UN CONCETTO ASTRATTO O UNA METODOLOGIA DI LAVORO?
Come si formano i
fattori protettivi a seguito di un evento traumatico?
Quali le implicazioni in ambito psicologico e in quello giuridico-forense? Alcune
considerazioni sul concetto di Resilienza a cura della Dr.ssa Germana Prencipe
In questi ultimi anni,
la resilienza è stata oggetto di una serie di studi e di riflessioni della
comunità scientifica nazionale ed internazionale, che le hanno consentito di
affrancarsi dal novero astratto entro cui si collocava, per diventare prassi e
anche studio di metodologia di lavoro per tutte quelle professioni che vengono
a contatto con situazioni di crisi delle famiglie, o di minori che hanno
vissuti vere e proprie condizioni traumatiche: terremoti, violenza, guerra,
abbandono, maltrattamento, abuso sessuale.
Con il termine resilienza si intende la capacità
di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzare
positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, è quindi una
competenza chiave,
che è possibile sviluppare attraverso l’apprendimento di tecniche
professionali ed il potenziamento dei fattori personali per trasformare le
circostanze avverse in nuove sfide alla propria esistenza.
Secondo Boris Cyrulnik1, psichiatra e
psicanalista, docente all’Università di Tolone (Francia) la resilienza “è l’arte di
navigare sui torrenti. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una
direzione che non avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato dai gorghi del
torrente che lo portano verso una cascata, il soggetto resiliente deve
ricorrere alle risorse interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro
le rapide che lo sballottano incessantemente. A un certo punto, potrà trovare una
mano tesa che gli offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva,
un’istituzione sociale o culturale che gli permetteranno di salvarsi. La
metafora sull’arte di navigare i torrenti mette in evidenza come l’acquisizione
di risorse interne abbia offerto al soggetto resiliente fiducia e allegria.
Tale inclinazione, acquisita in tenera età, gli ha conferito un attaccamento
sicuro e comportamenti seduttivi che gli permettono di individuare ogni mano
tesa. Ma se osserviamo gli esseri umani nel loro “divenire”, constateremo che
chi è stato privato di tali acquisizioni precoci potrà metterle in atto
successivamente, pur con maggiore lentezza, a condizione che l’ambiente,
consapevole di come si costruisce un temperamento, disponga attorno al soggetto
ferito qualche tutore di resilienza”. Il termine resilienza è stato mutuato
dalla fisica per indicare “la capacità di riuscire, di vivere e svilupparsi
positivamente, in maniera socialmente accettabile, nonostante lo stress o un
evento traumatico che generalmente comportano il grave rischio di un esito
negativo.(...)
Certo,
al momento del trauma, si vede solo la ferita. Sarà possibile parlare di
resilienza soltanto molto tempo dopo, quando l’adulto, infine riparato,
riconoscerà il trauma infantile subito. Essere resilienti è più che
resistere, significa anche imparare a vivere. Purtroppo, costa caro”. Quando la
ferita è aperta, siamo orientati al rifiuto. Per tornare a vivere, non
dobbiamo pensare troppo alla ferita. “Con il distacco dato dal tempo, l’emozione
provocata dal trauma tende a spegnersi lentamente lasciando nei ricordi
soltanto la rappresentazione del trauma.”
http://www.psicologiaprencipe.it/allegati/RESILIENZA.pdf
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