Eraclito
Appunti del Prof. Amedeo Paolucci
www.amedeopaolucci.it
Premessa
La vita di Eraclito di Efeso è avvolta nel mistero:
la sua biografia si perde
nella leggenda.
Di temperamento fiero e aristocratico, di questo
filosofo, vissuto tra il VI e il V
secolo, sappiamo molto poco.
Scrisse un’opera dal titolo “Intorno alla natura”,
una raccolta di aforismi e
sentenze brevi dalla difficile interpretazione.
Per questo motivo Eraclito venne soprannominato
“l’oscuro”.
Gli svegli e i dormienti
Eraclito riteneva che i filosofi, chiamati
dall'autore gli svegli, hanno il compito
di sviluppare una teoria generale dell’essere e del
Mondo.
Una tale teoria deve scaturire da un’indagine
profonda della realtà,
abbandonando l’ingannevole mondo delle idee comuni e
delle false credenze
Esiste una netta contrapposizione dunque tra la
filosofia e la mentalità
comune.
Il nocciolo segreto delle cose può essere colto solo
dai filosofi, quelli che
sanno andare al di là delle apparenze immediate.
La teoria del divenire
A chi sa andare oltre le apparenze immediate,
risulta chiaro che il mondo è
come un fiume: un flusso perenne e inarrestabile.
La forma dell’essere è il divenire, poiché ogni cosa
è soggetta al tempo e alla
trasformazione e, anche ciò che sembra stativo e
fermo, in realtà, è dinamico
e in movimento.
Tutto scorre dunque: panta réi.
Un frammento della sua opera recita:
“Non è possibile discendere due volte nello stesso
fiume, né toccare due
volte una sostanza mortale nello stesso stato; per
la velocità del movimento,
tutto si disperde e si ricompone di nuovo, tutto
viene e va” (fr.91di cui si nutre la massa, “i più”, quelli che l’autore chiama
“i dormienti”.
Tutto diviene, nulla permane; o, se si vuole, è
permanente solo il divenire
delle cose.
L’elemento materiale fondamentale, l’Arché a partire
dal quale tutto si forma
è, per Eraclito, il fuoco.
Ogni cosa proviene dal fuoco e tornerà al fuoco: il
fuoco, ad esempio,
condensandosi diventa acqua e poi, condensandosi
ancora, diventerà terra.
Il fuoco, con il suo perenne movimento, oltre ad
essere la sostanza
primordiale, principio di tutto ciò che esiste, ben
simboleggia, con il suo
perenne movimento, la vera forma dell’essere che è,
come abbiamo visto, il
divenire.
La dottrina dei contrari
Un altro interessante aspetto del pensiero eracliteo
è la dottrina dei contrari.
Filosoficamente parlando, nulla può esistere senza
il suo opposto/contrario
(Es. il bene e il male).
Tra un aspetto e il suo opposto c’è uno stretto
legame di interdipendenza e, il
flusso del divenire, trasforma l’uno nell’altro.
I contrari hanno una loro unità e, se il fuoco è la
sostanza fisica che
costituisce le cose, la legge universale che governa
il Mondo è appunto la
“legge delle interdipendenze e della inscindibilità
degli opposti”, legge che
Eraclito chiama Lògos (=Ragione).
Il flusso continuo del divenire procede con una
eterna lotta degli opposti, lotta
che trasforma continuamente un elemento nel suo
opposto.
La vita stessa è lotta e opposizione: senza questa
lotta non esisterebbe
nulla.
In un noto frammento Eraclito sostiene che:
“Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte è
il Re”.
Questo conflitto (pòlemos), questa guerra, è
ovunque, dentro e fuori di noi,
generando una sorta di equilibrio, di armonia
superiore che il filosofo solo
riesce a cogliere.
La scoperta dell’unità degli opposti – che è la
legge stessa della vita- porta
Eraclito a ritenere che l’armonia del Mondo non
risieda nella conciliazione dei
contrari, bensì nel mantenimento del conflitto.
La vita è lotta ed opposizione e, la sua armonia,
risiede proprio in questo
fatto, senza di cui non ci sarebbe l’essere.
Ad Omero che aveva detto: “possa la discordia
sparire tra gli dei e gli uomini”,
Eraclito risponde che il poeta non si accorge, così
facendo, di pregare per la
distruzione dell’Universo, poiché se la sua preghiera
fosse esaudita, tutte le
cose perirebbero.
L’universo come Dio-Tutto
Il pensiero eracliteo sfocia in una concezione
panteistica del Mondo.
Dio è l’unità di tutti i contrari, mutamento
continuo e fuoco generatore.
In un celebre frammento che è un po’ la sintesi del
suo pensiero, Eraclito
sentenzia che:
“La divinità è giorno-notte, inverno-estate,
guerra-pace, sazietà-fame. Essa
muta come il fuoco” (fr. 67).
Questo dio-tutto è sempre esistito e sempre
esisterà, alternando, con ordine
regolare, spegnimento e accensione.
Eraclito dunque ha una visione ciclica del mondo.
L’universo tornerebbe,
dopo un certo tempo al caos primitivo per poi,
successivamente, uscirne.
Prof. Amedeo Paolucci
http://www.amedeopaolucci.it/Filosofia/La%20scuola%20di%20Mileto/La%20Scuola%20di%20Mileto.htm
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Filosofia antica
Eraclito
Eraclito di Efeso completa,
recupera e va oltre i filosofi precedenti.
Egli é il grande della scuola ionica, e il suo ultimo pensatore. Per inciso: nessun filosofo supera un altro
in grandezza o giustezza, è la nostra impressione del pensiero di Eraclito, il
senso che questo pensiero ha per noi, che ci fa dire”fu il più grande”; ma in
filosofia ogni pensiero è “grande”, anzi, è l’atto del pensare la vera
grandezza della filosofia.. E’ un
pensatore di cui noi abbiamo un notevole numero di testi, circa 130 frammenti,
alcuni dei quali di 7 o 8 righe. Si
tratta perciò di un corpus abbastanza completo sul quale possiamo svolgere
congetture filologicamente ben fondate per conoscere più profondamente il suo
pensiero. E’ bene fare subito due
premesse. La prima è che seguendo
l'ordine cronologico dovremmo parlare prima di Pitagora e poi di Eraclito (540
– 480 a.C.), perché Pitagora viene prima (le testimonianze degli antichi
indicano di lui “’l’acme” della vita intorno al 530 a.C. quando Eraclito doveva
avere più o meno 10 anni). Egli vive un
poco prima o forse è coetaneo di Parmenide, che fa riferimento al suo pensiero,
mentre esplicitamente non c'è alcun riferimento da parte di Eraclito al
pensiero di Parmenide. Eraclito cita
invero Pitagora più volte nei suoi scritti.
Ma siamo costretti a parlare prima di Eraclito perché del pensiero di
Pitagora noi non conosciamo quasi nulla.
Perciò è bene trattare di Pitagora dopo Eraclito e dopo Parmenide, e
casomai noi possiamo fare riferimento a frammenti che riguardano la Suola
Ptagorica, che riprenderà alcuni temi dell'insegnamento di Pitagora, (e fino a
che punto non possiamo poi dirlo), ma che però si riferiscono a periodi
posteriori ad Eraclito.Non sappiamo con esattezza se i frammenti di Eraclito
pervenuti sino a noi (nelle citazioni inserite nelle opere di altri antichi
autori giunte sino a noi)i facessero parte di un libro scritto in forma
sistematica. E’ sicuro che Eraclito
scrisse un libro intitolato Sulla natura (Perì physeōs), ma in quale forma lo
abbia scritto, non ci è dato saperlo con sicurezza. Per diversi motivi, alcuni studiosi pensano
che Eraclito abbia scritto il suo libro sotto forma di aforismi o sentenze e
che Eraclito stesso non abbia dato forma sistematica al suo pensiero, anche se
il suo è un pensiero sistematico, che volutamente vuole essere ermetico. Perciò i frammenti che oggi possediamo
potrebbero anche essere una parte di quelle sentenze che costituivano il libro
originario. Eraclito vive anch'egli
nelle colonie dell'Asia Minore, ad Efeso, appartiene ad una famiglia delle più
importanti. Secondo le testimonianze
dell’epoca, la sua famiglia avrebbe regnato su Efeso,ed Deraclito avrebbe
assunto funzioni sacerdotali nel tempio di Artemide. La tradizione ce lo descrive come un temperamento
orgoglioso, solitario, sprezzante.
Soprattutto gli antichi riconoscevano il carattere ermetico del testo di
Eraclito e lo soprannominavano l'"oscuro" (Skoteinòs). Pare che Eraclito volutamente si esprimesse
in modo oscuro, perché non si pensasse nemmeno di interpretare il suo pensiero,
che evidentemente nella mente del filosofo era compiuto in ogni suo
aspetto. Scrive perciò in uno stile
oratorale, dà delle sentenze, dà dei responsi, volutamente senza diffondersi. Alcune testimonianze raccontano che egli
avesse posto il suo manoscritto nel tempio di Artemide, proprio per indicare
che la sua opera era somma, ispirata dalla Dea.
Era un aristocratico, convinto di essere il migliore del suo tempo.
Cercheremo innanzitutto di
esaminare quale sia il metodo del filosofare di Eracito, così come lo si può
ricavare dai suoi frammenti. La grande
novità di questa filosofia è che essa contiene dei riferimenti sicuri di
carattere riflessivo, ossia l’indagine filosofica sull'attività del pensiero
stesso. Abbiamo la consapevolezza sul
metodo della riflessione, della sua diversità dal pensare del mito e
dall’opinione. Per capire come Eraclito
arriva a questa conclusione, partiremo dalla indagine eraclitea sul mondo, i
dati sensibili. Sembra che egli (ma
anche se questo è contestato da molti studiosi), dia molta importanza ai dati
della esperienza. Scrive infatti nel
frammento 55 "Preferisco quelle cose di cui c'è vista, udito ed
esperienza": ritiene perciò che ogni conoscenza debba partire dai dati
sensoriali. Clemente Alessandrino ci
riporta un altro frammento, il 35, nel quale scrive: "E' necessario
infatti, secondo Eraclito, che coloro che amano la sapienza [etimologia di
filosofi] siano certamente esperti di molte cose". A supporto
dell'indagine filosofica, occorrono dunque molti dati, la cosiddetta
historya. Tutto questo sembra essere in
contrasto con una critica che Eraclito muove a Pitagora ed a altri saggi
dell'antichità, di essere soltanto stati dei "puri conoscitori di molte
cose". e di non aver posseduto la vera sapienza. Alcuni interpreti hanno perciò dedotto che
Eraclito è in contraddizione con se stesso: da una parte dice che bisogna
conoscere molte cose e dall’altra critica chi dimostra conoscenza. La sapienza di Pitagora era molto stimata
presso gli antichi, anche per il fatto che egli dichiarava di ricordare le vite
precedenti che aveva vissuto. In un
mondo ancora imbevuto di mentalità mitica, questa conoscenza era infatti già un
qualcosa di nuovo. Eraclito però, da una
parte critica questo sapere e dall'altra lo valorizza. La spiegazione di questa contraddizione
potrebbe però essere che egli si sarebbe espresso in forma ironica quando
scrisse che il filosofo deve conoscere molte cose, ed alcuni studiosi hanno
avanzato questa ipotesi. Il termine
"filosofo" pare sia stato introdotto da Pitagora, per cui la critica
di Eraclito conmterrebbe un’allusione ironica al sapere di questo tipo di
“filosofi”, che suonerebbe così: "quell'amico della sapienza che è
Pitagora, ci dà a bere che la sapienza consista nel conoscere molte cose".
Ma non è così. Secondo altri, il
riferimento di Eraclito, che il filosofo debba conoscere molte cose, è da
intendere senza ironia e senza ipotizzare nessuna contraddizione: egli infatti
avrebbe scritto semplicemente che la filosofia non deve ridursi alla
conoscenza, ma andare oltre la semplice historya. Per questo critica Pitagora: perché riduceva
la filosofia all’historya, ma questa critica non nega che la filosofia debba
fondarsi su un largo apporto dei dati dell'esperienza. Possiamo perciò sostenere che in Eraclito la
riflessione iniziale sui modi della conoscenza, il metodo insomma della ricerca
filosofica, è ben fondato, così come l'intuizione dell'importanza dei dati
dell'esperienza, dai quali partire per sviluppare successivamente una
conoscenza più approfondita della realtà.
Però egli sostiene ancora, che il filosofo deve saper trascendere i dati
dell'esperienza, per conseguire la sapienza.
Qui abbiamo un pensiero fondamentale di Eraclito, il frammento 114:
E' necessario che coloro
che parlano adoperando la mente si basino su ciò che è comune a tutti, come la
città sulla legge, ed in modo ancora più saldo.
Tutte le leggi umane infatti traggono alimento dall'unica legge divina:
giacché essa domina tanto quanto vuole e basta per tutte le cose e ne avanza
per di più.
Qui
abbiamo la prima chiara dimostrazione che Eraclito ha la consapevolezza
dell’attività del suo pensiero, una consapevolezza riflessiva, il Nous,
l'intelletto che parla, la ricerca dell’unità nella visione delle cose: quello
che a tutti è comune. Si rende conto che
il Nous è la capacità di indagare e cercare l'unità nella molteplicità, quella
conoscenza che si manifesta proprio nel cogliere la caratteristica dell'unità
del mondo. E l'unità del reale può
essere messa in luce proprio perché l'uomo ha il Nous, non perché raccoglie
dati sensibili. E secondo Eraclito deve
esserci una corrispondenza fra il Nous, che è nell'uomo, e il principio
unitario della realtà, ossia “l’unica legge divina ... che domina tanto quanto
vuole, e basta per tutte le cose”. Non
sappiamo però con certezza se questo frammento di Eraclito abbia valore di
affermazione (cioé, se egli intendesse dire che, di conseguenza, la sapienza
delle leggi sta nell’uniformarsi alla legge divina) o soltanto di paragone.
Con
la filosofia di Eraclito abbiamo anche la tematizzazione del divenire, prima di
lui presente soltanto in filigrana nel pensiero degli jonici, e mai
esplicitato. Eraclito non si limita a
constatare la molteplicità e il divenire delle cose, ma cerca anche di
spiegarli. Cioè, non si limita
all'enunciato, ma cerca di capire il perché, quali sono le leggi sottese, in
che modo agisca il divenire e come sia possibile che il mondo diveniente possa
conciliarsi con la realtà dell’essere.
Ricorderemo, per inciso, che l’importanza del tema "unità
dell’essere vs/ divenire", caro ai filosofi fisici (e a tutta la
filosofia), non era di poco conto, perché dalla “scoperta” delle leggi del
divenire e dell’Essere dipendeva la scoperta della sapienza, in ogni campo
della vita politica, sociale e culturale – e, di conseguenza, la risoluzione di
tutti le angosce esistenziali dell’uomo greco del sesto (ormai quinto) secolo,
che in buona parte sono ancora le nostre angosce. Sarebbe stato insomma, l’argomento degli
argomenti (l’arché, appunto, il fondamento), su cui basare un modello di
conoscenza e un riferimento indiscutibile per un comportamento privato e
collettivo armonicamente integrati con le leggi naturali.
L'approccio
di Eraclito al problema del divenire è di tipo razionale. Assieme a Parmenide è in effetti uno dei
pensatori che scinde la conoscenza razionale della realtà, dalla conoscenza
sensibile, e già i due frammenti 35 e 55 lo dichiarano esplicitamente. Una cosa è conoscere con la ragione, un'altra
cosa è servirsi dei sensi, che di fatto non portano a capire la realtà, ma solo
a percepirla. I sensi non ci dicono
nulla su questo divenire mentre l'intelletto (sinonimo, fino a Kant, di
ragione) ci permette l'indagine. Si
tratta quindi di capire se si tratta di un divenire caotico o di un divenire
che abbia una sua logica, che possa essere scoperta solo dalla
"ragione-intelletto".
Ovviamente per Eraclito si parte dal punto di vista che il divenire
abbia una sua legge (la legge del lògos).
Noi siamo abituati anche a considerare, dalla filosofia stoica in poi,
il termine lògos nel significato di “ragione”.
In Eraclito però il termine lògos ha molti significati ma non significa
mai “ragione”. Significa parola, norma, regola,
legge, principio, ecc.
"Di
questo lògos che è sempre, gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di
averlo ascoltato, sia dopo di averlo ascoltato.
Benché infatti tutte le cose accadano secondo questo lògos, essi
assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali
quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e
dicendo com'è. Ma agli altri uomini
rimane celato ciò che fanno da svegli allo stesso modo che non sono coscienti
di ciò che fanno dormendo. (Fr.1)
Dunque
la scoperta dello stretto rapporto e della commistione fra l'atto del pensare e
la legge dell'accadere. Il mondo appare
ad Eraclito non più come un mondo oscuro e misterioso, oppure come un insieme
di forze che si contrappongono le une alle altre, come ad esempio in
Anassimandro, o in cui il pensiero dell'uomo non ha alcun potere o alcuna
capacità di comprensione come potrebbe essere il mondo del mito, ma il mondo si
manifesta come quella realtà dominata dalla legge che trova il suo
corrispettivo nella capacità dell'uomo di riconoscerla, con l'apertura della
vita umana alla Legge del cosmo. E anzi,
si potrebbe dire che è attraverso la ricerca del lògos, della Legge unitaria,
che Eraclito riesce a concepire e dare un'interpretazione del mondo come cosmo,
come un tutto dominato, preordinato. Il
termine Kòsmos in greco significa appunto un tutto ordinato in funzione del
lògos, in funzione della sua legge, non tanto il cosmo come realtà o come mondo
fisico, che vediamo e tocchiamo.
L'intelletto
inoltre arriva a qualcosa di più profondo, a chiedersi il perché di questa
regola e armonia. La risposta di
Eraclito è la seguente: nella loro essenza più profonda gli opposti sono la
medesima cosa. Questa è l'armonia
nascosta che l'intelletto scopre come ultima legge. Soltanto così si può capire come un opposto
nasca dall'altro. Al fondo di tutte le
cose sta l'unità profonda del tutto.
Dire "il caldo diventa freddo", non è concepire una cosa calda
e una cosa fredda (tra l'altro, in Eraclito manca l'idea del sostrato
aristotelico). Gli opposti passano l'uno
nell'altro senza mediazione. "Il
mare è l'acqua più pura e più impura: per i pesci essa è potabile e conserva la
loro vita, per gli uomini essa è imbevibile". Il che rende possibile la conclusione che gli
opposti sono la stessa cosa. "Una e
la stessa è la via all'in su e la via all'in giù". Egli quindi arriva a concludere che gli
opposti si succedono in maniera regolare, proprio perché sono la stessa cosa.
La
coincidenza degli opposti è quindi possibile in quanto gli opposti sono reali
in se stessi. La realtà è pertanto
l'unione degli opposti, ed e' necessario l'intervento dell'opposto perché la
realtà si costituisca [1]
Le
acque scorrono sempre nel fiume in cui
ci si bagna, ma il fiume è sempre lo stesso.
Questo divenire dunque si svolge all'interno di un ordine, di una legge
che dà unità a queste cose (il lògos).
Ed è in virtù di questa legge che il mondo è uno. E dunque, in Eraclito, l'affermazione
dell'unità del mondo, deriva proprio dalla constatazione della molteplicità del
mondo. Ecco, infine, il vero senso del
“pànta rèi”, così a sproposito evocato da molti: tutto scorre perché nulla
scorre, perché la realtà cambia rimanendo sempre se stessa.
Eraclito
dà così un fondamento filosofico all'unità del mondo (alla realtà dell’essere)
che i filosofi precedenti cercavano. Il
mondo è uno perché dall'ordine deriva una unificazione del tutto. L'unità è dinamica: richiede sempre la
molteplicità. L'unità viene recuperata attraverso
la molteplicità in quanto presupposto necessario. Proprio perché la realtà è
una nella sua molteplicità, qualsiasi punto di partenza sia, quello della
ricerca, porta sempre a trovare l'unità, l'armonia.
Anche
l’esperienza esistenziale soggiace alla legge dialettica: l'aspetto della
lotta, della guerra, del combattimento, che è signore di tutte le cose, perché
tutto nel mondo nasce dalla opposizione e da forze opposte.
Pòlemos
[la guerra - in greco è un vocabolo maschile] è padre di tutte le cose, di
tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa
schiavi e gli altri liberi. (Fr. 53)
Non
ci sarebbe la musica se non ci fosse il suonatore di flauto, non ci sarebbe la
generazione dei viventi se non ci fosse il maschio e la femmina. Tutta la realtà, seguendo gli esempi che
Eraclito fa, tratti dalla vita sociale e dalla natura, risulta come espressione
di contrapposizioni.
Se
noi partiamo da questa historya, che è il punto di partenza di Eraclito, quello
che noi definiremmo un ordinamento dialettico della realtà nei suoi grandi
ambiti (rapporto sociale, mondo fisico, mondo teologico, ecc.), dobbiamo però
riconoscere (ecco la dottrina del lògos che si va esplicitando) che c'è
un'armonia fra queste forze opposte.
Gli
opposti non si oppongono selvaggiamente gli uni agli altri, rispettano una
misura, rispettano un ordine che è dato dalla successione degli opposti. C'è una successione nella realtà degli
opposti, per cui un opposto non può prevalere sull'altro eternamente, ma deve
lasciare il passo all'altro.
Anassimandro diceva che c'è una giustizia nel divenire delle cose. Eraclito ritorna ancora con più intensità su
questo principio:
La
stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e
il vecchio: questi infatti mutando sono quello e quelli di nuovo mutando sono
questi. (Fr. 88)
C'è
una successione degli opposti, per cui ogni opposto deve cedere all'altro
secondo un certo ordine di successione.
Ognuno addirittura si tramuta nell'altro.
Elios
[il sole] infatti non oltrepasserà le sue misure; ché altrimenti, Le Erinni, al
servizio di Dike [la notte], lo troverebbero (Fr.94)
Ognuno
di questi elementi opposti tende a passare nell'altro, tende a unirsi
all'altro, a richiamare l'altro. Ecco
allora che il costituirsi del mondo da una parte è mancanza, opposizione, ma
d'altra parte, nella successione degli opposti c'è la pienezza dell'òntos,
l'attrazione costruttiva. La
contrapposizione tende quindi a risolvere la sua carenza nella costituzione
dell'unità. Proprio per questo succedersi
dinamico, le cose sono una cosa sola.
C'è un'unità ancora più profonda nella successione degli opposti: il
mondo è composto da cose opposte che si risolvono nell'unità. Eraclito ha un frammento famoso in cui
esprime questa unità delle cose opposte:
Non
comprendono [gli altri] come [il cosmo] pur discordando in se stesso, è
concorde: armonia contrastante, come quella dell'arco e della lira (51).
Non
lo comprendono perché non riescono a capire come l'armonia nasca per un gioco
di opposizioni, e fa l'esempio famoso dell'arco e della lira. Come l'arco funziona, con la tensione
opposta di corda e legno, così funziona il cosmo. Ecco dunque che l'unità dell'arco, la sua
realtà e il suo funzionamento, sono possibili per la contrapposizione degli
opposti. L'opposizione è ricondotta
all'unità della funzione. Stesso
discorso vale per la lira. Il mondo
dunque come unità nella molteplicità e molteplicità nell'unità. E qui abbiamo
allora una concezione diversa del rapporto uno / molti rispetto a quello di
Anassimandro. All'unità si arriva non
col riassorbimento di tutte le cose nell'infinito, ma l'unità si realizza
proprio nella contrapposizione degli opposti.
Allora, continuando il nostro discorso, il Nous, l'intelligenza, si
costituisce nella capacità proprio di cogliere ciò che unifica, la molteplicità
del mondo, dell'esperienza e del cosmo, e ciò che unifica la molteplicità è
appunto questa legge universale che si esprime nel lògos concepito come unità
che si apre alla molteplicità, che ha bisogno della molteplicità per
manifestarsi, ma molteplicità che ha la sua realtà solo nell'intelligenza.
Abbiamo
ancora da dire una cosa sul pensiero di Eraclito, cioè la concezione eraclitea
di Dio. Se noi volessimo giudicare
secondo le nostre categorie il pensiero di Eraclito, potremmo forse dire che
egli ha una visione immanentistica e panteistica della realtà. Ma erreremmo profondamente, perché non
avremmo presente tutto lo svolgimento del suo pensiero. Egli infatti ha una molteplicità di frammenti
che riguarda quello che egli chiama Zeòs, Dio.
C'è un frammento, dal quale noi partiamo, il nr. 67 che dice:
Il
Dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come [il
fuoco] quando si mescola ai profumi e prende nome dall'aroma di ognuno di essi
(Fr. 67)
Sembra
che Eraclito identifichi Dio nell'unità. Il mutamento di Dio indica invece
qualcosa di diverso. Se noi esaminiamo
bene questo testo e riflettiamo, vediamo che qui Dio non è tanto l'unità degli
opposti perché il fuoco rimane sempre fuoco.
C'è anche una certa contrapposizione fra il fuoco e il profumo che è
messo sul fuoco. Anche in questo testo,
che sembra confermare Dio come unità degli opposti, si vede che egli cerca di
affermare qualche cosa che trascende gli opposti stessi, come il fuoco si
distingue dagli aromi.
Ma
questa potrebbe essere però una nostra interpretazione, influenzata dal
pensiero cristiano. Abbiamo però a
conferma di questa interpretazione, altri frammenti indubbi, ad es. il
frammento 108:
Di
tutti coloro di cui ho ascoltato i discorsi (lògoi), nessuno è arrivato al
punto da riconoscere che ciò che è saggio (il sapiente) è separato da tutti (da
tutte le cose). (Fr. 108).
Alcuni
interpreti traducono con l'espressione "la sapienza", piuttosto che
con "ciò che è saggio" o con "il sapiente". Direi che a conforto della nostra
interpretazione, del "sapiente", ci sono altri frammenti in cui il
principio è più chiaro e si conferma il senso qui individuato.
L'unico,
il solo saggio, vuole e non vuole essere chiamato col nome di Zeus. (32)
Allora
abbiamo la conferma che quel sapiente che è separato da tutte le cose è
quell'uno che solo è sapiente, che vuole e non vuole essere chiamato col nome
di Zeus.
Qui
Eraclito cerca di esprimere cosa è Dio, attraverso un ragionamento
analogico. Non dobbiamo noi, per
comprendere la realtà di Dio, basarci sulla somiglianza con la natura umana,
perché Dio è al di là di questa natura.
Però c'è un certo rapporto, una certa analogia, fra il rapporto bambino
uomo e uomo Dio.
C'è
poi il frammento 93 che dice:
Il
più saggio degli uomini appare come una scimmia di fronte alla divinità, per
sapienza, per bellezza e per ogni altro rispetto.
O
anche il frammento 82: “la più bella delle scimmie è turpe a paragone della
stirpe umana”, si inserisce in questo discorso.
C'è un tentativo di far capire che noi non possiamo capire Dio in sé
perché Dio, rispetto alle nostre capacità di comprensione, è immenso. E' come
se noi volessimo capire la realtà dell'uomo partendo dalla realtà di una
scimmia.
Se
c'è secondo Eraclito questo Essere, qual è la sua funzione nella realtà? Che rapporto c'è fra Dio e il Lògos? C'è un testo, il frammento 41, che risponde
al nostro quesito. Eraclito dice: l'uno,
il sapiente, conosce della mente la sapienza, governare il tutto mediante il
tutto. (nella versione del Giannantoni: "Un'unica cosa è la saggezza,
comprendere la ragione per la quale tutto è governato attraverso il
tutto").
Fonti:
G.
Giannantoni, a cura di, I presocratici, Laterza, Bari, 1986
G.
Reale, D. Antiseri, La filosofia nel suo sviluppo storico, La Scuola, Brescia,
1988
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