lunedì 13 maggio 2013

Tratto da "Ricordi, sogni, riflessioni" di Carl Gustav Jung



Prologo
La mia vita è la storia di un'autorealizzazione dell'inconscio. Tutto ciò che si trova nel profondo dell'inconscio tende a manifestarsi al di fuori, e la personalità, a sua volta, desidera evolversi oltre i suoi fattori inconsci, che la condizionano, e sperimentano se stessa come totalità. Non posso usare un linguaggio scientifico per delineare il procedere di questo sviluppo in me stesso, perché non posso sperimentare me stesso come un problema scientifico. Che cosa noi siamo per la nostra visione interiore, e cosa sia l'uomo sembra essere sub specie aeternitatis, può essere espresso solo con un mito. Il mito è più individuale, rappresenta la vita con più precisione della scienza. La scienza si serve di concetti troppo generali per poter soddisfare alla ricchezza soggettiva della vita singola. Ecco perché, a ottantatré anni, mi sono accinto a narrare il mio mito personale. Posso fare solo dichiarazioni immediate, soltanto "raccontare delle storie"; e il problema non è quello di stabilire se esse siano o no vere, perché l'unica domanda da porre è se ciò che racconto è la mia favola, la mia verità. Un'autobiografia è tanto difficile a scriversi per il fatto che non abbiamo misure oggettive, né fondamenti oggettivi per giudicare noi stessi. Non vi sono termini di confronto veramente adatti. So di non essere simile agli altri in molte cose, ma non so veramente a cosa somiglio. L'uomo non può paragonarsi con alcuna creatura: non è una scimmia, né una mucca, né un albero. Io sono un uomo. Ma cos'è essere uomo?
Come ogni altro essere anch'io sono un frammento dell'infinita divinità, ma non posso paragonarmi con nessun animale, con nessuna pianta, nessuna pietra. Forse che solo un essere mitico ha una posizione più elevata di quella dell'uomo. Dal momento che l'uomo non ha una base di sostegno per osservarsi, come può allora formarsi un'opinione definitiva di se stesso?
[…]
La storia di una vita comincia da un punto qualsiasi, da qualche particolare che per caso ci capita di ricordare; e quando essa era a quel punto, era già molto complessa. Noi non sappiamo dove tende la vita: perciò la sua storia non ha principio, e se ne può arguire la meta solo vagamente. La vita umana è un esperimento di esito incerto.
[…]La vita mi ha sempre fatto pensare a una pianta che vive del suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma. Ciò che appare alla superficie della terra dura solo un'estate e poi appassisce, apparizione effimera.
Quando riflettiamo sull'incessante sorgere e decadere della vita e della civiltà, non possiamo sottrarci a un'impressione di assoluta nullità: ma io non ho mai perduto il senso che qualcosa vive e dura oltre questo eterno fluire. Quello che noi vediamo è il fiore, che passa: ma il rizoma perdura. In fondo, le sole vicende della mia vita che mi sembrano degne di essere riferite sono quelle nelle quali il mondo imperituro ha fatto irruzione in questo mondo  transeunte. Ecco perché parlo principalmente di esperienze interiori, nelle quali comprendo i miei sogni e le mie immaginazioni Questi costituiscono parimenti la materia prema della mia attività scientifica: sono stati per me il magma incandescente dal quale nasce, cristallizzandosi, la pietra che deve essere scolpita. Tutti gli altri ricordi di viaggi, di persone, di ambienti che ho frequentati sono impalliditi di fronte a queste vicende interiori….
ma i miei racconti con l'"altra" realtà, gli scontri con l'inconscio, si sono impressi in modo indelebile nella mia memoria. In questo campo vi è stata sempre esuberanza e ricchezza, e ogni altra cosa al confronto ha perduto importanza.  

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