L'esperienza è la madre
della scienza
Henry George
Bohn (1796-1884)
Classe I Scuola Primaria
(Insegnamento: matematica)
[.....]
I livelli raggiunti
quasi dall’intera classe sono stati ottimali e tutto è avvenuto con naturalità.
Non dimentichiamo che le abilità matematiche sono innate e universali e
costituiscono un vero e proprio modulo cognitivo specifico anche se, pian
piano, il bambino acquisisce, grazie al suo percorso didattico, una competenza
numerica linguistico-simbolica e, oltre a comprendere la numerosità, ne
apprende l’ordine, la posizionalità delle cifre, che lo aiuta nella
comprensione, oltre che, a livello
metacognitivo, facendolo divenire in grado di comprendere con inferenze i
diversi compiti e riflettere sulle strategie più o meno funzionali.
Tra i
ricercatori ai quali ho fatto riferimento spiccano, appunto, le interessanti
ricerche di Gelman e Gallister; secondo le loro tesi, nello studio dello
sviluppo del concetto di numero, è necessario distinguere due tipi di processi:
il processo di astrazione ed il processo di ragionamento. Se nel primo processo
è importante la numerosità, anche approssimativa, senza sforzo consapevole,
quindi la conta spontanea, il secondo consiste nell’operare sulle numerosità,
cioè nella capacità di fare inferenze sulle relazioni (maggiore, minore e
uguale) e trasformazioni numeriche (addizione e sottrazione). Secondo
Butterworth tutti nasciamo con un cervello che contiene uno specifico modulo
numerico che classifica il mondo in termini di “numerosità” e poi i bambini
estendono la capacità del modulo in base alle risorse culturali, cioè essi
hanno in realtà le “aspettative numeriche”. Alla luce di tali premesse i
bambini di classe I C hanno saputo ben sfruttare il cosiddetto modulo
aritmetico, anche laddove l’età è stata inferiore (si ricorda Tommaso che ha
compiuto 6 anni nel mese di aprile);
pertanto, gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti a ottimi livelli dalla
classe, che si è divertita attraverso varie formule perché, secondo quanto
recitano i programmi ministeriali L'educazione matematica contribuisce alla
formazione del pensiero nei suoi vari aspetti: di intuizione, di immaginazione,
di progettazione, di ipotesi e deduzione, di controllo e quindi di verifica o
smentita.
Lo sviluppo del
concetto di numero naturale va, pertanto, stimolato, valorizzando le precedenti
esperienze degli alunni nel contare e nel riconoscere simboli numerici, fatte
in contesti di gioco e di vita familiare e sociale, nonché attraverso attività
didattiche che ho cercato di improntare in vari momenti dell’anno all’insegna
del gioco in classe.
Va tenuto presente, inoltre, che l'idea di numero naturale
è complessa e richiede, pertanto, un approccio che si avvale di diversi punti
di vista (ordinalità, cardinalità, misura, ecc.); la sua acquisizione avviene a
livelli sempre più elevati di interiorizzazione e di astrazione durante
l'intero corso di scuola elementare, e oltre. Il numero, cosi come rammenta la
prefazione del libro Lo sviluppo dell’intelligenza numerica di Daniela
Lucangeli, docente ordinario all’Università di Padova, che si occupa di ricerca
nell’ambito dell'apprendimento e dell'educazione, con particolare riferimento all'apprendimento
matematico, caratterizza la vita di ciascuno di noi e solo attraverso la sua
comprensione riusciamo quotidianamente a muoverci in questo meraviglioso e
complesso universo; al risveglio calcoliamo il tempo disponibile per fare
colazione e correre al lavoro per poi finire di contare tutti gli impegni della
giornata. Parlando di numeri non possiamo solo limitarci a considerare la
matematica come apprendimento formale, cosi come viene insegnata a scuola, ma
dobbiamo ampliare il nostro orizzonte fino a comprendere le nostre prime
esperienze numeriche. Per decenni l’ipotesi di Piaget ha illuminato il mondo
scientifico, portando numerosi elementi a conferma della dipendenza della
competenza numerica dalle strutture dell’intelligenza generale. L’idea di
numerosità non sembrava poter emergere prima dei 6/7 anni con il pensiero
operatorio. Ma l’ipotesi di Piaget è stata progressivamente superata a partire
dalle ricerche che dimostrano l’esistenza di processi di comprensione e
rappresentazione mentale della numerosità indipendenti da quelli verbali, sin
dalla nascita. Occorre, dunque, potenziare tempestivamente queste intuizioni
numeriche, fin dai primi anni di vita, sostenerli e stimolarli.
Piaget è stato uno dei
primi ad interrogarsi su come si costruisca il concetto di numero nel bambino,
che acquisisce il concetto di numerosità solo attraverso una graduale
elaborazione delle operazioni di classificazione e di seriazione e questo
sviluppo avviene per tappe successive, parallelamente al rafforzarsi delle
strutture logiche.
Secondo il teorico, i
bambini giungono alla piena consapevolezza che la quantità si conserva intorno
ai 7 anni.
Studi successivi hanno,
però, dimostrato la debolezza di tali teorie e le ricerche sperimentali
condotte a partire dagli anni 80 hanno portato ad ipotizzare che una
rappresentazione della numerosità nel bambino sia presente fin dalla nascita,
ma, prima dei 6 anni, sia sviata da indizi percettivi quali la grandezza e la
disposizione spaziale degli elementi dell’insieme.
Infatti, un bambino
appena nato non sa certamente determinare il numero di elementi di un insieme,
ma possiamo ritenere, in seguito ai risultati delle ultime ricerche sul campo,
che percepisce come differenti, insiemi con numerosità distinte: dati due
insiemi, ad esempio, di due e tre elementi, è in grado di notare la differenza.
Questo processo specializzato di percezione visiva è chiamato subitizing o
immediatizzazione e consente di determinare la numerosità di un insieme visivo
di oggetti in modo immediato, senza contare; il numero massimo di oggetti
percepibili in questo modo pare sia quattro circa. Esistono altre capacità
numeriche presenti sin dalla nascita - e proprie non soltanto della specie
umana – nel senso che i bambini distinguono i cambiamenti di numerosità
provocati dall’aggiunta o sottrazione di oggetti, ossia possiedono “aspettative
aritmetiche”.
Secondo Butterworth
(1999) il genoma umano contiene le istruzioni per costruire circuiti cerebrali
specializzati che chiama Modulo numerico.
Secondo questa tesi, le
capacità numeriche sono modulari, cioè costituiscono un modulo cognitivo
caratterizzato dalla specificità di dominio: estraggono solo un tipo di
informazioni dai sensi in modo rapido e automatico. Le abilità matematiche sono
geneticamente codificate e presenti fin dalla nascita, non è necessario
apprenderle. Ciò che le rende uniche è lo sviluppo e la trasmissione di
strumenti culturali che ampliano le facoltà del “Modulo Numerico”.
Perché allora alcune
persone sembrano essere completamente non “portate” per l’apprendimento
matematico?
Secondo ancora
Butterworth, come ci sono le persone che nascono cieche ai colori, ci sono anche
individui che nascono con una sorta di cecità per i numeri.
La vasta esperienza
compiuta ha, però, dimostrato che non è possibile giungere all'astrazione
matematica senza percorrere un lungo itinerario che collega l'osservazione
della realtà, l'attività di matematizzazione, la risoluzione dei problemi, la
conquista dei primi livelli di formalizzazione. In qualità di insegnante mi
sono sforzata di svilupparli in modo coordinato, approfittando di tutte le
occasioni sia per richiamare questioni di tipo matematico, sia per collegarli
con argomenti di altre discipline. Nella fase iniziale del mio lavoro in classe
ho ritenuto opportuno e utile applicare la metodologia della mediazione,
appresa attraverso l’approfondimento sul Metodo Feuerstein, al quale resto
particolarmente legata, in vista della sua diretta applicabilità nei vari
ambiti scolastici al fine, da mediatrice, di rendere il bambino in grado di
gestire anche il suo comportamento, invece di dipendere principalmente da un
controllo esterno. Attraverso l'esperienza di apprendimento mediato, il bambino
può imparare a gestire le sue risposte e le sue azioni, in modo che siano
adeguate agli stimoli. (v. R. Feuerstein, Y. Rand, R. Feuerstein. In
collaborazione con N. Laniado e G. Pietra, 2005. La disabilità non è un limite.
Se mi ami costringimi a cambiare. Firenze. Libri, Liberi).
La mediazione è
finalizzata ad insegnare al soggetto a controllare l'impulsività, affinché le
proprie reazioni non siano dominate esclusivamente dall'emotività. E' rilevante
che il bambino impari a posticipare le gratificazioni, a tollerare le
frustrazioni e sia in grado di sostenere la fatica che il conseguimento di un
obiettivo comporta. In qualità di mediatrice ho cercato di creare situazioni di
lavoro che progressivamente hanno messo gli allievi in condizioni di rimandare
la gratificazione, se necessario, al fine di raggiungere quanto prefissato. E'
bene introdurre limiti chiari e sensati, affinché il bambino, crescendo, impari a porsene autonomamente.
Il bambino va,
pertanto, guidato a riconoscere le proprie emozioni, a ragionare sulle reazioni
e sui comportamenti, a pensare prima di reagire (creando un intervallo tra
stimolo e risposta) e a conoscere i propri processi cognitivi; non a caso lo slogan un momento…sto pensando
è riconducibile all’ambito matematico, dove frenare l’impulsività ed attivare
giusti processi risolutivi è fondamentale. L'acquisizione di queste competenze
è indispensabile, perchè il bambino possa divenire un adulto equilibrato e
consapevole.
Per questa ragione, è
bene chiarire che quando si parla di Metodo Feuerstein si discute
principalmente di pedagogia della mediazione, dove per mediazione si intende la
possibilità di un adulto di organizzare, prevedere e analizzare le interazioni
necessarie all'educabilità cognitiva del soggetto che apprende; pertanto il
suddetto metodo è applicabile ad ogni ambito disciplinare.
L'essere umano può
apprendere in due modi: attraverso la diretta esposizione agli stimoli o grazie
all'intervento di un mediatore. Queste due tipologie di apprendimento possono coesistere e sono
entrambe utili. La diretta esposizione agli stimoli, solitamente rappresenta un
tipo di apprendimento causale e non pianificato ed è sicuramente il più
frequente. L'apprendimento mediato, invece, è intenzionale e si basa su di
un'interazione: necessita, infatti, di un adulto, un mediatore, che si
interponga tra il soggetto e l'ambiente esterno e faccia da filtro.
L'educatore che media
deve saper selezionare gli stimoli, proteggendolo da esperienze che potrebbero
nuocergli e impartendogli insegnamenti generalizzabili. Gli stimoli vanno poi
organizzati, perciò l'adulto deve aiutare il bambino a creare nella propria
mente i concetti di spazio e di tempo.
Ho, pertanto, cercato di applicare anche in classe questi
principi che nel tempo ho interiorizzato.
L'apprendimento mediato
consente al bambino di sviluppare i
prerequisiti e di acquisire gli strumenti necessari per renderlo capace di imparare ad imparare, influenzando le
capacità cognitive e inducendolo ad un maggior
livello di modificabilità.
Mi sembra opportuno
ricordare che la mediazione è un processo che può aver luogo in ogni momento
della giornata; non serve un linguaggio particolarmente ricco e non è
necessario nemmeno avere una gran cultura.
Tutti gli uomini per
loro stessa natura desiderano imparare.(Aristotele).
Secondo le Indicazioni
nazionali per i piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria (D.Lgs.
59/2004 Allegato B), il bambino va appunto accompagnato nel passaggio dal mondo
delle categorie empiriche al mondo delle categorie formali. A partire dalla
visione “ingenua” del mondo e della vita elaborata nella scuola dell’infanzia,
è necessario promuovere una nuova interpretazione della realtà alla luce delle
categorie critiche, semantiche e sintattiche, tenendo conto che gli alunni
accomodano sempre i nuovi apprendimenti a quelli già interiorizzati e
condivisi, e che il ricco patrimonio di pre competenze, di conoscenze e abilità
tacite e sommerse, già posseduto da ciascuno, influisca moltissimo sui nuovi
apprendimenti formali e comportamentali.
Uno degli obiettivi che
mi sono prefissata è quello del calcolo mentale e delle modalità attraverso cui
tale competenza evolva nel bambino. Inizialmente la strategia adottata è stata
quella del conteggio - cioè la strategia delle dita - che via via viene
abbandonata dal bambino a favore di strategie basate sul recupero mnemonico dei
risultati dei calcoli e delle procedure tipiche dell’operazione. Quindi, in
classe, una volta acquisito il nome dei numeri, il bambino ha imparato a
riconoscere i simboli arabici. Tuttavia, tale riconoscimento, in fase iniziale,
non sempre implica la corrispondente acquisizione del valore quantitativo ed a
lungo possono permanere errori di specularità e orientamento. La competenza numerica non è un “tutto” che si
coglie in un’unica volta, ma una gamma composita di abilità che si sviluppano
in tempi differenti: abilità innate (come la percezione della numerosità) e
acquisite (sequenza verbale), di natura operativa (porre in corrispondenza
biunivoca) e logica (conservazione del numero). In particolare, in classe,
superata questa fase di conoscenza grafica e di numerosità, ho avviato i
bambini alle prime nozioni di calcolo riferendomi al modello a contatore di
Pakman, (1972), secondo il quale il bambino inizia a contare dall’addendo
maggiore e aggiunge, un’unità alla volta, quello minore (es. 4+3= 4+1+1+1),
passando poi per la procedura di conta degli addendi sulle dita o con materiali
scolastici quali regoli, matite, libri presenti in classe, esempi numerici sul
numero dei bambini in classe, ecc.
Acquisite tali
competenze, si è iniziato ad utilizzare le prime tabelle mentali a doppia
entrata di Asccraft, in cui sono rappresentati i calcoli con operatori a una
cifra (fatti aritmetici semplici). In memoria si crea, cosi, una struttura a
rete, in cui le cifre da 0 a 9 (nodi genitori) sono poste orizzontalmente e
verticalmente lungo gli assi principali, mentre le possibili risposte
corrispondono ai nodi di intersezione. L’esercizio e la frequenza di
presentazione dell’operazione hanno prodotto la forza di attivazione con cui
ciascun nodo è interconnesso agli altri.
Ecco i primi lavori di
rete semplice:
Anche Campbell, sul
piano scientifico, riprende più volte il concetto di rete per l’attivazione
mentale che il processo origina e la conoscenza procedurale, di cui parla
Baroody (1983); in tal modo si sviluppa
e contribuisce ad aumentare l’efficacia del calcolo mentale. Durante questa
fase si passa da processi basati su lente procedure di conteggio all’utilizzo
di una serie di regole applicate in modo sempre più automatico. I bambini hanno
imparato velocemente sia la regola secondo cui lo zero non cambia il risultato
dell’addizione, sia quella in cui sommando 1 ad un numero si ottiene il numero
successivo nella sequenza dei numeri naturali. L’utilizzo di tali regole
consente di eliminare dalla tabella di Ashcraft tutte le entrate in cui uno
degli operatori sia zero o uno, risultando,
secondo Baroody, cognitivamente più economico.
Tabelle con difficoltà
progressiva:
Nel momento in cui ho
riscontrato processi cognitivi risultati “affaticati”, ho continuato a
stimolare sinergicamente i diversi processi cognitivi sottostanti con
particolare attenzione ai tre moduli di comprensione, produzione e calcolo.
Tenuto conto che il
compito deve essere difficile quel tanto che basta per sollecitare la curiosità
e migliorare la conoscenza, senza, tuttavia, diventare un ostacolo insuperabile
o destinato probabilmente all’insuccesso, ho graduato gli esercizi.
Tabella complessa
Sono state utilizzate
anche le altre modalità di calcolo:
Compito primario
dell’insegnante è, dunque, vedere
l’allievo come colui che deve
raggiungere competenza e non “semplice”
conoscenza.
E’ importante, pertanto, riferendomi a
Vygotskij, tener conto della zona di sviluppo prossimale. Quest’ultima è
costituita da quelle funzioni che non sono ancora mature nel soggetto, che si
trovano allo stato embrionale, ma che sono già presenti nel processo di
maturazione.
Ciò avviene nel momento
in cui, nel corso dell’istruzione scolastica, i concetti spontanei e i concetti
che il bambino usa tutti i giorni vengono ristrutturati in concetti scientifici
e astratti.
La mente, il cui
sviluppo consiste nel padroneggiare le strutture simboliche, diviene, quindi,
uno strumento di mediazione tra il mondo esterno e quello interno, in continua
comunicazione. Questo tipo di mediazione
permette al bambino di attribuire un significato all’esperienza e di
contribuire con la sua acquisizione al proprio sviluppo.
I concetti spontanei o
quotidiani, dunque, svolgono diverse funzioni: forniscono il contenuto che
viene utilizzato per spiegare e definire i concetti scientifici astratti,
collegano i concetti scientifici alle
reali esperienze del bambino e gettano le basi per la conoscenza. I concetti
scientifici, comunque, danno la struttura
necessaria affinché i concetti spontanei del bambino vengano definiti
logicamente, diventino consciamente accessibili e possano essere usati
deliberatamente.
In definitiva, secondo
Vygotskij, è la disciplina formale dei concetti scientifici che trasforma
progressivamente la struttura di quelli spontanei e ne favorisce
l’organizzazione in un sistema.
Vygotskij afferma che i
concetti spontanei arrivano ad un livello di consapevolezza, di controllo e di
astrazione superiori, dando forma ad una zona di sviluppo prossimale,
attraverso la quale l’allievo non è ancora passato. I concetti spontanei degli
alunni sono situati all’interno di questa zona; essi emergono e vengono
riorganizzati attraverso l’istruzione.
Una buona istruzione,
quindi, deve essere rivolta alla zona di
sviluppo prossimale dell’alunno dato che essa precede e guida lo sviluppo:
Ciò che l’alunno riesce
a fare in cooperazione oggi, potrà farlo da solo domani. Pertanto, l’unica
buona forma di istruzione è quella che anticipa lo sviluppo e lo conduce; essa
è definita da Vygotskij come uno spazio intermedio tra il livello attuale di
sviluppo del bambino, determinato dalla sua capacità di risolvere da solo un
problema, e il suo livello di sviluppo potenziale determinato dalla capacità di
risolvere un problema con l’aiuto di un adulto o di un coetaneo più competente.
Il livello attuale di sviluppo, invece,
racchiude le funzioni che sono già maturate, indica ciò che il bambino domina
già da solo, il tipo e il livello di funzionamento cognitivo che è capace di
attivare in maniera autonoma per risolvere un problema.
Il bambino opera
all’interno della sua zona di sviluppo prossimale quando viene impegnato in
un’attività didattica che richiede un livello di capacità lievemente superiore
alle competenze da lui possedute perché possa eseguirla da solo, e la risposta deve essere data con il sostegno di
un adulto.
In questo l’insegnante
svolge l’importante ruolo di mediatore delle attività di apprendimento dei suoi
alunni, mentre essi condividono, attraverso l’interazione sociale, conoscenze e
significati. L’insegnamento si muove
proprio nella zona di sviluppo
prossimale.[....]
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