Quei pazzi di Van Gogh e Salvador Dalì. La scienza spiega la follia dei geni
Un gigantesco studio del Karolinska Institutet di Stoccolma
ha coinvolto 1,2 milioni di pazienti. Il legame fra creatività e disturbi
mentali è stato svelato con nitidezza, specie in scrittori e pittori di ELENA
DUSI
"Non esiste genio senza una vena di follia". Se ne
era accorto Seneca. Per Aristotele "gli uomini eccezionali in filosofia,
politica, poesia o arte" hanno un eccesso di bile nera che li rende
malinconici. Un legame fra squilibrio mentale e talento era addirittura
inconcepibile secondo Lombroso. Salvador Dalì però non era d'accordo.
"L'unica differenza - diceva con gli occhi allucinati e i baffi
come due aghi verso il cielo - fra me e un matto è che io non sono
matto".
Il fascino del rapporto fra genio e follia nel frattempo ha
contagiato anche le neuroscienze. Per dare risposta a un quesito con più di
duemila anni sulle spalle, il Karolinska Institutet di Stoccolma ha messo in
piedi uno studio gigantesco, coinvolgendo quasi 1,2 milioni di pazienti
psichiatrici visitati o ricoverati in Svezia negli ultimi 40 anni insieme ai
loro parenti, arrivando ai cugini di secondo grado. Nello studio più esteso mai
condotto sull'argomento, il legame fra creatività e malattia mentale è apparso
in tutta la sua nitidezza. I più colpiti dal "mal di genio" sono gli
scrittori.
La loro mente, come Lord Byron, David Foster Wallace e
infiniti altri possono testimoniare, sembra un campo minato. Oltre ad avere il
50% di probabilità in più di suicidarsi, gli autori professionisti soffrono più
della media di schizofrenia, ansia, depressione, abusi di alcool e droghe. Le
altre categorie prese in considerazione dallo studio (scienziati, danzatori,
fotografi, artisti) non sono di per sé rappresentate negli
studi degli psichiatri più della media. Ma fanno parte di famiglie che soffrono
in maniera spiccata di schizofrenia e disturbo bipolare. Un dato in sintonia
con il fatto che per molte malattie psichiatriche è stata scoperta una base
genetica ed ereditaria.
Una volta accertato un legame fra arte, scienza e mestieri
creativi da un lato e malattia mentale dall'altro, resta ancora da capirne il
perché. Studi precedenti, al Karolinska come in altri istituti del mondo,
avevano già cercato di scrutare all'interno del rapporto fra creatività e
follia. Una delle teorie più gettonate è che il cervello di artisti e
scienziati non abbia un filtro efficiente con la realtà esterna. Tutti gli
stimoli provenienti dal mondo vengono riconosciuti come importanti, permettendo
all'individuo di stabilire connessioni originali e sorprendenti.
Creatività e capacità di pensare fuori dagli schemi vengono
però in alcuni casi pagate caro, perché l'incapacità di filtrare gli stimoli è
considerata una fra le possibili cause delle psicosi ed è stata osservata nelle
fasi iniziali della schizofrenia, in cui a volte si affacciano pensieri mistici
ed esperienze religiose. In termini di evoluzione, la malattia mentale può
essere considerata come un prezzo da pagare in cambio di una grande originalità
di pensiero. In realtà resta ancora un mistero se sia nato prima l'uovo o la
gallina. Se cioè sia la malattia mentale a scardinare il flusso ordinato dei
nostri pensieri donandogli originalità o siano piuttosto creatività e profondità
di pensiero a condurre il cervello sull'orlo dell'abisso della malattia
mentale.
In ogni caso Simon Kyaga, il giovane ricercatore del
Karolinska che ha condotto lo studio e sembra deciso a sbrogliare la matassa, è
convinto che "In psichiatria, e in medicina in generale, si è abituati a
considerare una patologia in termini di bianco o nero. Se imparassimo a
riconoscere che alcuni aspetti della malattia mentale possono essere benefici,
potremmo escogitare nuove tecniche per trattarla"
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