I PRIMI PASSI DEL PERCORSO
VERSO LA COMUNICAZIONE
Cesarina Xaiz, Psicomotricista e terapista della famiglia,
Laboratorio Psicoeducativo, La Valle Agordina (BL), Italia
Enrico Micheli, Psicologo , Servizio Età Evolutiva Distretto
di Agordo (BL), Italia
Tratto dalla Rivista: Autismo Oggi
I genitori dei bambini con autismo che abbiamo incontrato ci
hanno detto che il “non comunicare”, il “non riuscire a entrare in contatto”,
il “non avere uno scambio con il bambino su quello che gli piace, o su quello
che c’è intorno”, il “non riuscire a passargli niente di quello che vorrei
fargli conoscere o sapere”, è forse la difficoltà maggiore che essi
sperimentano nella vita con il bambino. Questo anche in situazioni piene di
fatica fisica e stress : bambini che scappano in strada, che si picchiano, che
urlano tutta la notte. Incontrare queste dichiarazioni ogni volta che
conosciamo una nuova famiglia continua a colpirci, anche se non ci stupisce più.
Dimostra che i genitori hanno una chiara percezione della comunicazione come
componente essenziale dell’umana qualità della vita . Essi intravedono per via
intuitiva, anche senza avere mezzi per trarne conseguenze operative, l’attuale
conoscenza sull’intreccio tra comunicazione e problemi di comportamento (Carr)
e apprendimento culturale (Bruner) e ci dicono: intervenire sulle abilità
comunicative è importante e senza perdere tempo.
Comunicazione e autismo
L’eterogeneità, la variabilità in caratteristiche e in
gravità sono tipiche dell’autismo: Anche le difficoltà in quest’area quindi, si
presentano diversissime tra individuo e individuo. Dire autismo quindi non
significa proprio nulla se quello che cerchiamo è una guida all’intervento
sulla comunicazione. Moltissimi bambini non parlano; altri passano dall’uso di
singole parole o frasi ecolaliche all’uso vario e articolato di un linguaggio
verbale che conserva difficoltà che arrivano ad assomigliare ai Disturbi
Specifici del Linguaggio, fino ad avere difficoltà solo nell’uso del linguaggio
come mezzo per un fluente scambio reciproco di conversazione. Non c’è quindi
alcun tratto comune a tutte le persone con spettro autistico, per quanto
riguarda l’area comunicazione? Alcuni tratti comuni sembrano esistere:
· la limitatezza
delle funzioni spontaneamente servite dalla comunicazione: la funzione del
controllo e influenza sull’ambiente per ottenere ciò di cui si ha bisogno o si
desidera (richiesta, rifiuto) prevale sulle altre funzioni di affiliazione e di
condivisione di esperienze.
· l’intreccio
tra le difficoltà di comunicazione e le difficoltà sociali. Difficoltà nello
sviluppo dell’ attenzione congiunta si trovano in tutti i bambini dello spettro
autistico.
· difficoltà a
riconoscere e padroneggiare il meccanismo di fondo della comunicazione: l’idea
stessa dello scambio di messaggi.
In questi tratti comuni si nota l’intreccio, la connessione
sistemica tra la menomazione dello sviluppo della comunicazione e la
menomazione nello sviluppo della relazione sociale reciproca. Infatti anche nei
bambini che parlano, a volte con un linguaggio ricco, con frasi di molte parole
e vocabolario appropriato, vediamo che il parlare risponde non a una
comunicazione efficace, inviata e monitorata allo scopo di raggiungere uno
scopo sociale, ma all’esplicarsi di una attività che in assenza di un preciso riferimento
funzionale sembra fine a se stessa. La mancanza di una spontanea, innata e
flessibile capacità di entrare in contatto con gli altri da una parte e
dall’altra di usare i mezzi di cui disponiamo per inviare messaggi , non
comporta affatto una parallela difficoltà di apprendimento. Anzi, ciò che viene
a mancare nel bagaglio predisposto in modo innato, viene compensato da funzioni
e abilità apprese. Nella maggioranza delle persone con autismo, possiamo vedere
come spesso il bambino apprende modi per svolgere la necessaria funzione di
regolazione dell’ambiente: sono modi di comunicazione molto poco convenzionali,
effettuata con forme (motorie, o indifferenziati segnali di disagio) che nello
sviluppo normale di solito precedono il prorompere dello sviluppo della
comunicazione convenzionale (mimica, gesti, parole, frasi). Oppure utilizzano
spezzoni di linguaggio parlato appresi (ecolalia), non riconosciuti agevolmente
da noi come invio di messaggi, nel tentativo di raggiungere uno scopo, come
chiedere o rifiutare. L’apprendimento della comunicazione è un fenomeno di
natura transazionale. Ciò significa che il comportamento del bambino provoca
una risposta nell’ambiente che a sua volta influenza lo sviluppo delle abilità
nel bambino.
Non ci stupiamo quindi se le inabilità comunicative del
bambino, che provocano risposte nell’ambiente, finiscono con trasformarsi in
mezzi per ottenere ciò che si vuole: l’ecolalia, le stereotipie motorie,
l’urlare, lo sbattere la testa, il lanciare oggetti, che provocano nell’ambiente
una risposta di assistenza e intervento. Nello stesso tempo questo ci indica
una via molto chiara: insegnare abilità di relazione sociale e la funzione dei
messaggi intenzionali.
L’insegnamento della comunicazione e le sue difficoltà
In un bambino con paralisi cerebrale notiamo difficoltà nello sviluppo del
movimento di tipo quantitativo e qualitativo, e il deficit motorio si intreccia
con altre difficoltà e problemi. La risposta dell’ambiente alle difficoltà del
bambino influenza la possibilità e le forme dell’apprendimento in questo campo.
Anche qui occorre tecnica, conoscenze, tenacia.
Un elemento però facilita l’impresa: la visibilità, la
fisicità della topografia del movimento degli arti aiuta il terapista a
programmare piccoli passi , piccole approssimazioni verso una meta, che può
essere condivisa tra terapista e bambino, portando a un “circolo virtuoso”. Il
terapista avvertito è in grado di considerare abbastanza agevolmente la
costruzione lenta di sempre migliori e nuove abilità partendo da ciò che c’è
nel bambino; l’intreccio di questo lavoro con l’uso esplicito di protesi per
facilitare l’esercizio della funzione cui il movimento del bambino ancora non è
in grado di servire efficacemente, come lo stare in piedi o lo spostarsi; le
approssimazioni verso la meta vengono rinforzate e mantenute. Nella
Comunicazione con il bambino autistico ci comportiamo o come chi non chiede al
bambino con PCI alcuno sforzo di movimento, sostituendosi a lui nell’esercizio
delle funzioni, o come chi chiedesse al bambino con PCI di sforzarsi una buona
volta e di saltare.
Mentre nel campo del movimento possiamo immaginarci i piccoli
passi e per esperienze personali immedesimarci nella difficoltà di compiere
azioni , e pensare di essere nei panni di chi ha bisogno di lenta
riabilitazione, nella comunicazione non siamo in grado di pensare in termini di
piccoli passi. Non riusciamo a vedere il rapporto tra il singolo passo e la
meta .A volte non riusciamo ad immaginare che bambini così abili e sensibili
abbiano bisogno di una lunga strada per imparare semplici componenti della
comunicazione.
Bene, non abbiamo altra strada: raccogliere tutto quello che
si è conosciuto e studiato su relazioni sociali e comunicazione nello sviluppo
normale e tutto quello che si è studiato e saputo sui mezzi per ottenere
cambiamenti nelle persone con autismo per avere, nei confronti della
riabilitazione in comunicazione di un bambino con autismo, un atteggiamento
analogamente attento e produttivo: individuare priorità, definire mete, scomporle
in passi, escogitare esercizi.
Un percorso: Oggi possiamo contare su consolidati principi
dell’insegnamento della Comunicazione
· Il centro degli
sforzi per l’incremento della comunicazione deve essere lo sviluppo di abilità
di comunicazione utili nell’ambiente in cui il bambino vive.
· lo sviluppo
della comunicazione implica continuità tra abilità di relazione sociale
reciproca (intersoggettività), comunicazione preverbale e comunicazione
verbale; va data quindi appropriata e individualizzata enfasi nel curriculum al
tentativo di sviluppare abilità preverbali sociali e comunicative.
· un comunicatore
competente è il prodotto dell’interazione nello sviluppo di capacità cognitive,
socioaffettive, linguistiche; le decisioni da prendere nel progetto
dell’incremento della comunicazione si basano quindi su un accurato profilo di
sviluppo dell’individuo in tutte queste aree.
· l’enfasi su
interazioni di successo in contesti naturali influenza ogni aspetto del
programma, dall’individuazione delle mete alla progettazione dell’intervento.
· anche il partner
nella comunicazione, se vuole favorirne l’incremento, ha abilità da imparare:
creare opportunità per la comunicazione , attendere l’iniziativa comunicativa,
leggere i tentativi di comunicazione, e rispondere in modo da sostenerli.
Come applicare questi principi? Cominciando subito un
intervento intensivo, appena il bambino con problemi di tipo autistico è
portato alla valutazione e alla diagnosi, anche prima che la parola fine sia
stata posta al percorso diagnostico. Sappiamo che le difficoltà sociali e
comunicative del bambino autistico possono avere alla base difficoltà ancora
più di base, come l’attenzione e la modulazione dell’arousal. Questo da un lato
ci obbliga a prestare attenzione nell’individualizzare il percorso, dall’altro
ci può tranquillizzare perché molti aspetti della vita quotidiana, se ben
giocati, possono far parte del curriculum, nella misura in cui vengono incontro
agli interessi del bambino, ne facilitino l’attenzione e ne rinforzino
l’attivazione. Possiamo insomma contare su un circolo virtuoso. Ma
addentriamoci un po’ nel potenziale curriculum , per intenderci,
“pre-comunicativo”: la prima cosa da fare è , “tentare di immettere il bambino
piccolo nel mondo sociale”: aiutarlo a prestare attenzione al volto umano, ai
segnali sociali, tollerare la prossimità, godere dello scambio e del contatto.
L’incremento di abilità di interazione sociale : attenzione
congiunta, emozione congiunta, scambio di oggetti e di turni, uso flessibile
dello sguardo, è quindi la prima tappa di un percorso verso l’incremento della
comunicazione. Un’accurata valutazione di abilità, punti di forza, possibilità
in questa area è quindi fondamentale. E’ quindi possibile dedicarsi
all’insegnamento di abilità in quest’area. Essa, pur con le difficoltà del
bambino con autismo, finirà per mescolarsi naturalmente a modalità di comunicazione
preverbale.
Il bambino che ha appreso abilità di interazione sociale
reciproca infatti potrà per esempio guardare di più in faccia il papà, quando
spingerà la mano verso un giocattolo per chiederlo; oppure sorriderà di più
quando lo otterrà; presterà più attenzione ai messaggi dell’altro, come gesti o
altre indicazioni non verbali.
Papà, mamma , operatori troveranno quindi nel raggiungimento
delle mete in quest’area un contatto sociale con il bambino che prepara un buon
terreno per curare quegli aspetti di natura transazionale che possono preparare
un circolo virtuoso per lo sviluppo di abilità comunicative.
Per questo è importante lo studio dei suoi interessi ed
emozioni, le sue passioni, quello a cui presta spontanea attenzione; lo studio
dei suoi gusti e dei suoi bisogni.
Questo complesso profilo sarà indispensabile per comprendere
quale sarà per il bambino l’oggetto della relazione sociale e dei messaggi che
impareremo a scambiarci che sarà adatto a lui.
E’ inutile pretendere di comunicare su oggetti di scarso o
nullo interesse per il bambino; non esiste livello basso, esiste il livello del
bambino: cibo, giochi ripetitivi, acqua, movimenti, luci e colori possono
essere nobilissimi oggetti su cui comunicare.
E’ importante non trovarsi su un piano di comunicazione
totalmente diverso : credere per esempio possibile una comunicazione su un
piano simbolico, con significati di empatia mentre in realtà il bambino
risponde al concreto del contesto. Altra componente fondamentale del
curriculum: l’imitazione. Si può camminare contemporaneamente su tre binari:
quello dell’imitazione spontanea, quello dell’insegnamento dell’imitazione
all’interno di attività spontanee di gioco ( modellare ad esempio l’imitazione
del gesto di battere su un tamburo) , quello di veri e propri training
strutturati di imitazione . Imitazione di movimenti e suoni, impostata
solamente allo scopo di ottenere l’attenzione del bambino al tuo gesto e al tuo
suono, e la replica via via più adeguata del gesto e del suono. Si può seguire
in questa attività una progressione dal più facile al più difficile, presente
in molti repertori di sviluppo, ma da adattare a ciascun bambino. Poi, secondo
il principio ben noto del procedere per piccoli salti verticali e ampi tratti
orizzontali, inserire le nuove abilità imitative del bambino dentro attività
ludiche e piacevoli: imitare i gesti di canzoni mimate, imitare il gesto che
serve per produrre uno spettacolo emozionante, imitare il suono di una
filastrocca per ottenerne la conclusione.
Giocare insomma con i gesti e con i suoni e giocare a
ripeterli. Se nel frattempo non troviamo nulla di strano nei tentativi di
migliorare la motricità fine del bambino, infilando perle, facendo puzzle,
ecc., perché non ricordarci di promuover miglioramenti nelle abilità fini
motorie del sistema fonatorio del bambino? Soffiare piume e spingere palline da
pingpong, spegnere candele, fare bolle di sapone, masticare chewing gum,
leccare nutella spalmata intorno alla bocca, fare facce allo specchio…fare
suoni strani, ecc..
Altra parte cui dare importanza, proporsi di passare
dall’imitazione al gioco simbolico; dapprima semplice e imitativo, poi più
complesso. Collegare il piacere che il bambino ha imparato a trarre dai giochi
di scambio sociale, di imitazione, di contatto, con il piacere di svolgere
queste attività in modo simbolico, e con oggetti e personaggi sempre più
mentalizzati. Mentre gran parte del tempo sarà quindi impegnato nel gioco per
l’interazione sociale, nell’imitazione, nell’esercizio di abilità fonatorie, ma
anche nella vita quotidiana del mangiare, del lavarsi, del passeggiare, del
dormire, ecc, nell’insegnamento di abilità motorie fini e grosse e nell’uso di
tutto questo per vivere una bella vita da bambino, sarà automatico inserire nel
programma mete specificamente di comunicazione. A questo punto del percorso,
per individuare le mete, occorre studiare le diverse dimensioni della
comunicazione. Non affrettarsi a correre a insegnare forme più avanzate a
bambini che ancora non hanno apprezzato la funzione.
L’insegnamento degli scopi della comunicazione e della
meravigliosa capacità della comunicazione di influenzare l’ambiente e di
rispondere quindi ai miei bisogni ( facilmente scoperta dal bambino a sviluppo
normale), precede l’insegnamento di forme convenzionali e richiede lo studio,
l’accettazione, la promozione di forme più primitive o più spontanee.
Watson , Schaffer, Lord e Schopler (1997) con il loro “
Curriculum” per l’insegnamento della comunicazione spontanea, una guida alla
valutazione, programmazione e intervento che aiuta nell’intervento con il
bambino reale, nel suo contesto di vita, in stretta collaborazione tra
terapisti e genitori, ci danno sull’insegnamento della comunicazione
indicazioni fondamentali.
E oltre? Che fare se e quando un bambino parla?
Un gran numero di bambini autistici sviluppa il linguaggio
parlato, anche se con particolarità , dette sopra, che rendono difficile e poco
efficace la comunicazione. Attenzione perché questo può accadere a un bambino
anche molto piccolo; oppure a un bambino più grande che arriva al linguaggio
parlato in ritardo. La continuazione, adattata alle fasi dell’intervento e
dello sviluppo, di un intervento sulla socialità , oltre che sulla
comunicazione, può essere essenziale per superare particolarità quali:
· ecolalia
· difficoltà
nell’uso conversazionale del linguaggio
· difficoltà nella
reciprocità
· difficoltà
linguistiche simildisfasiche
· bizzarrie
nell’uso di vocaboli, intonazione meccanica , comparsa sporadica di ecolalie e
inversione pronominale
L’intervento continuerà, qualora questi difetti incidano
sulla qualità della vita, con:
· intervento di
tipo logopedico per insegnare un linguaggio più ricco e flessibile
· intervento di
abilità sociali per promuovere routine socialmente accettabili e scambi
· intervento socio
affettivo e di rilassamento per rassicurare
· esperienze di
vita e di apprendimento, adattate al modo di funzionare nell’autismo, che
permettono lo sviluppo di un contenuto mentale meno rigido e più condivisibile.
Modalità di insegnamento e organizzazione
Per facilitare l’atto e l’esperienza del comunicare
occorre individuare e conoscere bene il
livello, il tipo degli atti comunicativi da richiedere, che siano realmente
basati sulle abilità possedute e sugli interessi autentici della persona.
Organizzare l’ambiente e la relazione sociale in modo che, in luogo di essere
fonte di tensione, confusione, agitazione, sconcerto e frustrazione, siano
strada maestra per l’espressione, in una forma possibile e conosciuta, di
messaggi con scopi comunicativi padroneggiati.
I nuovi dati di cui disponiamo, secondo i quali un intervento
intensivo e precoce, con forte enfasi su training strutturati, ha portato il
numero dei bambini autistici che parlano dal 50 al 75%, sono molto
incoraggianti ma rischiano di accentuare, in lettori non accorti, una serie di
errori nella metodologia e nell’organizzazione dell’insegnamento della
comunicazione.
Si dimenticano due fattori essenziali:
· L’assoluta
necessità che le interazioni comunicative richieste al bambino siano seguite
dal successo comunicativo. Troppo spesso si confonde la necessaria enfasi su un
intervento strutturato, intensivo e direttivo per insegnare abilità emergenti
con richieste del tipo “Dimmelo bene se no non te lo do”, forzature e
frustrazioni, che sono l’esatto opposto di ciò che è necessario
· L’inserimento
di socialità e comunicazione all’interno di una logica di sviluppo ( è inutile,
anzi dannoso, tentare di insegnare abilità che normalmente non sono presenti
nei bambini normali di quell’età ) e di una conoscenza del possibile contenuto
mentale del singolo bambino che abbiamo davanti (è inutile, anzi dannoso,
chiedere al bambino di significarmi con parole o gesti o altro ciò che non ha
in mente, e nemmeno nel cuore)
La fretta e la confusione con cui si cerca di insegnare forme
di comunicazione convenzionali a un bambino che ancora è in grado di comunicare
solo in modo limitatissimo nell’ambito di pochissime e ristrette richieste o
rifiuti è una delle cause più frequenti di frustrazioni e fallimenti.
Attenzione! Parliamo di fretta e confusione, non di appropriata programmazione
e insegnamento. Credo che oggi si può fare una sintesi tra Schopler, Lovaas,
Koegel. Lovaas ci ricorda l’assoluta necessità di training intensivi
finalizzati a permettere al bambino di apprendere con condizionamento operante;
Koegel ci ricorda l’importanza di scegliere accuratamente i comportamenti da
rendere oggetto di training, in modo che questa costosa operazione porti a
vantaggi generalizzati al di là del singolo comportamento insegnato ( e qui
sono stati indicati i comportamenti intersoggettivi e l’imitazione come
”pivotal behaviors”); Schopler, oltre all’adattamento dell’ambiente in funzione
di punti di forza, ci suggerisce il metodo dell’organizzazione della situazione
per produrre l’atto comunicativo.
Gli aspetti organizzativi non sono di poca importanza. Un
bimbo piccolo è visto e valutato e, in poco tempo, abbiamo la certezza che di
Spettro autistico si tratti. Subito! Cominciare subito! Va creata subito
l’alleanza genitori- terapista- maestra- bambino, che lavorino sugli stessi
principi in stretto accordo. Evitiamo di fare affermazioni assurde come “ non
si può fare logopedia” o “occorre psicomotricità”. Occorre un immediato
intervento psicoeducativo intensivo, su tutte le aree della vita del bambino;
occorrono terapisti esperti e formati per l’intervento con il bambino piccolo,
che facciano in modo generalista ciò che serve per unire l’arco della vita del
bambino. Se poi occorre un esperto di linguaggio sentiremo il parere del
logopedista o dello psicomotricista. E’ necessario superare queste idiote
barriere. Perché ciò che occorre è un ambiente chiaro, organizzato, ben
evidenziato intorno a precisi nuclei di attività o interessi; un adulto che non
si sostituisce al bambino, confondendolo, ma sa chiedergli azioni che il
bambino può svolgere con successo, rimanendo un chiaro punto di riferimento che
sa anche togliersi di mezzo e aspettare e contemporaneamente essere un
facilitatore che risolve problemi o suggerisce modi per arrivare al successo;
tutto ciò va creato a scuola e a casa, ed è il substrato necessario
dell’avanzamento in comunicazione. La sfida che abbiamo di fronte, ora che
abbiamo imparato tutto questo e abbiamo cominciato ad applicarlo, è quella di
trasformare questi concetti in un concreto servizio di trattamento intensivo
per tutti i bambini autistici.
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