domenica 10 marzo 2013

Da "L'ultima riga delle favole" di Massimo Gramellini



[…]I piedi di Tomàs affondavano nella vasca del Drago. Benché avesse compiuto un
lungo viaggio, si trovava di nuovo al punto di partenza, e gli parve che gli occhi della
statua lo studiassero con ironia. Bevve un sorso d’acqua di fuoco per rinfrancarsi e si
spaventò: la coppa era quasi vuota.
«L’amore non condiviso evapora», gli ricordò la Voce Che Parlava Dentro. «Sì, evapora. Se non vuoi che la coppa si prosciughi, rendendo vano il cammino compiuto, è indispensabile che il tuo Io affoghi al più presto in un Noi.»
Volse le spalle alla statua e vide i due fenicotteri. Si erano svegliati, finalmente, e litigavano fra loro. Capì di essere stato uno stupido a invidiarli. Erano prigionieri di una gabbia senza sbarre e la nevrosi che li induceva a incrociare i becchi con tanta furia scaturiva dalla mancanza di libertà. Entrò nei loro cuori e li trovò colmi di una rabbia che disperdevano in gesti sconnessi. Sarebbe toccato a lui ricordare a due uccelli a che cosa servivano le ali?
Iniziò a sguazzare nella vasca. Era convinto che, se i fenicotteri si fossero lanciati
al suo inseguimento, avrebbero riscoperto i propri istinti. Invece continuavano a
guardarlo con indifferenza.
Raccolse un sassolino e lo gettò a un palmo da loro. Si mossero, zampettando
isterici, senza neanche provare a staccarsi dal suolo. Li seguì su una passerella
mimetizzata fra le alghe che saliva lungo la schiena del Drago.
Fu così che una coppia di fenicotteri attaccabrighe e un giovane uomo dai capelli
arruffati raggiunsero la cima di un’altura. Guardando in basso, Tomàs  potè ammirare
la geometria delle Terme. Il sentiero di collegamento fra le vasche formava una stella
con la punta rivolta verso l’alto che ne inglobava un’altra con la punta in basso: il
chiostro. L’insieme esprimeva un senso di perfezione e di pace.
Ogni punta corrispondeva a uno dei luoghi che aveva frequentato. Riconobbe la
palestra a forma di cubo, la vasca circolare della Luna, lo scoglio della Gratitudine e
le tre vasche dell’Io che confluivano nella grotta del Noi. Avvertì un dolore al collo.
Era la nostalgia. Resistette al richiamo e continuò ad avanzare, ma dopo pochi passi
si accorse che i fenicotteri non lo seguivano.
«Non avete capito che siamo liberi? Dovete volare, volare!» e agitò le braccia per
mimare il gesto, ricevendo in risposta degli sguardi vuoti.
«Può un uccello dimenticarsi di essere un uccello?» si domandò.
«Certo che può. Io non mi sono forse dimenticato per tutta la vita di essere un
uomo?» si rispose.
Sfiorò con delicatezza le loro code e non ottenne reazione. Allora le pizzicò, ma fu
inutile. La mancanza di esercizio le aveva atrofizzate.
«Come l’emisfero femminile del mio cervello.»
Stava per abbandonare i fenicotteri al loro destino quando commise l’imprudenza
di guardarli, e ne ebbe compassione.
«Vi insegnerò io.»
C’era un unico modo per costringerli a volare. Togliere loro la terra sotto i piedi.
Non conoscendo il vocabolario dei fenicotteri, avrebbe dovuto farsi capire con
l’esempio.
In una direzione il sentiero scendeva a valle, verso la libertà, mentre nell’altra
conduceva al limitare di uno strapiombo. Tomàs lo raggiunse e si affacciò sul vuoto.
In basso vide la vasca del Drago, colma di lacrime fino all’orlo, che scintillava al
sole. Per liberare due fenicotteri di cui non gli era mai importato niente sarebbe stato
costretto a lanciarsi in un burrone, nella speranza che essi lo imitassero e, una volta
sospesi in aria, si ricordassero di essere nati per volare.
Diede uno sguardo alla coppa: l’acqua di fuoco era ridotta a una goccia. L’ultima.
Quando fosse evaporata anche quella, si sarebbe trovato ancora una volta senza
amore.
Lui non era un uccello. Se avesse deciso di lanciarsi, quasi sicuramente si sarebbe
spiaccicato. Ma anche nel caso in cui fosse sopravvissuto a una simile follia, avrebbe
di nuovo portato il suo corpo alle Terme e tutto sarebbe stato inutile. Poteva
rinunciare a una libertà così faticosamente conquistata per farne dono a due creature
che nulla avevano compiuto per meritarsela?
Tomàs non ebbe dubbi. Tornò indietro di qualche passo e aspettò che il suo cuore
fosse in equilibrio. Poi avvicinò le mani alla bocca, finché gli venne voglia di
produrre un rumore senza senso. Eccitati dal richiamo, i fenicotteri avanzarono verso
di lui con intenzioni bellicose.
Era il momento.
Si lanciò di corsa verso lo strapiombo. Arrivato sul ciglio, aprì le braccia e assunse
istintivamente l’aspetto di una croce, mentre il fuoco del suo amore si risvegliava,
risaliva dall’osso sacro attraverso i trentatré gradini delle vertebre, oltrepassava i sette
cancelli del corpo, raggiungeva la testa e precipitava nuovamente dentro la camera
del cuore in una scia di luce.
Anche Tomàs precipitò. Ma un attimo prima di schiantarsi contro l’acqua della
piscina, sentì un battito d’ali sopra di sé. Vide i due fenicotteri in volo e sorrise.
Il suo ultimo pensiero fu che non era mai stato così felice.

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