"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo
intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il
suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz)
Eraclito, vissuto ad Efeso tra il VI e il V
secolo a.C., è di famiglia aristocratica (addirittura discendente da famiglia
regale) e lo stile stesso in cui scrive risente di questa influenza
aristocratica (nella sua opera arriverà a dire: "uno è per me diecimila,
se è il migliore"). Nel suo libro Peri fusewV (Sulla natura) traspare
palesemente un atteggiamento di disprezzo per la massa popolare (definita come
un branco di "cani" che gli abbaiano contro). Va subito precisato,
però, che l'aristocraticismo di Eraclito non è molto legato alla vita politica,
quanto piuttosto a quella intellettuale e culturale. Secondo la tradizione,
Eraclito avrebbe depositato il suo libro (di cui ci sono pervenuti parecchi
frammenti) nel tempio di Artemide ad Efeso: egli compie questo gesto senz'altro
per il fatto che il tempio era il luogo più sicuro per la custodia (all'epoca
le biblioteche non c'erano) , ma anche perchè era tipicamente aristocratico
riallacciarsi al sapere della casta sacerdotale ed arcaica. Eraclito ritiene
dunque che il tempio sia l'unico luogo idoneo a custodire il suo scritto: egli
infatti nutre grande sfiducia nella possibilità che il messaggio da lui
consegnato allo scritto possa essere compreso dalla maggior parte degli uomini.
Ciò dipende dai contenuti di esso, lontani dalle esperienze della vita comune,
ma anche dal linguaggio e dalla forma nei quali questi contenuti sono espressi.
In effetti ancora oggi non si è riusciti a comprendere la natura dell'opera di
Eraclito, sebbene possediamo numerosi frammenti (oltre 100): essa era infatti
costituita di aforismi, vale a dire paginette autonome e singole. Il fatto che
fosse un libro "aforistico" non significa che fossero idee campate in
aria o che Eraclito saltasse di palo in frasca, cambiando in continuo
argomenti: ogni frase, ogni pagina può in qualche modo essere collegata ad
altre in modo argomentativo. Va senz'altro notato che Eraclito fu probabilmente
il primo a fare collegamenti forma-contenuto : dal momento che i contenuti
erano complessi , anche lo stile e la forma dovevano essere complessi: è come
se Eraclito volesse sottolineare la difficoltà del contenuto tramite la
difficoltà della forma (tant'è che veniva spesso denominato
"l'oscuro" o "il piangente"): Aristotele stesso, nel
tratteggiare le qualità stilistiche proprie dei filosofi, cita Eraclito come
esempio in negativo. Socrate stesso dice che per penetrare nel senso dei
discorsi di Eraclito occorrerebbe essere dei "palombari di Delo". Ma
Eraclito era pienamente consapevole della difficoltà di interpretazione del suo
libro: da buon aristocratico, diceva che non tutti gli uomini erano in grado di
capire cosa dicesse: solo i migliori ce l'avrebbero fatta. In Eraclito perfino
gli accenti sono ambigui: il termine greco "bios" (bioV) , ad esempio,
letto "biòs" significa "arco" , ma letto "bìos"
significa "vita" (sono addirittura antitetici i significati: l'arco è
un qualcosa che provoca la morte, che è l'opposto della vita). E' interessante
e famoso il frammento in cui Eraclito dice "la natura ama
nascondersi" (fusiV filei kruptein) : con ciò, egli intende sottolineare
che non è facile trovare la realtà, ma occorre aprire bene gli occhi; lo stesso
stile eracliteo – così oscuro - può allora essere inteso come un invito a stare
in guardia. In Eraclito vi è una convinzione di fondo: che l'intera realtà sia
governata da un solo principio (come dicevano i Milesi), a cui tutto è
collegato. Dirà che questi legami che legano la natura sono dettati dal LogoV
(Logos) : nel mondo c'è una ragione che lo fa andare avanti e un discorso che
lo lega. Sia ragione sia discorso vengono proprio tradotti ambedue con
"logos", termine che riveste una miriade di significati. Logos è
anche il discorso che Eraclito consegna al suo scritto, che in questo senso si
presenta come espressione adeguata del logos cosmico. Questo è comune a tutti
gli uomini, ma essi non sono in grado di comprenderlo perchè restano rinchiusi
nel loro orizzonte privato . Eraclito paragona questi uomini a coloro che
dormono e li chiama "dormienti", in contrapposizione con coloro che
son desti: quale è la differenza tra le due categorie? Quando siamo svegli
siamo in grado di mettere in comune le esperienze: non siamo soli , ma c'è un
comune terreno d'intesa . Quando invece dormiamo e ciascuno di noi vive nei
sogni in un mondo interamente suo. I dormienti quindi, nel caso degli uomini
che Eraclito così definisce, sono coloro che rinunciano al logos cosmico, che
ci consente di capire insieme la realtà. Certo suona strano che un
aristocratico parli di logos comune-cosmico: in realtà la questione è che quel
"comune" logos "cosmico" si riferisce non a tutti gli
uomini, ma a pochi : solo ai migliori , e non ai dormienti. Ma cerchiamo di
comprendere che cosa Eraclito intenda con "logos comune, cosmico":
come accennato, la parola logos è polisemantica ed è quindi bene non tradurla.
Essa si riconnette al verbo greco "lego", che in origine significava
"legare" ma che poi passò a significare "parlare". Logos
vuol dire, tra le varie cose, discorso: c'è l'idea di più parole che vengono
tra loro legate per assumere un significato. Può anche significare
"discorso interiore" in quanto prima di parlare, si effettua un
ragionamento, un dialogo interno a noi stessi. Quindi passò a significare
"ragionamento" e da qui "ragione", ossia la facoltà di
effettuare ragionamenti. Per Eraclito però i significati della parola logos
sono essenzialmente tre: 1) La ragione che governa l'universo 2) Il pensiero
che comprende questa ragione universale 3) il discorso che esprime questa
conoscenza (dunque il discorso che Eraclito pone per iscritto nel suo testo).
Così come abbiamo un logos dentro di noi (la ragione) , Eraclito dice che anche
nella realtà ci deve essere un logos cosmico, dove logos ha valenza di
"ragione" : il logos è quel qualcosa che fa funzionare l'universo.
Eraclito afferma che il logos che abbiamo nella nostra mente non è diverso da
quello cosmico. Per arrivare a dire questo, probabilmente, Eraclito si deve
essere sagacemente chiesto: "come è che quello che noi pensiamo esiste anche
nella realtà?". Questo è anche un modo per rispondere alla domanda:
"come si ricollegano le leggi della natura e del mondo? ". Di fatto,
Eraclito nega l'esistenza di un dio, ma ammette quella di una ragione
universale: c'è un nesso tra la ragione che governa il mondo e quella che
governa la nostra mente: sono la stessa cosa e dunque l’ambiguità espositiva
nell'opera "Perì fuseos" è dettata dal logos stesso, che fà sì che la
natura ami nascondersi. Certo è difficile comprendere questo logos universale, ma
non è impossibile: l'uomo ce la può fare usando quel frammento di logos a sua
disposizione, insito dentro di lui : la ragione, che non è nient'altro che un
pezzettino di logos universale di cui tutti disponiamo. Quindi tutti partiamo
dallo stesso livello, ma solo i migliori riescono ad emergere e ad avvicinarsi
al logos cosmico. I dormienti sono coloro che non ci riescono nè ci provano:
per raggiungere il logos universale bisogna cooperare, non agire da soli e nel
proprio interesse: Eraclito dice "bisogna seguire ciò che è comune;
infatti ciò che è è comune di tutti . Ma pur essendo il logos di tutti , la
folla vive come se avesse un proprio ed esclusivo criterio per giudicare".
Eraclito era del parere che una città per funzionare avesse bisogno delle leggi:
come il logos cosmico governa il mondo, così le leggi governano la città. Anche
le leggi (nomoi), come la mente umana, rappresentano un frammento di logos
universale. In Eraclito matura l'idea che la legge umana derivi da quella
naturale, della fusiV (natura). Tutte le leggi umane - nella misura in cui sono
giuste - attingono ad un'unica legge cosmica. A quei tempi vi era anche chi
diceva che le leggi umane fossero puramente convenzionali e non c'entrassero
nulla con la natura. Sebbene Eraclito arrivi ad ammettere che il principio sia
il logos, un'entità assolutamente astratta, tuttavia egli sente il bisogno di
incarnarlo in qualcosa di materiale, e più precisamente nel fuoco. Eraclito
dice che l'universo non è il prodotto di dei o uomini, ma un ordine universale
unico ed eterno. Egli lo identifica con "il fuoco sempre vivente" .
Con il riferimento al fuoco, Eraclito non intende soltanto introdurre una
variazione rispetto alla tesi, tradizionalmente attribuita agli ionici a
partire da Aristotele (Metafisica, I), dell'unicità del principio. Intende
piuttosto insistere sulla peculiarità di comportamento del fuoco: si accende e
si spegne regolarmente secondo una misura, come appare anche dal sole, che ora
brilla (di giorno) e ora si spegne (di notte). La vicenda cosmica in tutti i
suoi aspetti e nelle sue incessanti trasformazioni è infatti regolata da una
misura. La mobilità del tutto non è un divenire casuale o disordinato, ma è
regolata secondo ritmi precisi. Eraclito sostiene che non si tratti solo della
successione di un opposto all'altro, del giorno alla notte, della vita alla
morte e così via. La guerra (polemoV) assurge a simbolo e insieme regola di
tutto ciò che avviene nell'universo: questo è caratterizzato da un'armonia
superiore consistente nell'unità e identità degli opposti in tensione tra loro
(coincidentia oppositorum). Quindi anche per Eraclito la ricerca dell'unità, al
di sotto dell'apparente molteplicità e dispersione di ciò che appare ai più, è
l'obiettivo primario. La guerra ("Polemos è signore di tutte le
cose") tra gli opposti non è espressione di ingiustizia, come ritengono i
più e come aveva detto Anassimandro: il divenire di tutte le cose è il
risultato del perenne conflitto che permea il tutto e si esprime
nell'incessante tensione e trasformazione di un contrario nell'altro. Il fuoco
suggerisce bene l'idea di questo costante divenire, di dinamicità, di
trasformazione e di identità degli opposti: dove c'è il fuoco c'è la vita, ma
il fuoco porta anche la morte (come "bios" denota sia la vita sia
l’arco mortifero). Eraclito polemizzerà moltissimo con i Pitagorici (ed in
particolare con Pitagora che definirà "inventore di coltelli", vale a
dire dell'arte tagliente della retorica, che mira ad affascinare l'ascoltatore
con dialoghi raffinati, ma privi di verità), che sostenevano la pace e
l'armonia dei contrasti e che vedevano nella musica la struttura numerica della
realtà. Per lui la vera armonia è la tensione tra i contrasti (armonia
discors): se prendiamo un arco o una lira, notiamo che essi funzionano fin
tanto che la struttura data dal contrasto e dalla tensione degli opposti regge.
Divenire significa proprio passare da un opposto all'altro. Mentre nella nostra
società si tende a dare un valore negativo alla guerra, Eraclito (e in forza di
ciò sarà amatissimo ad esempio da Hegel) dice che polemos (la guerra) è il
padre di tutte le cose, è ciò che rende liberi o schiavi gli uomini. Da notare
che non si può conoscere pienamente una cosa se non si conosce il suo opposto:
non si può conoscere davvero la schiavitù se non si sa che cosa sia la libertà.
Per Eraclito la guerra è una grande cosa anche perchè determina quali siano gli
uomini più valevoli e quelli inferiori: anche nella guerra c'è dunque un
frammento di logos universale. Per Eraclito c'è armonia solo quando i contrari
sono in tensione. In un suo frammento, Eraclito afferma che il diametro del
sole sia di un piede umano, il che è un'assurdità e lui lo sapeva bene: con
quest'affermazione sconcertante egli vuole dire che, così come è assurda la sua
affermazione, tali sono anche tutte quelle che si arrestano all’apparenza,
giacchè "la natura ama nascondersi". In un altro frammento dice di
aver indagato se stesso ("ho indagato me stesso"): salta all'occhio
questa affermazione perchè sul tempio di Apollo a Delfi c'era scritto gnwqi
sauton (conosci te stesso): lui dice di aver indagato se stesso ed emerge il
legame di Eraclito con il mondo arcaico e sacro, tipicamente aristocratico,
quel mondo a cui aveva voluto affidare il proprio scritto. Probabilmente
quest'affermazione va riferita ad un'importante constatazione di Eraclito:
voleva conoscere il logos dell'anima e dice di aver scoperto che l'anima non ha
dimensioni, non è definita: "per quanto tu possa camminare, e neppure
percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così
profondo è il suo lógos". Dice che il suo logos è profondo, quasi con
l'idea dello scavare in profondità alla ricerca dell'anima. Eraclito biasima
anche Esiodo, l'autore di quella specie di Bibbia dei Greci che è la
"Teogonia", che tra le varie coppie di contrari aveva individuato il
giorno e la notte, ma che non le aveva individuate come identità di opposti. In
un frammento Eraclito dice "la via in su ed in giù è unica ed identica":
un qualsiasi percorso in pendenza è sia salita sia discesa e ciò significa che
le stesse cose possono contemporaneamente essere opposte ed identiche ed in
particolare traspare l'identificazione degli opposti: la salita e la discesa
sono tra loro opposti, ma si identificano. Interessante è il frammento in cui
dice: "il fulmine governa tutte le cose" ; il fulmine è strettamente
connesso al fuoco, che governa tutto ed è l'attributo principale di Zeus, il
padre degli dei. Gli Stoici pensavano che vi sarebbe stato un grande anno in
cui vi sarebbe stato un incendio che avrebbe portato alla conflagrazione del
mondo (ekpurosiV) e che dopo ciò ne sarebbe nato uno nuovo. Essi amavano
Eraclito perchè pensavano di leggere nei suoi frammenti idee simili, quali la
conflagrazione. In effetti c'è un frammento eracliteo in cui si dice che il
fuoco può cambiarsi in tutte le cose e che tutte le cose si possono cambiare in
fuoco, ma Eraclito intende semplicemente dire che una parte di cose viene di
continuo cambiata in fuoco, e una parte di fuoco viene di continuo cambiata in
cose. C'è un equilibrio: Eraclito non intendeva assolutamente parlare di
conflagrazioni: si tratta di interpretazioni errate da parte degli stoici. Uno
dei frammenti senz'altro più famosi di Eraclito è quello che dice : "negli
stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " : troppo
spesso è stato interpretato come il manifesto della "filosofia del
divenire", del panta rei ("tutto scorre"), come se Eraclito ci
stesse suggerendo che non possiamo mai bagnarci due volte nelle stesse acque di
un fiume, giacchè esse si rinnovano incessantemente. In realtà l’indirizzo
dell’incessante divenire che regola la realtà sarà intrapreso, più che da
Eraclito (nel quale pure non è assente), dal suo discepolo Cratilo (futuro
maestro di Platone): egli estremizzerà le posizioni di Eraclito e diventerà il
filosofo del "tutto scorre": a suo avviso è addirittura impossibile
dare i nomi alle cose perchè esse cambiano di continuo (noi chiamiamo Po un
fiume ma non è corretto, perchè le acque si rinnovano in continuazione e il
fiume non è mai lo stesso); si fissa artificialmente una cosa che non è
fissabile perchè in continua mutazione. Cratilo con il "panta rei"
arriva a dimostrazioni sofistiche: è impossibile conoscere qualcosa che cambia
sempre. Quindi in teoria, dal momento che non si possono attribuire nomi,
bisognerebbe limitarsi ad indicare le cose col dito, senza chiamarle per nome.
In realtà Eraclito, con il frammento del fiume, sta argomentando in favore
della coincidenza degli opposti, mettendo in luce come quando ci immergiamo in
un fiume siamo in esso e al contempo non siamo in esso (poiché nel fiume le
acque cambiano di continuo). Circa l'identità degli opposti, egli dice anche
che "il mare è l'acqua più pura e impura, per i pesci potabile e salutare,
per gli uomini imbevibile e letale" : in questo frammento si può anche
scorgere il famoso relativismo assoluto di Protagora, ad avviso del quale il
miele c'è chi lo sente dolce e chi lo sente amaro, ma non si può effettivamente
dire se esso sia amaro o dolce: dipende da come ciascuno lo sente. Durissima è
la critica condotta da Eraclito contro i sapienti del suo tempo (Pitagora,
Ecateo, Esiodo, Omero, tutta "gente dalla doppia testa"), accusati di
polumaqia, il "sapere molte cose": la vera conoscenza dev’essere
quella dell’unico logos.
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