo studiassero con ironia. Bevve un sorso d’acqua di
fuoco per rinfrancarsi e si
spaventò: la coppa era quasi vuota.
«L’amore non condiviso
evapora», gli ricordò la Voce Che Parlava Dentro. «Sì, evapora. Se non vuoi
che la coppa si prosciughi, rendendo vano il cammino compiuto, è
indispensabile che il tuo Io affoghi al più presto in un Noi.»
Volse le spalle alla
statua e vide i due fenicotteri. Si erano svegliati, finalmente, e litigavano fra loro. Capì di essere stato uno stupido a
invidiarli. Erano
prigionieri di una gabbia senza
sbarre e la nevrosi che li induceva a incrociare i becchi con tanta furia scaturiva dalla
mancanza di libertà. Entrò nei loro cuori e li trovò colmi di una rabbia che
disperdevano in gesti sconnessi. Sarebbe
toccato a lui ricordare a due uccelli a che cosa servivano
le ali?
Iniziò a sguazzare nella vasca. Era convinto che, se i
fenicotteri si fossero lanciati
al suo inseguimento, avrebbero riscoperto i propri istinti.
Invece continuavano a
guardarlo con indifferenza.
Raccolse un sassolino e lo gettò a un palmo da loro. Si
mossero, zampettando
isterici, senza neanche provare a staccarsi dal suolo. Li
seguì su una passerella
mimetizzata fra le alghe che saliva lungo la schiena del
Drago.
Fu così che una coppia di fenicotteri attaccabrighe e un
giovane uomo dai capelli
arruffati raggiunsero la cima di un’altura. Guardando in
basso, Tomàs potè ammirare
la geometria delle Terme. Il sentiero di collegamento fra le
vasche formava una stella
con la punta rivolta verso l’alto che ne inglobava un’altra
con la punta in basso: il
chiostro. L’insieme esprimeva un senso di perfezione e di
pace.
Ogni punta corrispondeva a uno dei luoghi che aveva
frequentato. Riconobbe la
palestra a forma di cubo, la vasca circolare della Luna, lo
scoglio della Gratitudine e
le tre vasche dell’Io che confluivano nella grotta del Noi.
Avvertì un dolore al collo.
Era la nostalgia. Resistette al richiamo e continuò ad
avanzare, ma dopo pochi passi
si accorse che i fenicotteri non lo seguivano.
«Non avete capito che siamo liberi? Dovete volare, volare!» e
agitò le braccia per
mimare il gesto, ricevendo in risposta degli sguardi vuoti.
«Può un uccello
dimenticarsi di essere un uccello?» si domandò.
«Certo che può. Io non
mi sono forse dimenticato per tutta la vita di essere un
uomo?» si rispose.
Sfiorò con delicatezza
le loro code e non ottenne reazione. Allora le pizzicò, ma fu
inutile. La mancanza
di esercizio le aveva atrofizzate.
«Come l’emisfero
femminile del mio cervello.»
Stava per abbandonare i fenicotteri al loro destino quando
commise l’imprudenza
di guardarli, e ne ebbe compassione.
«Vi insegnerò io.»
C’era un unico modo
per costringerli a volare. Togliere loro la terra sotto i piedi.
Non conoscendo il
vocabolario dei fenicotteri, avrebbe dovuto farsi capire con
l’esempio.
In una direzione il sentiero scendeva a valle, verso la
libertà, mentre nell’altra
conduceva al limitare di uno strapiombo. Tomàs lo raggiunse e
si affacciò sul vuoto.
In basso vide la vasca del Drago, colma di lacrime fino
all’orlo, che scintillava al
sole. Per
liberare due fenicotteri di cui non gli era mai importato niente sarebbe stato
costretto a lanciarsi
in un burrone, nella speranza che essi lo imitassero e, una volta
sospesi in aria, si ricordassero di essere nati per volare.
Diede uno sguardo alla coppa: l’acqua di fuoco era ridotta a
una goccia. L’ultima.
Quando fosse evaporata anche quella, si sarebbe trovato
ancora una volta senza
amore.
Lui non era un uccello. Se avesse deciso di lanciarsi, quasi
sicuramente si sarebbe
spiaccicato. Ma anche nel caso in cui fosse sopravvissuto a
una simile follia, avrebbe
di nuovo portato il suo corpo alle Terme e tutto sarebbe
stato inutile. Poteva
rinunciare a una libertà così faticosamente conquistata per
farne dono a due creature
che nulla avevano compiuto per meritarsela?
Tomàs non ebbe dubbi. Tornò indietro di qualche passo e
aspettò che il suo cuore
fosse in equilibrio. Poi avvicinò le mani alla bocca, finché
gli venne voglia di
produrre un rumore senza senso. Eccitati dal richiamo, i
fenicotteri avanzarono verso
di lui con intenzioni bellicose.
Era il momento.
Si lanciò di corsa
verso lo strapiombo. Arrivato sul ciglio, aprì le braccia e assunse
istintivamente
l’aspetto di una croce, mentre il fuoco del suo amore si risvegliava,
risaliva dall’osso
sacro attraverso i trentatré gradini delle vertebre, oltrepassava i sette
cancelli del corpo,
raggiungeva la testa e precipitava nuovamente dentro la camera
del cuore in una scia
di luce.
Anche Tomàs precipitò. Ma un attimo prima di schiantarsi
contro l’acqua della
piscina, sentì
un battito d’ali sopra di sé. Vide i due fenicotteri in volo e sorrise.
Il suo ultimo pensiero
fu che non era mai stato così felice.
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