Psicosomatica Analogica – La mente
trascritta nei sintomi
Quando
pensiamo noi lo facciamo nel corpo. La
conseguenza ovvia di questo assunto è che il corpo diventerà non solo il
vettore di un pensiero o di uno stato emozionale, ma il bersaglio stesso.
Naturalmente, ciò non significa che il corpo sia condizionato unicamente dalla
mente. Esistono altri fattori in grado di generare effetti visibili nel corpo
sotto forma di reazioni fisiologiche, trasformazioni somatiche, patologie e
sintomi. Pensate alla radioattività, all’alimentazione, allo sport, eccetera.
Comunque sia, possiamo riconoscere che i nostri pensieri
sono una potente fonte di energia capace non solo di produrre la qualità
della vita in termini di soddisfazioni, ma anche quella di generare salute o
malattia. Anche la medicina ufficiale ha accolto l’idea che i pensieri hanno
una ricaduta sullo stato di salute. La branca filosofica che si occupa di
questo viene chiamata psicosomatica. Esistono svariate discipline che
cercano di dare una lettura della mente attraverso i sintomi fisici, dalla
medicina di Hamer, alla psicologia psicodinamica fino alle concezioni più
remote delle speculazioni che nascono in ambito new age. Spesso queste teorie
si sconfessano vicendevolmente generando una certa difficoltà a determinare
quale sia l’interpretazione più affidabile. Non è questa la sede per individuare
chi vanta più crediti o demeriti. Per questo ci vorrebbe una discussione
più articolata. Al momento, posso solo suggerire prudenza nel credere troppo
rapidamente alle svariate correnti che pretendono fornire la formula
definitiva. Credo che sia utile avere una visione d’insieme più che
un’equazione assoluta entro cui associare rigidamente ogni sintomo fisico ad un
particolare fatto psicologico.
I nostri pensieri, stati d’animo ed emozioni sono in grado
di influenzare la funzionalità del corpo fino a generare veri e propri quadri
clinici. La scienza che studia i meccanismi di corrispondenza tra mente e corpo
non ha ancora compreso del tutto le leggi biologiche mediante le quali tutto
ciò avvenga. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che la scienza cerca le risposte
unicamente in ciò che si può analizzare e controllare, scartando quanto si
riferisce all’astrazione.
Ciononostante è possibile trovare delle spiegazioni
passando semplicemente attraverso il metodo analogico. L’analogia è la
relazione di affinità tra due fatti apparentemente scollegati tra loro. Sebbene
l’analogia non sia apprezzata in ambito scientifico, essa permette di cogliere
una serie di collegamenti che sfuggono alle lenti del metodo sperimentale. Si
pensi che la Medicina Tradizionale Cinese, oggigiorno adottata dalla medicina
ufficiale (vedi l’agopuntura) ha prodotto praticamente il suo intero arsenale
teorico a partire dall’analogia. Infatti, i punti dell’agopuntura sono
invisibili e appartengono a dei canali energetici chiamati “meridiani” altrettanto
immateriali i quali sono stati teorizzati a partire da una relazione analogica
con quanto esiste nel mondo conosciuto. Il paradosso vuole che la medicina
ufficiale utilizza dei punti che sono stati generati propriamente dal metodo
che essa respinge fermamente. Mistero.
"Siamo ciò che pensiamo. Tutto quello che siamo nasce dai nostri pensieri. con i nostri pensieri creiamo il mondo.
(Buddha)
Sul fronte dell’analogia tra malattia e pensieri possiamo
fare alcune congetture a carattere analogico. Per esempio, possiamo accettare
l’idea che i meccanismo biologici che avvengono nel cervello sono compatibili a
quelli che avvengono nel corpo. Ciò significa che mente e corpo usano un
linguaggio conciliabile. Se i miei pensieri vengono elaborati dal cervello il
quale ha il compito di trasferirli nel corpo, ne consegue che il linguaggio
adottato dai miei pensieri deve trovare un piano di riconoscimento nel corpo.
Da questa prospettiva dobbiamo supporre che le reazioni biochimiche e le
trasformazioni organiche seguano delle direttive parallele leggibili i due
sensi: mente-corpo e corpo-mente.
In altre parole, se ho pensieri inflessibili e
impostazioni irremovibili, questa rigidità mentale deve trovare nel corpo
un corrispondente fisiologico che richiami il concetto di
flessibilità/inflessibilità.
Quale sarà dunque il bersaglio fisiologico
dell’inflessibilità mentale? Ovviamente le strutture colpite saranno quelle che
meglio rispondono alla funzione della flessibilità: schiena (specialmente la
zona lombare), le ginocchia e anche le cervicali. In effetti tutte le
articolazioni servono al movimento, ma queste tre sono quelle più predisposte
al piegamento. Da questa prospettiva un mal di schiena può certamente essere
prodotto da uno sforzo esagerato, ma sul versante psicologico possiamo trovare
l’influenza di idee statiche come la severità, l’intransigenza e la fissazione
per le regole e le norme. Queste qualità avranno una ricaduta propriamente
sulla parte del corpo che ha la funzione di piegare e flettere. È chiaro però
che la funzione dl collo non è identica a quella della zona lombare o delle
ginocchia. Queste parti corporee assolvono a richieste differenti, sebbene
abbiano in comune una qualità di base. Per esempio con il collo mi guardo
attorno, con le ginocchia mi abbasso e mi sollevo, con la schiena mi piego in
avanti e roteo del busto. Evidentemente queste differenze funzionali saranno
utilizzate diversamente dalla mente.
D’altra parte se noi ponessimo l’attenzione sul risultato
sarebbe ancora più semplice capire questa intima relazione analogica.
Prendiamo il mal di schiena: esso m’impedisce di piegarmi o mi rende difficile
tale compito. Se il corpo avesse la parola cosa direbbe? Non direbbe forse che
stenta a piegarsi o che è tutto rigido? È vero, non lo sapremo mai visto che il
corpo non usa parole per esprimersi. Allora vediamo cosa esprime una persona
col mal di schiena. Dice: “Non riesco a piegarmi”.
Ovviamente questa frase è posta su di un livello
funzionale. Ed ecco che l’analogia ci aiuta a districare il problema.
Trasferite ora la stessa proposizione Non riesco a piegarmi su di un livello
mentale. La frase diventa pertanto una denuncia di ciò che avviene a livello
mentale!
Similmente, una persona che ha ma di gola direbbe: “Non riesco a
deglutire – Non mi va giù il boccone - Non riesco a parlare”. Ma non è
forse ciò che potrebbe accadere a livello mentale? Il boccone non potrebbe
riguardare problemi da inghiottire “bocconi mentali amari”? Il parlare, anziché
riguardare soltanto l’emissione del suono, non potrebbe riferirsi alle parole
conflittuali che non si dicono? D’altra parte, a guardare bene, l’organo che si
infiamma è la gola (faringe, laringe), ovvero il luogo di passaggio della voce,
struttura mediante la quale possiamo dare voce ai nostri pensieri e, in secondo
luogo, è la via di transito per lasciar passare ciò che proviene dall’esterno
(cibo o eventi sgraditi).Questo ragionamento si può replicare a qualsiasi parte
del corpo poiché tutte hanno funzioni specifiche e distinte, così coem ogni
sintomo racchiude in sé un limite e una richiesta che possono essere letti
attraverso il metodo analogico.
Questo ragionamento potrebbe risultare strano, eppure è
oramai diffusa l’idea che lo stress infiammi lo stomaco (gastrite). Ma cos’è lo
stress? Non è forse un rifiuto? Stress significa “pressione”, tensione”. È la
pressione che io esercito quando respingo mentalmente un evento del quale non
posso liberarmi. Una persona può stressarsi in mezzo al traffico non tollerando
(rifiutando) questa circostanza. Un altro può sperimentare lo stress sul
lavoro, altri a casa, altri ancora con il partner. Ogni volta è un’opposizione
ad una situazione percepita come pesante e molesta. Quindi la gastrite sarebbe
il prodotto di un rifiuto intenso perpetrato nel tempo. Guardate ora
l’analogia sul piano fisiologico: lo stomaco ha la funzione di accogliere
cibo, creare acidi mescolati ad enzimi digestivi per una prima elaborazione.
Accogliere – acidità – digestione.
Lo stress è l’aggressività (acidi) contro qualcosa
ritenuto indigesto (l’evento). quindi lo stomaco non accoglie più e le cose
“rimangono sullo stomaco”. Se guardiamo i sintomi troviamo una chiara
corrispondenza con questo stato di rifiuto mentale in cui tutto risulta pesante
e indigesto: digestione lenta, rigurgiti, acidità di stomaco, pesantezza
dopo i pasti, gonfiore di pancia.
Certo, non c’è alcuna prova scientifica che
questo sia il meccanismo definitivo, eppure l’analogia ci permette di fare un
passo in avanti nella comprensione.
Sia chiaro che i sintomi non sono l’unico
sistema per comprendere se il nostro percorso è stato frainteso. Anche la forma
del corpo dice molte cose, la deambulazione e l’espressività e, dulcis in
fundo, lo stato d’animo stesso.
Il corpo parla anche con i sintomi così che questi ultimi
sono vettori di informazioni che avvengono sul piano della coscienza. Ogni
sintomo è un richiamo all’alienazione dell’uomo da se stesso, dalla propria
natura, dal proprio sentiero. Il corpo urla (con i dolori) mentre il guidatore
è spesso ignaro di vivere in un corpo intelligente dotato di un linguaggio
simbolico che ha come fine il ripristino dell’equilibrio. Altre volte l’uomo se
ne rende conto, avverte che esiste una qualche relazione tra ciò che pensa e
ciò che sperimenta nel corpo, ma è troppo preso dai propri obiettivi per dare
la giusta attenzione. E così molti passano la loro esistenza a dare battaglia a
quei sintomi che sembrano togliere loro la libertà e la felicità. Eppure, i
sintomi hanno lo scopo di comunicare qualcosa, talvolta un’abitudine errata, oppure
un’alimentazione inadeguata, una cura errata (malattie iatrogene), e più spesso
dei pensieri inadeguati.
Il sintomo chiede una correzione ad un certo piano
dell’esistenza. Per questo il sintomo non va combattuto, non va annientato o
soppresso. Il sintomo va capito poiché non è il nemico. Esso è la lampadina
d’allarme che comunica che il vero nemico si nasconde nel malato stesso.
Occorre dunque una dilatazione dello stato di coscienza, una dilatazione che
viene chiama consapevolezza. Questo è il primo passo per ottenere dei risultati
sul piano della salute e della crescita personale. Ma se il percorso si ferma
sulla consapevolezza, allora il cambiamento sarà nullo.
" La conoscenza non ha valore se non la metti in pratica"
(Herbert J. Grant)
Articolo a cura di Florian Cortese
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