mercoledì 16 maggio 2012

Gli svegli e i dormienti


Eraclito

Appunti  del Prof. Amedeo Paolucci

www.amedeopaolucci.it

Premessa

La vita di Eraclito di Efeso è avvolta nel mistero: la sua biografia si perde

nella leggenda.

Di temperamento fiero e aristocratico, di questo filosofo, vissuto tra il VI e il V

secolo, sappiamo molto poco.

Scrisse un’opera dal titolo “Intorno alla natura”, una raccolta di aforismi e

sentenze brevi dalla difficile interpretazione.

Per questo motivo Eraclito venne soprannominato “l’oscuro”.

Gli svegli e i dormienti

Eraclito riteneva che i filosofi, chiamati dall'autore gli svegli, hanno il compito

di sviluppare una teoria generale dell’essere e del Mondo.

Una tale teoria deve scaturire da un’indagine profonda della realtà,

abbandonando l’ingannevole mondo delle idee comuni e delle false credenze

Esiste una netta contrapposizione dunque tra la filosofia e la mentalità

comune.

Il nocciolo segreto delle cose può essere colto solo dai filosofi, quelli che

sanno andare al di là delle apparenze immediate.

La teoria del divenire

A chi sa andare oltre le apparenze immediate, risulta chiaro che il mondo è

come un fiume: un flusso perenne e inarrestabile.

La forma dell’essere è il divenire, poiché ogni cosa è soggetta al tempo e alla

trasformazione e, anche ciò che sembra stativo e fermo, in realtà, è dinamico

e in movimento.

Tutto scorre dunque: panta réi.

Un frammento della sua opera recita:

“Non è possibile discendere due volte nello stesso fiume, né toccare due

volte una sostanza mortale nello stesso stato; per la velocità del movimento,

tutto si disperde e si ricompone di nuovo, tutto viene e va” (fr.91di cui si nutre la massa, “i più”, quelli che l’autore chiama “i dormienti”.

Tutto diviene, nulla permane; o, se si vuole, è permanente solo il divenire

delle cose.

L’elemento materiale fondamentale, l’Arché a partire dal quale tutto si forma

è, per Eraclito, il fuoco.

Ogni cosa proviene dal fuoco e tornerà al fuoco: il fuoco, ad esempio,

condensandosi diventa acqua e poi, condensandosi ancora, diventerà terra.

Il fuoco, con il suo perenne movimento, oltre ad essere la sostanza

primordiale, principio di tutto ciò che esiste, ben simboleggia, con il suo

perenne movimento, la vera forma dell’essere che è, come abbiamo visto, il

divenire.

La dottrina dei contrari

Un altro interessante aspetto del pensiero eracliteo è la dottrina dei contrari.

Filosoficamente parlando, nulla può esistere senza il suo opposto/contrario

(Es. il bene e il male).

Tra un aspetto e il suo opposto c’è uno stretto legame di interdipendenza e, il

flusso del divenire, trasforma l’uno nell’altro.

I contrari hanno una loro unità e, se il fuoco è la sostanza fisica che

costituisce le cose, la legge universale che governa il Mondo è appunto la

“legge delle interdipendenze e della inscindibilità degli opposti”, legge che

Eraclito chiama Lògos (=Ragione).

Il flusso continuo del divenire procede con una eterna lotta degli opposti, lotta

che trasforma continuamente un elemento nel suo opposto.

La vita stessa è lotta e opposizione: senza questa lotta non esisterebbe

nulla.

In un noto frammento Eraclito sostiene che:

“Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte è il Re”.

Questo conflitto (pòlemos), questa guerra, è ovunque, dentro e fuori di noi,

generando una sorta di equilibrio, di armonia superiore che il filosofo solo

riesce a cogliere.

La scoperta dell’unità degli opposti – che è la legge stessa della vita- porta

Eraclito a ritenere che l’armonia del Mondo non risieda nella conciliazione dei

contrari, bensì nel mantenimento del conflitto.

La vita è lotta ed opposizione e, la sua armonia, risiede proprio in questo

fatto, senza di cui non ci sarebbe l’essere.

Ad Omero che aveva detto: “possa la discordia sparire tra gli dei e gli uomini”,

Eraclito risponde che il poeta non si accorge, così facendo, di pregare per la

distruzione dell’Universo, poiché se la sua preghiera fosse esaudita, tutte le

cose perirebbero.

L’universo come Dio-Tutto

Il pensiero eracliteo sfocia in una concezione panteistica del Mondo.

Dio è l’unità di tutti i contrari, mutamento continuo e fuoco generatore.

In un celebre frammento che è un po’ la sintesi del suo pensiero, Eraclito

sentenzia che:

“La divinità è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame. Essa

muta come il fuoco” (fr. 67).

Questo dio-tutto è sempre esistito e sempre esisterà, alternando, con ordine

regolare, spegnimento e accensione.

Eraclito dunque ha una visione ciclica del mondo. L’universo tornerebbe,

dopo un certo tempo al caos primitivo per poi, successivamente, uscirne.

Filosofia antica
Eraclito



Eraclito di Efeso (circa 540 – 470 a.C.)

Eraclito di Efeso completa, recupera e va oltre i filosofi precedenti.  Egli é il grande della scuola ionica, e il suo ultimo pensatore.  Per inciso: nessun filosofo supera un altro in grandezza o giustezza, è la nostra impressione del pensiero di Eraclito, il senso che questo pensiero ha per noi, che ci fa dire”fu il più grande”; ma in filosofia ogni pensiero è “grande”, anzi, è l’atto del pensare la vera grandezza della filosofia..  E’ un pensatore di cui noi abbiamo un notevole numero di testi, circa 130 frammenti, alcuni dei quali di 7 o 8 righe.  Si tratta perciò di un corpus abbastanza completo sul quale possiamo svolgere congetture filologicamente ben fondate per conoscere più profondamente il suo pensiero.  E’ bene fare subito due premesse.  La prima è che seguendo l'ordine cronologico dovremmo parlare prima di Pitagora e poi di Eraclito (540 – 480 a.C.), perché Pitagora viene prima (le testimonianze degli antichi indicano di lui “’l’acme” della vita intorno al 530 a.C. quando Eraclito doveva avere più o meno 10 anni).  Egli vive un poco prima o forse è coetaneo di Parmenide, che fa riferimento al suo pensiero, mentre esplicitamente non c'è alcun riferimento da parte di Eraclito al pensiero di Parmenide.  Eraclito cita invero Pitagora più volte nei suoi scritti.  Ma siamo costretti a parlare prima di Eraclito perché del pensiero di Pitagora noi non conosciamo quasi nulla.  Perciò è bene trattare di Pitagora dopo Eraclito e dopo Parmenide, e casomai noi possiamo fare riferimento a frammenti che riguardano la Suola Ptagorica, che riprenderà alcuni temi dell'insegnamento di Pitagora, (e fino a che punto non possiamo poi dirlo), ma che però si riferiscono a periodi posteriori ad Eraclito.Non sappiamo con esattezza se i frammenti di Eraclito pervenuti sino a noi (nelle citazioni inserite nelle opere di altri antichi autori giunte sino a noi)i facessero parte di un libro scritto in forma sistematica.  E’ sicuro che Eraclito scrisse un libro intitolato Sulla natura (Perì physeōs), ma in quale forma lo abbia scritto, non ci è dato saperlo con sicurezza.  Per diversi motivi, alcuni studiosi pensano che Eraclito abbia scritto il suo libro sotto forma di aforismi o sentenze e che Eraclito stesso non abbia dato forma sistematica al suo pensiero, anche se il suo è un pensiero sistematico, che volutamente vuole essere ermetico.  Perciò i frammenti che oggi possediamo potrebbero anche essere una parte di quelle sentenze che costituivano il libro originario.    Eraclito vive anch'egli nelle colonie dell'Asia Minore, ad Efeso, appartiene ad una famiglia delle più importanti.  Secondo le testimonianze dell’epoca, la sua famiglia avrebbe regnato su Efeso,ed Deraclito avrebbe assunto funzioni sacerdotali nel tempio di Artemide.   La tradizione ce lo descrive come un temperamento orgoglioso, solitario, sprezzante.  Soprattutto gli antichi riconoscevano il carattere ermetico del testo di Eraclito e lo soprannominavano l'"oscuro" (Skoteinòs).  Pare che Eraclito volutamente si esprimesse in modo oscuro, perché non si pensasse nemmeno di interpretare il suo pensiero, che evidentemente nella mente del filosofo era compiuto in ogni suo aspetto.  Scrive perciò in uno stile oratorale, dà delle sentenze, dà dei responsi, volutamente senza diffondersi.  Alcune testimonianze raccontano che egli avesse posto il suo manoscritto nel tempio di Artemide, proprio per indicare che la sua opera era somma, ispirata dalla Dea.  Era un aristocratico, convinto di essere il migliore del suo tempo.

 É anche un pensatore molto complesso, che ha messo in luce molti nodi del pensiero, che saranno successivi problemi della filosofia.  Da una parte chiude la scuola ionica, dall'altra prepara la strada e introduce problemi che sono ancora, per certi aspetti, quelli di oggi.

Cercheremo innanzitutto di esaminare quale sia il metodo del filosofare di Eracito, così come lo si può ricavare dai suoi frammenti.  La grande novità di questa filosofia è che essa contiene dei riferimenti sicuri di carattere riflessivo, ossia l’indagine filosofica sull'attività del pensiero stesso.  Abbiamo la consapevolezza sul metodo della riflessione, della sua diversità dal pensare del mito e dall’opinione.  Per capire come Eraclito arriva a questa conclusione, partiremo dalla indagine eraclitea sul mondo, i dati sensibili.  Sembra che egli (ma anche se questo è contestato da molti studiosi), dia molta importanza ai dati della esperienza.  Scrive infatti nel frammento 55 "Preferisco quelle cose di cui c'è vista, udito ed esperienza": ritiene perciò che ogni conoscenza debba partire dai dati sensoriali.  Clemente Alessandrino ci riporta un altro frammento, il 35, nel quale scrive: "E' necessario infatti, secondo Eraclito, che coloro che amano la sapienza [etimologia di filosofi] siano certamente esperti di molte cose". A supporto dell'indagine filosofica, occorrono dunque molti dati, la cosiddetta historya.  Tutto questo sembra essere in contrasto con una critica che Eraclito muove a Pitagora ed a altri saggi dell'antichità, di essere soltanto stati dei "puri conoscitori di molte cose". e di non aver posseduto la vera sapienza.  Alcuni interpreti hanno perciò dedotto che Eraclito è in contraddizione con se stesso: da una parte dice che bisogna conoscere molte cose e dall’altra critica chi dimostra conoscenza.  La sapienza di Pitagora era molto stimata presso gli antichi, anche per il fatto che egli dichiarava di ricordare le vite precedenti che aveva vissuto.  In un mondo ancora imbevuto di mentalità mitica, questa conoscenza era infatti già un qualcosa di nuovo.  Eraclito però, da una parte critica questo sapere e dall'altra lo valorizza.  La spiegazione di questa contraddizione potrebbe però essere che egli si sarebbe espresso in forma ironica quando scrisse che il filosofo deve conoscere molte cose, ed alcuni studiosi hanno avanzato questa ipotesi.  Il termine "filosofo" pare sia stato introdotto da Pitagora, per cui la critica di Eraclito conmterrebbe un’allusione ironica al sapere di questo tipo di “filosofi”, che suonerebbe così: "quell'amico della sapienza che è Pitagora, ci dà a bere che la sapienza consista nel conoscere molte cose". Ma non è così.  Secondo altri, il riferimento di Eraclito, che il filosofo debba conoscere molte cose, è da intendere senza ironia e senza ipotizzare nessuna contraddizione: egli infatti avrebbe scritto semplicemente che la filosofia non deve ridursi alla conoscenza, ma andare oltre la semplice historya.  Per questo critica Pitagora: perché riduceva la filosofia all’historya, ma questa critica non nega che la filosofia debba fondarsi su un largo apporto dei dati dell'esperienza.  Possiamo perciò sostenere che in Eraclito la riflessione iniziale sui modi della conoscenza, il metodo insomma della ricerca filosofica, è ben fondato, così come l'intuizione dell'importanza dei dati dell'esperienza, dai quali partire per sviluppare successivamente una conoscenza più approfondita della realtà.  Però egli sostiene ancora, che il filosofo deve saper trascendere i dati dell'esperienza, per conseguire la sapienza.  Qui abbiamo un pensiero fondamentale di Eraclito, il frammento 114:

E' necessario che coloro che parlano adoperando la mente si basino su ciò che è comune a tutti, come la città sulla legge, ed in modo ancora più saldo.  Tutte le leggi umane infatti traggono alimento dall'unica legge divina: giacché essa domina tanto quanto vuole e basta per tutte le cose e ne avanza per di più.

Qui abbiamo la prima chiara dimostrazione che Eraclito ha la consapevolezza dell’attività del suo pensiero, una consapevolezza riflessiva, il Nous, l'intelletto che parla, la ricerca dell’unità nella visione delle cose: quello che a tutti è comune.  Si rende conto che il Nous è la capacità di indagare e cercare l'unità nella molteplicità, quella conoscenza che si manifesta proprio nel cogliere la caratteristica dell'unità del mondo.  E l'unità del reale può essere messa in luce proprio perché l'uomo ha il Nous, non perché raccoglie dati sensibili.  E secondo Eraclito deve esserci una corrispondenza fra il Nous, che è nell'uomo, e il principio unitario della realtà, ossia “l’unica legge divina ... che domina tanto quanto vuole, e basta per tutte le cose”.  Non sappiamo però con certezza se questo frammento di Eraclito abbia valore di affermazione (cioé, se egli intendesse dire che, di conseguenza, la sapienza delle leggi sta nell’uniformarsi alla legge divina) o soltanto di paragone.

Con la filosofia di Eraclito abbiamo anche la tematizzazione del divenire, prima di lui presente soltanto in filigrana nel pensiero degli jonici, e mai esplicitato.  Eraclito non si limita a constatare la molteplicità e il divenire delle cose, ma cerca anche di spiegarli.  Cioè, non si limita all'enunciato, ma cerca di capire il perché, quali sono le leggi sottese, in che modo agisca il divenire e come sia possibile che il mondo diveniente possa conciliarsi con la realtà dell’essere.  Ricorderemo, per inciso, che l’importanza del tema "unità dell’essere vs/ divenire", caro ai filosofi fisici (e a tutta la filosofia), non era di poco conto, perché dalla “scoperta” delle leggi del divenire e dell’Essere dipendeva la scoperta della sapienza, in ogni campo della vita politica, sociale e culturale – e, di conseguenza, la risoluzione di tutti le angosce esistenziali dell’uomo greco del sesto (ormai quinto) secolo, che in buona parte sono ancora le nostre angosce.  Sarebbe stato insomma, l’argomento degli argomenti (l’arché, appunto, il fondamento), su cui basare un modello di conoscenza e un riferimento indiscutibile per un comportamento privato e collettivo armonicamente integrati con le leggi naturali.

L'approccio di Eraclito al problema del divenire è di tipo razionale.  Assieme a Parmenide è in effetti uno dei pensatori che scinde la conoscenza razionale della realtà, dalla conoscenza sensibile, e già i due frammenti 35 e 55 lo dichiarano esplicitamente.  Una cosa è conoscere con la ragione, un'altra cosa è servirsi dei sensi, che di fatto non portano a capire la realtà, ma solo a percepirla.  I sensi non ci dicono nulla su questo divenire mentre l'intelletto (sinonimo, fino a Kant, di ragione) ci permette l'indagine.  Si tratta quindi di capire se si tratta di un divenire caotico o di un divenire che abbia una sua logica, che possa essere scoperta solo dalla "ragione-intelletto".  Ovviamente per Eraclito si parte dal punto di vista che il divenire abbia una sua legge (la legge del lògos).  Noi siamo abituati anche a considerare, dalla filosofia stoica in poi, il termine lògos nel significato di “ragione”.  In Eraclito però il termine lògos ha molti significati ma non significa mai “ragione”.  Significa parola, norma, regola, legge, principio, ecc.

 Il lògos è inteso da una parte come una legge secondo cui tutte le cose avvengono, dall'altra parte anche come l'espansione di questa legge, attraverso il nous, la consapevolezza pensata di questa esistenza.

"Di questo lògos che è sempre, gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato, sia dopo di averlo ascoltato.  Benché infatti tutte le cose accadano secondo questo lògos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com'è.  Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo. (Fr.1)

Dunque la scoperta dello stretto rapporto e della commistione fra l'atto del pensare e la legge dell'accadere.  Il mondo appare ad Eraclito non più come un mondo oscuro e misterioso, oppure come un insieme di forze che si contrappongono le une alle altre, come ad esempio in Anassimandro, o in cui il pensiero dell'uomo non ha alcun potere o alcuna capacità di comprensione come potrebbe essere il mondo del mito, ma il mondo si manifesta come quella realtà dominata dalla legge che trova il suo corrispettivo nella capacità dell'uomo di riconoscerla, con l'apertura della vita umana alla Legge del cosmo.  E anzi, si potrebbe dire che è attraverso la ricerca del lògos, della Legge unitaria, che Eraclito riesce a concepire e dare un'interpretazione del mondo come cosmo, come un tutto dominato, preordinato.  Il termine Kòsmos in greco significa appunto un tutto ordinato in funzione del lògos, in funzione della sua legge, non tanto il cosmo come realtà o come mondo fisico, che vediamo e tocchiamo.

Noi oggi siamo abituati dalla lunga tradizione della cultura occidentale a concepire il mondo ordinato secondo leggi  e la scienza ha scoperto in parte la dinamica di queste leggi, imparando a servirsene per ottenere determinati scopi.  Tutto questo a noi oggi sembra naturale, ma è invece in questo periodo che si ha per la prima volta nel mondo occidentale questa concezione del cosmo come un tutto ordinato secondo una legge rigorosa, quella del lògos, che poi va conosciuta nelle sue manifestazioni determinanti, nelle sua applicazioni ai casi particolari, a cui è aperta l'intelligenza.  L'intelligenza, approfondendo la sua stessa natura, riscopre questa legge che è la legge della realtà stessa.  Naturalmente è un programma che Eraclito annuncia, e nel quale però noi possiamo vedere una delle tappe fondamentali della formazione della mentalità razionale nella storia del pensiero occidentale.

Il divenire per Eraclito si spiega essenzialmente attraverso l'opposizione, nel rispetto della legge del lògos.  La realtà diviene perché è costituita da opposti (ecco spuntare la dialettica, metodo che rimarrà in tutta la filosofia e che con Hegel e Marx diverrà una legge della stessa realtà).  E' quindi la realtà stessa che si costituisce in opposti,  (Fr. 30) non tanto la nostra mente che ha bisogno di interpretarla per opposti.  Il buio esiste come buio, non per il fatto che ci sia la luce; non sono due realtà ma una sola realtà luce/buio che si manifesta per opposti, in continuo divenire dall’uno all’altro.

 Una prima legge della realtà diveniente è dunque "l'armonia dialettica degli opposti", l'armonia manifesta che l'intelletto coglie nelle cose: gli opposti si succedono infatti in modo ordinato, senza mai prevalere l'uno sull'altro.  Ogni opposto vive il suo tempo, per poi essere sostituito da un altro opposto e così via, in una successione ordinata.  La dinamica non è molto dissimile da quella sostenuta dall’àpeiron di Anassimandro, ma di nuovo e fondamentale, qui vi è il rimando all’esperienza, la congettura suffragata dai dati della realtà, senza l’interferenza di quegli elementi mitici che in Anassimandro ancora permangono, e quel senso di tragedia e di condanna che quel famoso "fio" che l'uno deve pagare all'altro ("poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo") , e che adombra il frammento di un elemento di mistero e di fatalità.  La giornata è intesa come il succedersi ordinato di un periodo di luce e uno di buio.  La realtà sensibile si limiterebbe a constatare il fatto, l'intelletto invece coglie la regola e l'armonia - ecco anche la differenza, che si affermava sopra, fra nous e historya .

L'intelletto inoltre arriva a qualcosa di più profondo, a chiedersi il perché di questa regola e armonia.  La risposta di Eraclito è la seguente: nella loro essenza più profonda gli opposti sono la medesima cosa.  Questa è l'armonia nascosta che l'intelletto scopre come ultima legge.  Soltanto così si può capire come un opposto nasca dall'altro.  Al fondo di tutte le cose sta l'unità profonda del tutto.  Dire "il caldo diventa freddo", non è concepire una cosa calda e una cosa fredda (tra l'altro, in Eraclito manca l'idea del sostrato aristotelico).  Gli opposti passano l'uno nell'altro senza mediazione.  "Il mare è l'acqua più pura e più impura: per i pesci essa è potabile e conserva la loro vita, per gli uomini essa è imbevibile".  Il che rende possibile la conclusione che gli opposti sono la stessa cosa.  "Una e la stessa è la via all'in su e la via all'in giù".  Egli quindi arriva a concludere che gli opposti si succedono in maniera regolare, proprio perché sono la stessa cosa.

La coincidenza degli opposti è quindi possibile in quanto gli opposti sono reali in se stessi.  La realtà è pertanto l'unione degli opposti, ed e' necessario l'intervento dell'opposto perché la realtà si costituisca [1]

Le acque scorrono sempre nel  fiume in cui ci si bagna, ma il fiume è sempre lo stesso.  Questo divenire dunque si svolge all'interno di un ordine, di una legge che dà unità a queste cose (il lògos).  Ed è in virtù di questa legge che il mondo è uno.  E dunque, in Eraclito, l'affermazione dell'unità del mondo, deriva proprio dalla constatazione della molteplicità del mondo.  Ecco, infine, il vero senso del “pànta rèi”, così a sproposito evocato da molti: tutto scorre perché nulla scorre, perché la realtà cambia rimanendo sempre se stessa.

Eraclito dà così un fondamento filosofico all'unità del mondo (alla realtà dell’essere) che i filosofi precedenti cercavano.  Il mondo è uno perché dall'ordine deriva una unificazione del tutto.  L'unità è dinamica: richiede sempre la molteplicità.  L'unità viene recuperata attraverso la molteplicità in quanto presupposto necessario. Proprio perché la realtà è una nella sua molteplicità, qualsiasi punto di partenza sia, quello della ricerca, porta sempre a trovare l'unità, l'armonia.

Anche l’esperienza esistenziale soggiace alla legge dialettica: l'aspetto della lotta, della guerra, del combattimento, che è signore di tutte le cose, perché tutto nel mondo nasce dalla opposizione e da forze opposte.

Pòlemos [la guerra - in greco è un vocabolo maschile] è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi. (Fr. 53)

Non ci sarebbe la musica se non ci fosse il suonatore di flauto, non ci sarebbe la generazione dei viventi se non ci fosse il maschio e la femmina.  Tutta la realtà, seguendo gli esempi che Eraclito fa, tratti dalla vita sociale e dalla natura, risulta come espressione di contrapposizioni.

Se noi partiamo da questa historya, che è il punto di partenza di Eraclito, quello che noi definiremmo un ordinamento dialettico della realtà nei suoi grandi ambiti (rapporto sociale, mondo fisico, mondo teologico, ecc.), dobbiamo però riconoscere (ecco la dottrina del lògos che si va esplicitando) che c'è un'armonia fra queste forze opposte.

Gli opposti non si oppongono selvaggiamente gli uni agli altri, rispettano una misura, rispettano un ordine che è dato dalla successione degli opposti.  C'è una successione nella realtà degli opposti, per cui un opposto non può prevalere sull'altro eternamente, ma deve lasciare il passo all'altro.  Anassimandro diceva che c'è una giustizia nel divenire delle cose.  Eraclito ritorna ancora con più intensità su questo principio:

La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando sono quello e quelli di nuovo mutando sono questi. (Fr. 88)

 Le cose fredde si riscaldano, il caldo si fredda, l'umido si secca, ciò che è arido si inumidisce (Fr. 126).

C'è una successione degli opposti, per cui ogni opposto deve cedere all'altro secondo un certo ordine di successione.  Ognuno addirittura si tramuta nell'altro.

Elios [il sole] infatti non oltrepasserà le sue misure; ché altrimenti, Le Erinni, al servizio di Dike [la notte], lo troverebbero (Fr.94)

Ognuno di questi elementi opposti tende a passare nell'altro, tende a unirsi all'altro, a richiamare l'altro.  Ecco allora che il costituirsi del mondo da una parte è mancanza, opposizione, ma d'altra parte, nella successione degli opposti c'è la pienezza dell'òntos, l'attrazione costruttiva.  La contrapposizione tende quindi a risolvere la sua carenza nella costituzione dell'unità.  Proprio per questo succedersi dinamico, le cose sono una cosa sola.  C'è un'unità ancora più profonda nella successione degli opposti: il mondo è composto da cose opposte che si risolvono nell'unità.  Eraclito ha un frammento famoso in cui esprime questa unità delle cose opposte:

Non comprendono [gli altri] come [il cosmo] pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell'arco e della lira (51).

Non lo comprendono perché non riescono a capire come l'armonia nasca per un gioco di opposizioni, e fa l'esempio famoso dell'arco e della lira.   Come l'arco funziona, con la tensione opposta di corda e legno, così funziona il cosmo.  Ecco dunque che l'unità dell'arco, la sua realtà e il suo funzionamento, sono possibili per la contrapposizione degli opposti.  L'opposizione è ricondotta all'unità della funzione.  Stesso discorso vale per la lira.  Il mondo dunque come unità nella molteplicità e molteplicità nell'unità. E qui abbiamo allora una concezione diversa del rapporto uno / molti rispetto a quello di Anassimandro.  All'unità si arriva non col riassorbimento di tutte le cose nell'infinito, ma l'unità si realizza proprio nella contrapposizione degli opposti.  Allora, continuando il nostro discorso, il Nous, l'intelligenza, si costituisce nella capacità proprio di cogliere ciò che unifica, la molteplicità del mondo, dell'esperienza e del cosmo, e ciò che unifica la molteplicità è appunto questa legge universale che si esprime nel lògos concepito come unità che si apre alla molteplicità, che ha bisogno della molteplicità per manifestarsi, ma molteplicità che ha la sua realtà solo nell'intelligenza.

Abbiamo ancora da dire una cosa sul pensiero di Eraclito, cioè la concezione eraclitea di Dio.  Se noi volessimo giudicare secondo le nostre categorie il pensiero di Eraclito, potremmo forse dire che egli ha una visione immanentistica e panteistica della realtà.  Ma erreremmo profondamente, perché non avremmo presente tutto lo svolgimento del suo pensiero.  Egli infatti ha una molteplicità di frammenti che riguarda quello che egli chiama Zeòs, Dio.  C'è un frammento, dal quale noi partiamo, il nr. 67 che dice:

Il Dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come [il fuoco] quando si mescola ai profumi e prende nome dall'aroma di ognuno di essi (Fr. 67)

Sembra che Eraclito identifichi Dio nell'unità. Il mutamento di Dio indica invece qualcosa di diverso.  Se noi esaminiamo bene questo testo e riflettiamo, vediamo che qui Dio non è tanto l'unità degli opposti perché il fuoco rimane sempre fuoco.  C'è anche una certa contrapposizione fra il fuoco e il profumo che è messo sul fuoco.  Anche in questo testo, che sembra confermare Dio come unità degli opposti, si vede che egli cerca di affermare qualche cosa che trascende gli opposti stessi, come il fuoco si distingue dagli aromi. 

 

Ma questa potrebbe essere però una nostra interpretazione, influenzata dal pensiero cristiano.  Abbiamo però a conferma di questa interpretazione, altri frammenti indubbi, ad es. il frammento 108:

Di tutti coloro di cui ho ascoltato i discorsi (lògoi), nessuno è arrivato al punto da riconoscere che ciò che è saggio (il sapiente) è separato da tutti (da tutte le cose). (Fr. 108).

 

Alcuni interpreti traducono con l'espressione "la sapienza", piuttosto che con "ciò che è saggio" o con "il sapiente".  Direi che a conforto della nostra interpretazione, del "sapiente", ci sono altri frammenti in cui il principio è più chiaro e si conferma il senso qui individuato.

L'unico, il solo saggio, vuole e non vuole essere chiamato col nome di Zeus. (32)

Allora abbiamo la conferma che quel sapiente che è separato da tutte le cose è quell'uno che solo è sapiente, che vuole e non vuole essere chiamato col nome di Zeus. 

 Perché vuole e non vuole?  Qui c'è tutta la polemica contro la concezione mitica della divinità.  Zeus è sì il primo degli Dèi, ma quante sciocchezze hanno detto, secondo Eraclito, i poeti sugli Dèi. "Omero è degno di essere scacciato dagli agoni e di essere frustato, ed egualmente Archiloco"  (Fr. 42).  Dio vuole essere chiamato col nome di Zeus, se con “Zeus” intendiamo dire il padre della dèità, ma non vuole essere chiamato col nome di Zeus se in “Zeus” si intende una proiezione antropomorfica della divinità.  Non solo, ma Eraclito ha una molteplicità di frammenti che parlano di Dio, la cui interpretazione è indiscussa.  Per poter parlare di Dio Eraclito cerca di rendere conto di come si possa conoscere l'Essere supremo:

 

 L'uomo ha la forma di un fanciullo di fronte alla divinità, così il bambino di fronte all'uomo (79).

Qui Eraclito cerca di esprimere cosa è Dio, attraverso un ragionamento analogico.  Non dobbiamo noi, per comprendere la realtà di Dio, basarci sulla somiglianza con la natura umana, perché Dio è al di là di questa natura.  Però c'è un certo rapporto, una certa analogia, fra il rapporto bambino uomo e uomo Dio.

C'è poi il frammento 93 che dice:

Il più saggio degli uomini appare come una scimmia di fronte alla divinità, per sapienza, per bellezza e per ogni altro rispetto.

O anche il frammento 82: “la più bella delle scimmie è turpe a paragone della stirpe umana”, si inserisce in questo discorso.  C'è un tentativo di far capire che noi non possiamo capire Dio in sé perché Dio, rispetto alle nostre capacità di comprensione, è immenso. E' come se noi volessimo capire la realtà dell'uomo partendo dalla realtà di una scimmia.

Se c'è secondo Eraclito questo Essere, qual è la sua funzione nella realtà?  Che rapporto c'è fra Dio e il Lògos?  C'è un testo, il frammento 41, che risponde al nostro quesito.  Eraclito dice: l'uno, il sapiente, conosce della mente la sapienza, governare il tutto mediante il tutto. (nella versione del Giannantoni: "Un'unica cosa è la saggezza, comprendere la ragione per la quale tutto è governato attraverso il tutto").

 Vuol dire che la sapienza di Dio è inserire ogni aspetto della realtà nel tutto.  Governare ogni cosa in funzione di una unità della realtà.  Ecco dunque che la legge unitaria della concezione degli opposti è espressione dell'opera del Nous divino, che governa il tutto attraverso il tutto.

Fonti:

G. Giannantoni, a cura di, I presocratici, Laterza, Bari, 1986

G. Reale, D. Antiseri, La filosofia nel suo sviluppo storico, La Scuola, Brescia, 1988

Nessun commento:

Posta un commento