Quasi fosse un interruttore che
non si può mai spegnere, nella depressione non sembra esistere pace per il
cervello; le persone depresse sembra non riescano mai a mandare il cervello in
“stand by” rimanendo in uno stato di continua tensione, “come fossero sempre
sul bordo del precipizio”
I ricercatori all’Università
Medica di Vienna hanno, per la prima volta, studiato l’influenza del sistema
serotoninergico sulla modalità di rete predefinita (DMN) nel cervello umano, e
hanno scoperto che, nelle persone affette da depressione, l’effetto inbitorio
del recettore 1A della serotonina è estremamente lieve.
Il gruppo di studiosi viennesi, coordinati da Siegfried Kasper, affermano che nei depressi non funziona bene il recettore cruciale per raggiungere uno stato di calma interiore – la sensazione di tranquillità che si prova quando non si deve far nulla. In quei momenti la mente vaga e spesso si parla dei cosiddetti sogni a occhi aperti.
In particolare, affermano, il
motivo per cui questo accade è lagato al fatto che nel cervello delle persone
depresse non si attiva adeguatamente questa modalità di default - che si
potrebbe paragonare a quella dei computer o elettrodomestici - in quanto è
disfunzionale il recettore 1A della serotonina - il ricettore del buon umore.
Questo recettore, che in condizioni normali ha un potente effetto inibitorio
che permette lo stato di “stand by” cerebrale, nel cervello dei depressi ha un
effetto notevolmente ridotto.
Ciò significa, secondo Siegfried
Kasper, capo del Dipartimento di Psichiatria e Psicoterapia dell’Università di
Vienna, che i pazienti affetti da depressione “non sono virtualmente mai capaci
di essere calmi mentalmente”.
Le regioni del cervello nella
modalità di rete predefinita (DMN o Default Mode Network), che è anche chiamato
il default state network, sono attive solo quando non si sta svolgendo una
particolare attività: in pratica quando la mente vaga, il cervello si riposa,
fino alla calma interiore. Il recettore 1A della serotonina riveste un ruolo
molto importante in questo processo. La calma interiore può essere raggiunta
solo quando adeguatamente stimolata. Nelle persone depresse questo meccanismo
sembra essere impedito determinando stati d’ansia e ruminazioni continue.
La conclusione, secondo gli
autori dello studio, è che non potendo mandare il cervello in “stand by” si
rimane in uno stato di perenne tensione.
Lo studio, condotto da Andreas
Hahn del Dipartimento di Psichiatria e Psicoterapia è stato appena pubblicato
sulla rinomata rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
Accanto al dottorando Andreas Hahn, assistito da Rupert Lanzenberger, ha visto
la collaborazione di numerosi scienziati dell’Università viennese, quali
Wolfgang Wadsak e Markus Mitterhauser afferenti al Dipartimento di Medicina
Nucleare e Christian Windischberger del Centre for Medical Physics and
Biomedical Technology (centro di eccellenza della MRI).
“La scoperta apre a nuove
opportunità per la ricerca e il trattamento di condizioni psichiatriche quali
depressione, schizophrenia e ansia a un livello molecolare”, ha affermato
Kasper. Ciò pone le basi per lo sviluppo di farmaci effettivi che aiutino a
sviluppare l’influenza del recettore 1A della serotonina sul processo di “stand
by” del cervello.
Già nel recente passato, in uno
studio pubblicato su Current Alzheimer Research, Lory Beason-Held, direttrice
del Laboratorio di Neuroscienze Comportamentali del National Institute of Aging
americano, aveva riportato cambiamenti nella maggior parte dei componenti della
DMN, in particolare nel cingolo mediale frontale/anteriore e nelle regioni
cingolato posteriore e precuneo. “Gli individui affetti da malattie legate
all’età come il decadimento cognitivo lieve (MCI) e la malattia di Alzheimer
(AD) dimostrano alterazioni aggiuntive relative in particolare al cingolo
posteriore/precuneo e alle regioni dell’ippocampo. Poiché queste regioni sono
aree di cui sono note sia le modificazioni patologiche che quelle
dell’invecchiamento normale, esaminando l’attività della DMN si potrà studiare
più approfonditamente la relazione tra patologia e la funzione di queste
regioni” concludeva l’autrice.
Nessun commento:
Posta un commento