Sigmund Freud, nato nel 1856 a Freiberg, in Moravia, da una
famiglia ebrea di lingua tedesca, trascorse l’infanzia e la giovinezza a
Vienna, dove si formò in un’atmosfera di cultura positivistica e materialistica
e dove si laureò in medicina nel 1881. Nei primi anni dopo la laurea in
medicina, Freud si occupò degli effetti chimici degli anestetici e della
cocaina; da queste ricerche passò allo studio dei disturbi mentali.
Collaborando con il collega Josef Breuer, Freud giunse a capire che l’isteria
non è causata da un tessuto che si è necrotizzato, da una lesione del sistema
nervoso, da un fatto fisico, ma da tutt’altro. Freud e Breuer studiarono
pazienti affette da isteria che, indotte a cadere in un sonno ipnotico,
riuscivano a liberarsi del loro malessere, ad alleviare i loro sintomi e a dare
segni di guarigione. Essi iniziarono ad applicare il loro metodo, che
chiamarono catartico (dal greco catarsi=purificazione) riscontrando anche su
altri tipi di pazienti che il ricordare gli episodi traumatici che hanno
portato alla sofferenza libera dai sintomi stessi; piú precisamente, se il
paziente non semplicemente ricorda l’episodio traumatico, ma riprova «l’affetto
che lo aveva accompagnato», il sintomo scompare. Freud studiò le dinamiche
dell’ipnosi anche in Francia, presso la clinica parigina della Salpêtrière
insieme a Charcot. Tornato a Vienna, dovette difendersi dagli attacchi della
medicina ufficiale, ispirata a principi positivistici, convinta della natura
puramente organica, fisica, dei disturbi mentali. Nel 1895 Freud e Breuer
pubblicarono un libro intitolato Studi sull’isteria, che raccoglieva i
risultati delle loro esperienze terapeutiche.
Successivamente Freud si rende conto che l’ipnosi non è un
metodo affidabile per diversi motivi: prima di tutto perché non tutti i
pazienti possono venir ipnotizzati, in quanto l’ipnosi implica una sorta di
stato di inferiorità, di debolezza del paziente, inoltre perché si riscontrano
fenomeni di ricaduta, ma soprattutto Freud si convince del fatto che il
paziente ipnotizzato, proprio perché si trova in una condizione di soggezione
nei confronti dell’ipnotizzatore che gli comanda di ricordare, racconta traumi,
afferma di essersene liberato, ma lo fa soltanto perché pensa che il medico
abbia piacere di sentirsi dire questo. Freud ricorre all’espressione “ricordi
di copertura” per indicare ricordi che il paziente inventa, sia pur
inconsapevolmente. Per questo Freud sostituisce il metodo ipnotico con quello
delle libere associazioni. Egli si accorge che il paziente, anche senza essere
ipnotizzato, se posto in uno stato di rilassatezza, mediante libere
associazioni di parole e di ricordi fa emergere l’evento che lo opprime: il
paziente viene sollecitato a esprimere immediatamente e liberamente tutto ciò
che pensa; con le libere associazioni si mette in movimento una catena di
ricordi, di pensieri che penetra in profondità nella psiche ed arriva di anello
in anello alla causa del malessere. Freud si avvicina cosí alla scoperta
dell’inconscio.
Freud esplicita con chiarezza un’idea che era stata già
presente nel Romanticismo, in Schopenhauer e in una parte della cultura
dell’800. I romantici tedeschi avevano parlato del sogno come un luogo in cui
si manifestano verità diverse da quelle della vita reale, cosciente.
Schopenhauer parla della coscienza come della superficie di un lago, lasciando
intendere che sotto la superficie c’è qualcosa d’altro. Freud perfeziona queste
intuizioni e, grazie alle sue esperienze terapeutiche, perviene alla
formulazione della teoria dell’inconscio, delineata nel celebre libro
L’interpretazione dei sogni, apparso nel 1900, che si può considerare l’inizio
della psicoanalisi, di una nuova consapevolezza dell’uomo. Freud sostiene che
non solo nello stato di rilassatezza, ma a maggior ragione nel sogno, i
contenuti che urgono all’interno dell’individuo e che causano il suo malessere
riescono a manifestarsi, sia pure parzialmente. L’interpretazione dei sogni
mostra che la nostra vita cosciente è solo la punta di un iceberg. Come in un
iceberg la parte emergente è minima rispetto a quella sommersa, cosí nella
nostra vita psichica il conscio è un materiale minimo rispetto al materiale
inconscio che si trova nella profondità della nostra psiche. L’inconscio è un
intero mondo di forze che premono dal nostro interno e mantiene dentro di sé
contenuti respinti dalla coscienza in quanto per le sue convinzioni morali
l’individuo non li riconosce come congrui, come ammissibili. Questi contenuti
rimossi dalla coscienza vengono tenuti sotto controllo da una censura, che
impedisce loro di emergere, ma che in stato di rilassatezza, e soprattutto
durante il sonno, si indebolisce, consentendo ai contenuti inconsci di
manifestarsi parzialmente. La censura si indebolisce, ma non si annulla del
tutto: durante il sonno l’inconscio manifesta nei sogni, i suoi contenuti, ma
in maniera parziale, distorta, per cui è necessaria un’interpretzione dei
sogni. In questa grande opera Freud decodifica il linguaggio dell’inconscio
attraverso l’analisi dei sogni dei suoi pazienti (e dei propri) e riesce a
capire quali sono i meccanismi fondamentali attraverso cui la censura modifica
il contenuto inconscio, il contenuto latente del sogno e lo fa diventare
contenuto manifesto, cioè quello che noi ricordiamo. Imparando a decifrare il
contenuto manifesto del sogno si può risalire al contenuto latente (nascosto) e
quindi agli impulsi dell’inconscio.
I meccanismi fondamentali attraverso i quali impulsi,
desideri, emozioni del nostro inconscio vengono tradotti in immagini di sogno
sono:
- la condensazione, per la quale un’idea, un’immagine del
sogno può fondere insieme vari pensieri e ricordi; dice in proposito Freud: «Il
sogno è stretto, misero e laconico in paragone alla estensione e alla ricchezza
delle idee del sogno»;
-lo spostamento, processo per cui la carica emotiva
(attrazione erotica, aggressività, etc) è separata dal suo oggetto reale ed è
riferita a un oggetto differente;
-la drammatizzazione, che è la «trasposizione in immagini
visive»; la maggior parte dei sogni sono composti da immagini vivide, mentre il
pensiero concettuale è in essi spesso debole o assente; i pensieri e le
emozioni alla base del sogno si presentano in successione densa e movimentata,
come se il sognatore fosse allo stesso tempo spettatore e attore in un dramma
misterioso;
-la simbolizzazione, che consiste nell’utilizzo da parte
dell’inconscio di simboli sostitutivi delle cose. Riccorriamo in proposito alle
parole e a qualche esempio dello stesso Freud: «Il simbolismo è forse il
capitolo più strano della teoria dei sogni [...] i simboli realizzano in certo
qual modo l’idea dell’interpretazione onirica degli antichi e del popolo [...].
Per il genitale maschile il sogno conosce un gran numero di figurazioni che si
possono dire simboliche, nelle quali il lato comune a tutti i paragoni è per lo
più evidente: in primo luogo oggetti lunghi e sporgenti come per esempio
bastoni, ombrelli, stanghe, pali, alberi ed altro. Poi da oggetti che abbiano
con esso l’attitudine comune di poter penetrare nel corpo e di ferire, come per
esempio armi appuntite di ogni sorta, coltelli, pugnali, lance, spade, ma anche
armi da fuoco come schioppi, pistole e rivoltelle, che per la loro struttura si
adattano ottimamente a questo simbolo [...]. Il genitale femminile viene
rappresentato simbolicamente con tutti quegli oggetti che hanno in comune con
esso la qualità di rinchiudere uno spazio vuoto atto ad accogliere qualche
cosa. Dunque con pozzi, fosse o caverne, con recipienti e bottiglie, con
scatole, barattoli, bauli, astucci, casse, borse, ecc. Anche la nave appartiene
a questa serie [...]».
-l’elaborazione secondaria: nel contenuto manifesto (quello
che ricordiamo al risveglio) durante il sogno è già avvenuta un’elaborazione
degli impulsi inconsci da parte della censura, ma un’ulteriore trasformazione
avviene nell’elaborazione secondaria nel momento in cui ci si risveglia, cioè
quando la censura, rientrata in azione con tutte le sue forze, ostacola il
ricordo della trama del sogno e induce a dare un senso al ricordo del sogno.
Tutto il complesso “lavoro onirico”, cioè il lavoro della
censura durante il sonno, è volto a mascherare i reali contenuti
dell’inconscio. Il sogno si presenta dunque come l’espressione travestita e
deformata di un desiderio represso, non accettato dall’io cosciente. Dal punto
di vista psicologico, la funzione del sogno è quella di scaricare la tensione
generata da desideri repressi, desideri che spesso riguardano la vita sessuale.
«Quanto più ci si occupa dell’interpretazione dei sogni - scrive Freud - tanto
più si è disposti a riconoscere che la maggior parte dei sogni degli adulti
tratta di materiale sessuale ed esprime desideri erotici». Un’ulteriore
scoperta di Freud è che il sogno è sempre collegato a una dinamica affettiva, a
un fatto emotivo della primissima infanzia sprofondato nell’inconscio. Su
questa strada Freud tra l’altro ricostruisce la reale dimensione della vita
infantile, che nel 1905 teorizza nel libro Tre saggi sulla teoria della
sessualità. Quest’opera provoca uno scandalo generale, una rottura con Breuer e
con i suoi primi discepoli, tra cui Jung, in quanto Freud vi dimostra che la
vita del bambino non è quale è sempre stata dipinta, cioè ingenua e innocente,
ma è invece animata da fortissime tensioni sessuali.
Freud cosí difende la propria scoperta dell’inconscio: «Molti
ci contestano il diritto di presupporre l’esistenza di qualcosa di psichico che
è inconscio e di usare tale presupposto ai fini scientifici. A costoro possiamo
rispondere che la nostra presupposizione dell’inconscio è necessaria e
legittima, e che abbiamo numerose prove della sua esistenza. È necessaria
perché i dati dalla coscienza presentano moltissime lacune: tanto nelle persone
sane quanto in quelle malate avvengono spesso atti psichici che si possono
spiegare solo presupponendone altri di cui, tuttavia, la coscienza non dà
alcuna prova. Questi non comprendono solo gli atti mancati e i sogni delle
persone sane, e tutte le cose definite come sintomi psichici o ossessioni in
quelle malate: la nostra personalissima esperienza quotidiana ci informa di
idee che ci vengono in testa, non sappiamo da dove, e di conclusioni
intellettuali a cui siamo giunti, non sappiamo come. Tutti questi atti consci
restano slegati e inintelligibili se insistiamo ad affermare che ogni atto
psichico che si verifica in noi deve essere passato prima attraverso la
coscienza; d’altro canto, essi presentano evidenti legami se li interpoliamo
con gli atti inconsci che abbiamo dedotto [...]. Quando, poi, appare chiaro che
la presupposizione dell’esistenza dell’inconscio ci mette in grado di costruire
un valido procedimento attraverso cui possiamo esercitare un’effettiva
influenza sul corso dei processi consci, avremo una prova incontrovertibile di
quanto supposto. Stando cosí le cose, è insostenibile l’affermazione secondo
cui tutto ciò che avviene nella mente deve essere anche noto alla coscienza».
A partire dalla scoperta dell’inconscio Freud elabora una
teoria topica dell’apparato psichico. Egli sostiene che la psiche si divide in
tre luoghi (topos in greco significa luogo): il conscio (che comprende tutti i
contenuti psichici di cui siamo consapevoli), l’inconscio (i contenuti che sono
nel profondo e sfuggono alla consapevolezza) e il preconscio, dove si trovano
tutti quei contenuti che non abbiamo presenti, ma che possiamo facilmente
richiamare alla memoria (per esempio che cosa abbiamo mangiato a pranzo, oppure
che giorno della settimana è oggi). La vita per andare avanti ha bisogno di una
certa dose di dimenticanza, l’oblio è funzionale alla vita, come Nietzsche
sostiene in Sull’utilità e danno della storia per la vita. L’apparato psichico
ha tantissimi contenuti e un’unica energia, la libido, di caratterizzazione sessuale,
che muove la nostra esistenza. La libido è un’energia che spinge
all’autoconservazione, al piacere. Freud vede tutta la vita psichica svolgersi
sotto la costellazione della libido e del principio del piacere. Libido
significa in latino “desiderio”. Freud ne parla in questi termini: «Libido è
un’espressione proveniente dalla teoria dell’affettività. Noi chiamiamo cosí
l’energia [...] delle pulsioni che hanno a che fare con tutto ciò che è
compreso nella parola amore». La libido non può trovare realizzazione in
maniera immediata perché ciò provocherebbe una continua tendenza
all’autoaffermazione, impedendo la vita sociale. Pertanto essa viene in parte
deviata. C’è un tipo di deviazione positiva, che Freud chiama sublimazione, che
dà luogo alle creazioni artistiche. Per Freud le opere d’arte nascono da una
deviazione della libido: in alcuni individui di particolare struttura psichica
la libido non riesce a indirizzarsi verso la sua meta, devia e cerca mondi di
sogno in cui il piacere si realizza, ma a un livello sublimato. In molti altri
casi se la libido non riesce a trovare sfogo si presentano sintomi nevrotici in
quanto, perché l’energia soffocata nell’inconscio può mandare segnali che
disturbano la vita cosciente. La libido, anche nei casi piú felici, non si può
esprimere direttamente perché, spinta a cercare la sua realizzazione secondo il
principio del piacere, deve gradualmente sottomettersi a un altro principio, il
principio di realtà, per cui ogni individuo non può realizzare il
soddisfacimento dei propri bisogni immediatamente, ma deve abituarsi a
controllarli tenedo conto degli altri, delle esigenze della vita sociale, deve
imparare a rinviare la scarica della pulsione, la soddisfazione del desiderio.
Subito dopo la scoperta del nuovo continente dell’inconscio
Freud nel 1901 pubblica Psicopatologia della vita quotidiana. A differenza de
L’interpretazione dei sogni, che aveva avuto scarso successo editoriale,
quest’opera ha una grande diffusione e contribuisce alla popolarità di Freud
anche in America. La tesi che viene qui sostenuta è che tutta una serie di
fatti che ci capitano ogni giorno: lapsus linguae (scambio di un termine con un
altro), paraprassie (atti mancati o sbagliati), ecc. non sono casuali, ma
dipendono da un insieme di cause psichiche precise. Si profila cosí il
determinismo psichico: nel mondo psichico niente avviene a caso, ma tutto
avviene per necessità e ha una causa (come secondo Democrito o Spinoza, per i
quali tutto nella natura è necessità). In quest’opera Freud inoltre teorizza la
continuità fra normalità e malattia, fra fisiologia e patologia mentale: egli
sostiene che l’inconscio invia di continuo segnali che possono disturbare la
vita quotidiana senza ostacolarla in maniera grave, mentre gli stessi
meccanismi inconsci, se piú intensi, possono generare la malattia mentale, la
nevrosi. I medesimi meccanismi che operano nella nevrosi sono presenti nella
vita di tutti i giorni (per questo il libro si chiama Psicopatologia della vita
quotidiana). Freud analizza in questo volume i lapsus linguae, le paraprassie,
gli errori, gli atti mancati e dimostra che in questi eventi che capitano a
ognuno di noi tutti i giorni è all’opera uno stesso meccanismo di interferenza,
di disturbo dell’incoscio che, se opera invece in modo intenso, porta alla
nevrosi, alla difficoltà di rapporto con la realtà. L’esempio più banale è
quello dei lapsus linguae: quasi inevitabilmente, leggendo anche una sola
pagina, facciamo due, tre errori, scambiando una parola o una lettera con
un’altra. Quando leggiamo ad alta voce, molto spesso infiliamo una parola al
posto di un’altra. Abbiamo sotto gli occhi sul foglio una parola e invece ne
pronunciano un’altra. Il motivo è che c’è qualche cosa che ci ossessiona, c’è
un tabú, c’è qualche cosa che per noi non è accettabile, e per questo tendiamo
a non leggerle quella parola: entra in azione un meccanismo di disturbo
dell’inconscio che ci porta a non pronunciare quel termine, un meccanismo
simile a quello per cui, per esempio, c’è un’abitudine abbastanza diffusa a dire
“una brutta malattia” oppure, come si diceva fino a qualche tempo fa, “il male
del secolo” invece di “tumore”. Freud usa proprio questo tipo di esempi per
dire che vediamo con inquietudine un certo termine, una certa parola, che per
noi si riconnette a qualche significato morboso, oscuro, torbido, sgradevole:
noi non la enunciano e ne pronunciano un’altra. Oppure semplicemente urge in
noi un pensiero, un evento emotivamente carico, e allora l’inconscio ci manda
un segnale di disturbo e ci distrae. Oltre ai lapsus linguae, Freud analizza le
paraprassie, gli atti sbagliati; per esempio: prendo la metropolitana, dovrei
scendere alla tale fermata, invece non me ne accorgo, scendo alla fermata
successiva, e perdo per esempio un appuntamento. Il problema è che non volevo
andare a quell’appuntamento: l’inconscio per qualche motivo non mi ci voleva
far arrivare. Oppure, ho l’ombrello, lo lascio a casa di un amico, poi non lo
trovo piú e non mi riesco a ricordare dove lo abbia lasciato. Freud sostiene
che per esempio in quei casi posso provare una forte aggressività verso
quell’amico, che non sento piú come amico e, per non ricordarmene, non mi
ricordo neppure di avere lasciato l’ombrello presso di lui. Si tratta di fatti
della vita di tutti i giorni, ma in cui è operante un disturbo dell’inconscio.
I piú interessanti fra gli atti sbagliati sono quelli che ci procurano danni,
le paraprassie che ci danneggiano, come per esempio scivolare e farsi male: c’è
la classica buccia di banana per strada, dieci passanti la vedono, la scansano
e continuano a camminare tranquillamente, io non me ne accorgo, scivolo su
quella buccia di banana e mi faccio male. Qual è la spiegazione? Che
probabilmente ho un complesso di colpa, che é inconscio, di cui quindi non mi
rendo conto, ma mi voglio punire per qualcosa e mi punisco facendomi male.
Oppure perdo il portafogli pieno di soldi, perdita fastidiosa: volevo
incosciamente punirmi di qualche cosa e mi sono punito perdendo il portafogli.
I meccanismi sono vari, alcune perdite - lo ricordo solo per segnalare che la
psicanalisi non si presta a regolette facili - possono dipendere per esempio da
questo: ho una persona cara ammalata, temo che possa morire, l’incoscio allora
mi fa fare questo ragionamento di tipo superstizioso (la superstizione è
guidata dall’inconscio): meglio che perdo il portafogli piuttosto che perdere
la persona cara; offro al destino il portafogli, oppure l’anello, il gioiello,
la cosa cara, pur di non perdere invece la persona cara. Sono quindi molto
diversi tra loro i meccanismi che ci portano ad errori, a paraprassie, ad atti
sbagliati. Freud con questo tipo di ragionamento fonda - come abbiamo accennato
- un’altra grande categoria della psicanalisi: il determinismo psichico. I
fatti di cui abbiamo parlato, il leggere una parola al posto di un’altra, lo
scendere alla fermata sbagliata della metropolitana, il dimenticare l’ombrello
a casa di un amico, il perdere il portafogli, lo scivolare sulla buccia di
banana, di solito vengono attribuiti al caso. Si dice: “ho dimenticato”, “è
capitato per caso”. come se questa fosse una giustificazione. Per Freud invece
nella vita psichica il caso non esiste, al contrario tutto è necessario, c’è
sempre un motivo preciso per ogni evento, c’è sempre un rapporto di causa ed
effetto. Non ce ne accorgiamo in quanto la causa spesso è sprofondata
nell’inconscio, e l’inconscio, per definizione, non lo abbiamo presente, quindi
imputiamo certi nostri comportamenti al caso.
Nel 1920 Freud imprime una svolta decisiva alle sue teorie
sulla base nuove osservazioni: studiando le “nevrosi di guerra” di combattenti
del primo conflitto mondiale osserva che soldati che avevano subito traumi
nelle trincee tutte le notti sognavano qualcosa di doloroso, di penoso. Secondo
le concezioni elaborate ne L’interpretazione dei sogni questo non si dovrebbe
verificare in quanto il sogno è la realizzazione di un desiderio. Nello stesso
periodo Freud pone l’attenzione sul gioco di un bambino, un suo nipotino. Tutti
i bambini si divertono a gettare via un oggetto e a farselo riportare; la
psicoanalisi spiega questo gioco in maniera semplice: il bambino ha bisogno di
sentirsi rassicurato del fatto che la madre, se si assenta, ritorna, e trova
questa rassicurazione nel ripresentarsi dell’oggetto da cui si è separato; invece
questo bambino gettava via un oggetto a cui teneva senza recuperarlo, si
fermava a metà del gioco, pur essendo questa la metà dolorosa. Dallo studio di
questi casi Freud ricava una revisione delle sue teorie. Egli sdoppia l’energia
psichica fondamentale, la libido, e pone ora la vita psichica sotto l’egida di
due forze: la pulsione di vita (Eros) e la pulsione di morte (Tanatos). È vero
che l’uomo tende all’unione, alla procreazione, alla creazione (Eros), ma è
altresí vero che c’è in lui una forza antagonista di egual portata (Tanatos).
L’uomo non è dominato soltanto dalla ricerca del piacere, ma anche da tendenze
a regredire, a tornare indietro fino a quella situazione che era l’unione con
la madre, quindi all’indistinzione dal mondo, e fino allo stadio della vita
inorganica, cioè all’unione col tutto. In Al di là del principio del piacere
(1923) Freud teorizza la presenza nella psiche umana di una tendenza
all’autodistruzione, al dissolvimento di se stessi. Siamo negli anni in cui si
verifica la grande rinascita di Kierkegaard, nasce l’esistenzialismo, e si può
scorgere in queste teorie di Freud una qualche consonanza con la concezione
dell’esistenza come colpevole distacco dal tutto: nell’uomo c’è una fortissima
tendenza a espiare questa colpa e a voler ritornare a essere una sola cosa con
il tutto.
Rientrano nel campo delle pulsioni di morte una serie di
fenomeni che tendono non ad affermare l’individuo, bensí a farlo regredire, a
fargli perdere i confini della propria individualità, riportandolo verso la
indistinzione dal tutto, che portano al superamento dei propri confini fisici,
per esempio l’ubriachezza, la droga, oppure la tendenza a voler affrontare il
rischio, le situazioni estreme. C’è in qualche modo un aspetto dionisiaco
nell’uomo (il notturno, l’indistinto), una volontà di superare il principium
individuationis. La pulsione di morte è molto simile al dionisiaco di
Nietzsche. Nell’uomo c’è una forza che lo spinge verso l’indistinzione, l’oblio
di sé, il notturno, il perdere i propri confini, una tendenza che al limite
estremo vuol dire volontà di morire: nell’uomo c’è un impulso distruttivo e
autodistruttivo.
Freud vede questi due principi come ineliminabili, ma
soprattutto inscindibili. Questa teoria viene delineata nella risposta che egli
dà ad Albert Einstein, il quale nel 1932 gli pone una pensosa domanda sulla
possibilità che l’uomo metta fine alla guerra. Freud risponde in maniera
sfumata, sforzandosi di giungere a una conclusione possibilistica e
ottimistica, ma riaffermando che odio e amore, Eros e Tanatos, sono due forze
che non possono manifestarsi l’una senza l’altra. Leggiamo l’argomentazione
centrale che Freud offre alla riflessione di Einstein: «Presumiamo che le
pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare
e a unire — da noi chiamate sia erotiche (esattamente nel senso di Eros nel
Simposio di Platone) sia sessuali, — e quelle che tendono a distruggere e a
uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione
aggressiva o distruttiva. Ella vede che propriamente si tratta soltanto della
dilucidazione teorica della contrapposizione tra amore e odio, universalmente
nota, e che forse è originariamente connessa con la polarità di attrazione e
repulsione che interviene anche nel Suo campo di studi. Non ci chieda ora di
passare troppo rapidamente ai valori di bene e di male. Tutte e due le pulsioni
sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro
concorso e dal loro contrasto. Ora, sembra che quasi mai una pulsione di un
tipo possa agire isolatamente, essa è sempre legata — vincolata, come noi
diciamo — con un certo ammontare della controparte, che ne modifica la meta o,
tavolta, solo cosí ne permette il raggiungimento. Per esempio, la pulsione di
autoconservazione è certamente erotica, ma ciò non toglie che debba ricorrere
all’aggressività per compiere quanto si ripromette. Allo stesso modo la
pulsione amorosa, rivolta a oggetti, ha bisogno di un quid della pulsione di
appropriazione, se veramente vuole impadronirsi del suo oggetto. La difficoltà
di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito
per tanto tempo di riconoscerle [...]. Vorrei tuttavia intrattenermi ancora un
attimo sulla nostra pulsione distruttiva, meno nota di quanto richiederebbe la
sua importanza. Con un po’ di speculazione ci siamo convinti che essa opera in
ogni essere vivente e che la sua aspirazione è di portarlo alla rovina, di
ricondurre la vita allo stato della materia inanimata. Le si addice il nome di
pulsione di morte, mentre le pulsioni erotiche stanno a rappresentare gli
sforzi verso la vita. La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva
allorquando, con l’aiuto di certi organi, si rivolge all’esterno, verso gli
oggetti. L’essere vivente protegge, per cosí dire, la propria vita
distruggendone una estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia,
rimane attiva all’interno dell’essere vivente e noi abbiamo tentato di derivare
tutta una serie di fenomeni normali e patologici da questa interiorizzazione
della pulsione distruttiva. Siamo perfino giunti all’eresia di spiegare
l’origine della nostra coscienza morale con questo rivolgersi dell’aggressività
verso l’interno. Noti che non è affatto indifferente se questo processo è
spinto troppo oltre in modo diretto; in questo caso è certamente malsano.
Invece il volgersi di queste forze pulsionali alla distruzione nel mondo
esterno scarica l’essere vivente e non può non avere un effetto benefico. Ciò
serve come scusa biologica a tutti gli impulsi esecrabili e pericolosi contro i
quali noi combattiamo. Si deve ammettere che essi sono più vicini alla natura
di quanto lo sia la resistenza con cui li contrastiamo e di cui ancora dobbiamo
trovare una spiegazione». La speranza di arrivare a una società in cui l’aggressività
non si manifesti è una speranza vana. In quest’affermazione c’è un indiretta
critica a Marx: nel comunismo si prospetta una società egualitaria in cui, non
essendoci la proprietà privata, l’uomo non avrebbe più aggressività; invece per
la psicanalisi la proprietà privata può incrementare l’aggressività, ma non è
l’unico movente di questa forza nell’uomo. Per Freud, Marx si illude nel
prospettare una società comunista in cui l’abolizione della proprietà privata
porti l’estinzione dell’aggressività. Cosí si esprime Freud in proposito: «Con
l’abolizione della proprietà privata si toglie al desiderio umano di
aggressione uno dei suoi strumenti, certamente uno strumento forte, ma,
altrettanto certamente, non il piú forte».
Siamo arrivati quindi al punto in cui la libido si scinde in
principio di Eros e principio di Tanatos e dalla teoria topica dell’apparato
psichico si passa alla teoria strutturale cioè alla nota tripartizione
dell’apparato psichico in Es, Io e Super-io: l’Es (Es è in tedesco il pronome
neutro) rappresenta «la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità»,
l’insieme dei contenuti mentali, fortemente legati a Eros e Tanatos che l’uomo
non vuole riconoscere ; l’Io è la consapevolezza di se stesso da parte
dell’individuo, la sua concezione di se stesso e insieme è un’istanza di
mediazione fra le altre componenti psichiche e di guida del comportamento; il
Super-io comprende l’insieme delle proibizioni, dei divieti, dei tabú che
introiettiamo nella prima infanzia attraverso l’educazione che riceviamo;
qualche divulgatore della psicoanalisi lo ha definito un “poliziotto
interiore”. È utile considerare la definizione che Freud stesso dà delle forze
componenti l’apparato psichico. Dell’Es Freud afferma: «Suo contenuto è tutto
quanto è ereditato, acquisito con la nascita, fissato costituzionalmente, prima
di tutto dunque gli istinti derivanti dall’organizzazione del corpo, i quali
trovano qui una prima espressione psichica a noi sconosciuta nelle sue forme».
L’Io invece «rappresenta ciò che chiamiamo ragione e giudizio in
contrapposizione con l’Es che contiene le passioni». «Il Super-io è il
successore e rappresentante dei genitori (ed educatori) che avevano vegliato
sulle azioni dell’individuo durante il suo primo periodo di vita; quasi senza
modificarle, esso perpetua le loro funzioni». Da una parte abbiamo quindi le
spinte dell’Es dall’altra le proibizioni del Super-io, mentre l’Io deve mediare
tra queste due forze. Ma l’Io deve fare i conti anche con la realtà esterna,
che manda i suoi stimoli; l’Io è quindi una struttura in continuo riequilibrio
in quanto deve evitare che uno di questi tre fattori: Es, Super-io, stimolo
esterno, prenda il sopravvento, il che porterebbe alla nevrosi. Si può dire che
Freud riprenda con un linguaggio moderno e scientifico la visione della psiche
presente già in Platone e Aristotele, che la vedono tripartita. Platone
descrive l’anima come una biga alata in cui la ragione, l’auriga deve tenere
due cavalli, uno bianco (anima irascibile) e uno nero (anima concupiscibile)
sotto controllo. La funzione di mediazione dell’Io fra le varie istanze
dell’apparato psichico è vista da Freud in termini drammatici: «La richiesta
piú pesante per l’Io è probabilmente quella di tenere a bada le pretese
istintive dell’Es, al quale scopo esso deve mantenere grandi quantitativi di
contro-cariche. Ma anche la pretesa del Super-io può essere cosí forte e
inesorabile da far sí che l’Io rimanga come paralizzato di fronte agli altri
suoi compiti».
Giunto a questa visione dinamica dell’apparato psichico e
delle pulsioni fondamentali, Freud si lancia in una teorizzazione della civiltà
e della società che per gli psicanalisti che lo avevano seguito fino ad allora
costituí una forte sorpresa in quanto comportava un’estrapolazione filosofica e
sociologica delle sue teorie fuori dal contesto strettamente medico. L’indagine
antropologica era stata iniziata nel 1914 con Totem e tabú a partire dalla sua
scoperta del complesso di Edipo, cioè di quella fase dell’infanzia
caratterizzata dall’attaccamento per il genitore di sesso opposto e
dall’ostilità per il genitore dello stesso sesso. Freud sostiene che questo
tipo di ostilità si è manifestato anche agli inizi della storia della società.
Gli inizi della società sono inizi tribali, in cui prevale la figura del
padre-padrone. Il passaggio dalla tribú alla società avviene attraverso
l’assassinio del padre primitivo. La società nasce dunque con un’assassinio.
All’autorità esteriore del padre, che è stata eliminata fisicamente, si
sostituisce il totem, cioè una divinità venerata e sentita come una potenza
interiore. All’autorità esterna si sostituisce l’autorità interna, che è
qualcosa di molto piú minaccioso in quanto avvertito come innafferrabile,
sacrale. Questo avviene perché l’assassinio comporta un complesso di colpa. La
figura minacciosa del totem impone anche tabú, cioè proibizioni assolute, piú
categoriche di quelle date dal padre. L’autorità, la proibizione diventano cosí
qualcosa di fantastico, che può essere elaborato in senso morale o religioso, e
diventano forze interne che non si riescono a controllare. Queste forze sono
nate nel momento in cui c’è stato il passaggio dallo stato tribale allo stato
societario, che si porta dietro quel complesso di colpa implicante un disagio
per l’individuo. Freud sviluppa queste intuizioni in Il disagio della civilità
(1929) in cui sostiene che il vivere civile è incomparabilmente superiore alla
vita animale, la civiltà è un bene a cui non si può rinunciare, ma comporta un
disagio in quanto essa nasce sulla base di un complesso di colpa, sulla base di
proibizioni e divieti imposti all’individuo. Gli uomini hanno sempre sognato la
beatitudine di una situazione pre-civile (età dell’oro per il mondo greco, Eden
del mondo cristiano, il buon selvaggio di Rousseau) in quanto la civiltà viene
vista come qualcosa che toglie libertà all’individuo. Con il procedere della
civiltà tende dunque a crescere il disagio, matrice di nevrosi. L’uomo moderno
deve abituarsi a livelli sempre piú stretti di interdipendenza e interazione
con gli altri e quindi a dosi sempre maggiori di disagio. Una conclusione
pessimistica, dunque. Freud è morto nel 1939, venti giorni dopo l’inizio della
seconda guerra mondiale, in cui ci sono state esplosioni di follia collettiva,
di sadismo di massa, che sembrano devastanti espressioni di reazione
irrazionale al “disagio” da lui diagnosticato.
Il pensiero freudiano può essere interpretato come una «mappa
delle interferenze che deformano la coscienza» (come afferma il filosofo Remo
Bodei). La psicanalisi, cioè, è un tentativo di prendere in considerazione le
stratificazioni, le interferenze, le intermittenze, i piani di frattura del
pensiero logico. Il concetto di razionalità deve essere ampliato, fino a
comprendere anche ciò che apparentemente è refrattario alla logica e alla
coscienza: le credenze, le superstizioni, ma anche i sogni, i contenuti
fantastici dell’arte, i quali non presentano verosimiglianza, devono essere
sottoposti ad analisi per scoprirvi i nuclei di verità che contengono. La
razionalità cui siamo abituati è quella cartesiana, fondata sul principio di
evidenza e sulla “chiarezza” e “distinzione” delle idee, che viene articolata
mediante il ragionamento e la rigorosa deduzione. Emblema della razionalità
occidentale è l’atteggiamento illuministico: la ragione è equiparata alla luce,
che si diffonde sulle tenebre dell’ignoranza e della superstizione e le
dissipa. Per Freud invece anche all’interno delle tenebre si celano nuclei di
verità, anche se di una verità deformata, che si può manifestare nella fantasia
o nella patologia, e che va decodificata, trasponendola dal linguaggio
dell’inconscio in quello della coscienza. Per Freud la verità non è qualcosa
che si presenta con evidenza, bensí qualcosa che «nasce da forze in lotta e da
forme di compromesso: non vi è una evidenza puntuale della verità, bensí questa
viene sagomata in un processo non lineare, si profila al termine di un tragitto
tortuoso», come afferma ancora Remo Bodei.
Il delirio, le nevrosi ossessive e altri fenomeni psichici
analizzati da Freud presentano un persistere del paziente nelle sue fantasie,
che non vengono scalzate dall’ostentazione di una verità percettibile. La
logica dell’evidenza si trova in questi casi in contrato con qualcosa di altro,
con “interessi” che si annidano nel soggetto fino a fargli negare ostinatamente
l’evidenza. I sogni, le fantasie, le nevrosi, le esperienze di turbamenti nella
percezione della realtà considerati da Freud portano a concludere che al di
sotto della sfera del “logico” si annidano in noi “gruppi di interessi”,
“nuclei di verità”, incapsulati al di sotto della coscienza, come i resti di
Pompei sono sommersi da strati di cenere. Portarli alla luce, renderli
coscienti è in fondo il compito che Freud e la psicanalisi si propongono,
decodificando, “traducendo” il linguaggio in cui questi contenuti sono
espressi, il linguaggio dell’inconscio, e allargando cosí il campo della nostra
razionalità. Si può concordare con quanto scrive in La missione di Sigmund
Freud un grande psicoanalista, Erich Fromm: «Nella sua fede nel potere della
ragione, Freud era un figlio dell’età dell’Illuminismo, il cui motto “Sapere
aude”, “osa sapere”, è impresso in tutta la personalità di Freud e in tutta la
sua opera».
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