"Cogito, ergo sum" — affermava il grande filosofo
Cartesio oltre tre secoli fa — io so di
essere in quanto penso, se non pensassi non sarei o non
saprei di essere.
Ma è proprio vero che solo pensando io esisto? In realtà
l'essere non si dimostra col solo
pensare ma anche e soprattutto col sentire. Bisogna chiarire
bene questi
due concetti del pensare e del sentire, perché in occidente
siamo portati a confonderli
non poco, con gravi conseguenze sul piano sociale — tra cui
una scienza senza coscienza
e una politica senza cuore.
Gli esseri umani adulti hanno a disposizione sia la facoltà
di sentire sia quella di pensare,
e entrambe sono utili e necessarie al loro benessere
psicofisico e al buon andamento della
vita sociale.
Il sentire è ciò che si percepisce direttamente di una
situazione, di un oggetto, di una
persona con cui siamo in contatto: le sensazioni fisiche che
essa attiva nel nostro corpo,
le emozioni e i sentimenti che smuove, le intuizioni e le
immagini che suscita in noi.
Mentre il sentire è sempre immediato e spontaneo, il pensare è inevitabilmente
Mentre il sentire è sempre immediato e spontaneo, il pensare è inevitabilmente
influenzato dai nostri schemi mentali, dai pregiudizi e
dalle abitudini sociali e culturali.
Sentire è "essere in contatto diretto col qui e
ora," con la realtà del momento, mentre
pensare è sovente un "focalizzarsi sulle speranze o le
paure inerenti una certa situazione",
vedendola non già come realmente si presenta ma sulla base
delle proprie aspettative
preesistenti.
E' importante rivalutare il sentire sia perché è una
chiave per poterci liberare dai
condizionamenti sia anche e soprattutto perché è solo
sentendo che possiamo veramente
affermare di esistere.
Sentire vuol dire essere consapevoli delle proprie
sensazioni;
delle informazioni esteriori e interiori che ci
pervengono attraverso i sensi e
soprattutto degli stati fisiologici ed emozionali che esse producono in noi.
Le due funzioni del pensare e del sentire non compaiono
assieme nell'essere umano, ma hanno fasi evolutive diverse.
Fino ad una certa età noi siamo solo sentire, da bambini
noi siamo sentire allo stato puro. Piano piano poi cominciamo anche a pensare e
- se non intervenisse la società, attraverso l'educazione - le due funzioni
procederebbero da un certo punto in avanti di
pari passo. Invece notiamo che dai 6/7 anni in poi, man mano che crescono le facoltà razionali,
decrescono quelle irrazionali, il sentire appunto. Il sentire è nostro, è la
cosa più nostra che abbiamo. Il pensare invece non è del tutto nostro, poiché,
come si è visto in precedenza, è facilmente manipolabile ed è quello che da millenni avviene. Il sentire invece non è manipolabile: non si può spacciare una
sensazione spiacevole per piacevole, lo si può far credere con le parole ma alla prova
dei fatti il bluff salta fuori - una sensazione è piacevole o spiacevole e basta, non la
posso definire attraverso un'altra sensazione. Una delle sfere della vita in cui il
sentire dovrebbe essere predominante è quella dei rapporti sentimentali. I sentimenti - lo dice la parola
stessa - appartengono al sentire, non tanto ai sensi fisici, quanto a quelli emozionali. Oltre
al problema di riconoscere i sentimenti nel loro vero significato, la
disarmonia tra pensare e sentire produce anche altri effetti negativi,
tra cui l'incapacità ad aprirsi, di lasciarsi andare al piacere dell'intimità, che porta
molte persone a ricorrere a mezzi esterni quali ad esempio l'alcool, che funge da inibitore
della mente onnipresente..
Se da bambini fossimo stati addestrati a accettare e
comprendere i nostri sentimenti
non avremmo difficoltà di questo genere nella vita, ma come
abbiamo visto, le cose
sono andate diversamente.
Se è vero che la società non fa niente per sviluppare il
nostro sentire e che anzi tendein vario modo a distoglierci da esso, focalizzando tutte le
energie sul pensare, è anchevero che in una certa misura siamo complici di questo
processo, nel senso che, per motivi che ora vedremo, anche noi abbiamo partecipato
attivamente a chiudere il nostro sentire.
Il sentire è la funzione che ci collega al piacere e al
dolore, e ogni essere vivente è orientato per natura a ricercare il piacere e sfuggire il
dolore. Poiché durante l'infanzia molte persone hanno vissuto più dolore che
piacere, la soluzione più ovvia è stata quella di desensibilizzarsi, di chiudere cioè il più
possibile la finestra del sentire. Purtroppo non è possibile chiudere solo il dolore:
la finestra del sentire è una sola e se si chiude si chiude anche al piacere.
Molti bambini vivono in situazioni di tale degrado che la
suddetta chiusura appare
evidente. Ma anche per i cosiddetti bambini normali
l'infanzia non è mai rose e fiori
come la si dipinge e talvolta la si ricorda. La maggior
parte di noi ha avuto genitori e
insegnanti che, anche se ce l'hanno messa tutta, avevano pur
sempre i loro limiti e
non ci hanno dato tutto l'affetto di cui avremmo avuto
bisogno, non ci hanno dato
l'attenzione che avremmo voluto, non ci hanno talvolta (o
spesso) rispettati come
persone, ma ci hanno considerati esseri inferiori. Quindi
noi abbiamo sofferto, una
sofferenza non necessariamente acuta, magari per molti
leggera, ma costante, e
questo ci ha portto a chiuderci, desensibilizzandoci, cioè
riducendo al minimo la
nostra sensibilità. Chi è iper-sensibile? Uno troppo
sensibile, una persona che sente in
modo molto forte. Nella nostra psicologia
"ipersensibilità" è una parola che designa
uno stato negativo, eppure ipersensibile è anche una persona
che sente di più il
piacere. E' bello essere ipersensibili in una bella giornata
di sole, ma se fuori tira sempre vento, se piove o grandina, che cosa possiamo
fare se non chiudere le
finestre? Questo è stato il dramma di molte persone,
appartenenti alla generazione dei
nostri padri e dei nostri nonni ma in certa misura, seppure
inferiore, anche alle
Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo chiuso, nel corso
dell'infanzia, la finestra del
nostro sentire, solo che adesso non siamo più
nell'infanzia, forse non piove più, forse
il vento è cessato, ma ciònonostante abbiamo ancora la
finestra chiusa. Questo è il
paradosso della paura cristallizzata in abitudini: ciò che
aveva un senso in un certo
momento, tende a protrarsi anche quando le condizioni
esterne sono mutate. E'
fondamentale rendersi conto che oggi non siamo più degli
inermi bambini, che fuori
non grandina più, e se anche talvolta accade, possiamo
utilizzare strumenti
appropriati per affrontare il maltempo. Riaprire il proprio
sentire può fare paura, ma -
mi chiedo e vi chiedo - è preferibile vivere tutta la vita a
finestre chiuse, o accettare il
rischio di prendersi anche qualche bagnata di pioggia e però
godersi le belle giornate
di sole, di profumi, di colori? Pensateci bene. Ognuno deve
sentire da solo quale è la sua scelta di vita, io voglio solo porvi di fronte
ad una scelta consapevole, sappiate
cosa scegliete e sappiate che avete il potere di scegliere,
poi scegliete voi…..
A cosa serve dunque il dolore, che scopo ha? Il dolore è una
spia che ci comunica
qualcosa, ad esempio che siamo sulla strada sbagliata,
oppure che stiamo agendo nel
modo sbagliato. Ci dice insomma che qualcosa non va nel
nostro corpo (se è un
dolore fisico) o nella nostra vita affettiva (se è un dolore
emozionale).
Se non ci fermiamo ai primi segnali di sofferenza la situazione si aggrava
e sarà un po' più difficile e doloroso risolverla.
Se avessimo avuto le "finestre" del sentire un po' più aperte avremmo colto
Se non ci fermiamo ai primi segnali di sofferenza la situazione si aggrava
e sarà un po' più difficile e doloroso risolverla.
Se avessimo avuto le "finestre" del sentire un po' più aperte avremmo colto
subito il segnale di dolore e ci saremmo fermati per tempo. E'
il senso del dovere che spesso ci fa agire in modo contrario al nostro sentire.
Com'è che da piccoli ci hanno fatto fare cose che non ci
piacevano? Il trucchetto
consiste in una formula magica che si declina in 3 o 4 modi:
il più semplice e diretto
è "devi"; una variante più subdola è poi "è
bene per te", un'altra variante è "altrimenti
ti punirò, ti punirà Dio, ti succederà qualcosa...".
Questo "devi" impostoci da altre persone noi lo
interiorizziamo talmente che diventa
un "devo", siamo cioè noi stessi ad imporci certe
cose - come ben ha messo in
evidenza Sigmund Freud nel concetto di Super-io. Finche è un
"devi" io posso anche
provare ad oppormi, ma quando sono io stesso che mi obbligo,
cosa faccio? Mi
ribello a me stesso? Non mi resta che accettare l'idea che è
giusto, è inevitabile,
insomma, che devo. Quante volte usiamo la parola
"devo" nella nostra vita?
Pensate a quante volte usiamo "devo" anche in situazioni piacevoli -
"Devo andare a sciare"; "devo uscire con gli amici" etc. - situazioni insomma per le quali sarebbe più appropriato usare la parola "voglio". Ma "voglio" è tabù, è una parola cancellata dal vostro vocabolario.
Pensate a quante volte usiamo "devo" anche in situazioni piacevoli -
"Devo andare a sciare"; "devo uscire con gli amici" etc. - situazioni insomma per le quali sarebbe più appropriato usare la parola "voglio". Ma "voglio" è tabù, è una parola cancellata dal vostro vocabolario.
Quando da piccoli dicevamo "voglio", forse ci
davano uno schiaffo o ci rispondevano
che "L'erba voglio non cresce neanche nel giardino del
re". "Voglio" non esiste più,
un bambino non deve volere, deve fare quello che dicono gli
altri, "deve".
Un adulto può comandare a un bambino ma si trova a sua volta
a dover fare quello
che dicono i suoi superiori o il governo - è sempre un devi.
Naturalmente l'adulto ha
una valvola di sfogo, si rifarà sul bambino. Questo adulto
che non ha mai potuto volere nulla e ha sempre dovuto, ora su qualcuno può, su
suo figlio può, è lui che può
e il bambino che deve. E' una illusione grama che il
rivalersi su qualcun altro possa
risolvere le angherie e le frustrazioni subite, ma per
millenni si è perpetuato questo
meccanismo, e solo da qualche decina d'anni ha iniziato a
modificarsi, se pur in modo
diverso da luogo a luogo e da famiglia a famiglia. Così come
il dolore ha lo scopo di segnalare che stiamo sbagliando qualcosa, che la strada intrapresa non è positiva per noi, il piacere ha - o
dovrebbe avere - la funzione inversa, cioè di confermare e rinforzare determinati
comportamenti, scelte, pensieri
che vanno bene per noi. Purtroppo, il piacere è stato
fortemente stigmatizzato e
colpevolizzato dalla cultura cristiana (e anche molte altre)
e si è persa la sua preziosa
valenza di orientamento, non solo nel senso che le persone
raramente sanno seguirne
le benefiche indicazioni, ma anzi in molti casi le rifuggono
come malvage. Teniamo altresì presente che vi sono vari livelli di piacere: il
piacere fisico, quello emozionale, quello mentale e quello spirituale. Sviluppando la propria sensibilità e
sensitività le sensazioni di piacere saranno avvertibili in modo più nitido, come pure
quelle di dolore, e sarà più agevole orientarsi, cercando di evitare le strade portatrici
di dolore e seguire quelle portatrici di piacere, gioia, armonia o qualsiasi altro nome
si voglia dare alle
sensazioni piacevoli.....
Poiché il sentire non è manipolabile direttamente, esso rappresenta una valida
possibilità per ripulire la
nostra mente dai condizionamenti. Se accetto il principio
che molte delle mie "idee",
convinzioni, valori, non siano realmente mie ma piuttosto
elementi ereditati
inconsapevolmente dall'ambiente socioculturale, posso
sottoporle a verifica mediante
il sentire, fare cioè esperienza diretta di quelle cose e
vedere se il sentire che ne
risulta è coerente o no al pensare. Un passo fondamentale
per conseguire la vera libertà è quindi quello di riattivare la nostra capacità di sentire. Non è affatto difficile, basta
investire in questo compito un po' di tempo ed energie: è il minimo che possiamo fare dopo
aver destinato anni della
nostra vita a sviluppare il pensare. Tuttavia, se per anni
ci siamo dedicati solo al versante del pensare, è evidente che la facoltà del sentire si è un po' atrofizzata e così, quando
serve, non funziona o
funziona in maniera distorta, confusa. E' quindi necessario
riattivarla, e non è affatto
difficile, basta investire in questo compito un po' di tempo
ed energie: è il minimo
che possiamo fare dopo aver destinato anni della nostra vita
a sviluppare l'altra
facoltà. La ricetta per recuperare il proprio sentire e anzi
affinarlo ancor più, è semplice e
consta di tre ingredienti base:
- la consapevolezza che sia importante riattivarla, ed è
quello che sto cercando di
comunicarvi con queste pagine;
- la volontà di impegnarsi in tal senso, e questa è una
responsabilità che spetta
interamente a voi;
- l'esercizio, attraverso tecniche e situazioni appropriate,
e queste si possono imparare
su alcuni libri, incluso questo, e meglio ancora
partecipando a corsi o seminari
esperienziali. Si sono già visti esercizi in proposito.
Il respiro è qualcosa che fluisce continuamente, e per certe persone è
più facile sentire il
movimento che non il proprio corpo immobile. Anche il
respiro produce delle
sensazioni: a livello muscolare e toracico, a livello
gustativo/olfattivo (si sente come
qualcosa che si avvicina ad un sapore) e infine - quando si
raggiunge una certa
sensibilità - si possono avvertire anche sensazioni di
carattere emozionale....
Chiudete gli occhi e ponete la vostra attenzione sul respiro, respirando
normalmente: non fate niente per cambiarlo, semplicemente osservatelo,
sentitelo, così come avviene; sentite il torace e la pancia che si dilatano e si
restringono, oppure, se vi è più facile, focalizzatevi sul naso e sentite l'aria
che passa attraverso le narici. Senza alcuno sforzo, semplicemente ascoltate,
osservate il vostro respiro, siate consapevoli dell'aria che entra, dell'aria che
esce. Dopo un po' potete anche provare ad "assaporare" queste sensazioni,
forse hanno un loro "gusto" particolare, come quei sapori appena accennati
che richiedono una lunga e attenta degustazione per venire fuori. Procedete
per almeno un minuto, meglio due o tre. Quando lo desiderate potete
concludere l'esperienza e riaprire piano piano gli occhi, rimanendo ancora
per un po' in contatto con lo spazio interiore che avete sperimentato.
Per approfondimenti teorici sull'argomento
CHELI E. Dietro le maschere alla scoperta di se stessi, ed. Compagnia degli Araldi .
CHIA M. Tao Yoga. Il risveglio dell'energia attraverso il Tao, ed. mediterranee.
LOWEN A. Il piacere. Un approccio creativo alla vita., ed. Astrolabio.
MASLOW A. Verso una psicologia dell'essere, ed. Astrolabio.
OSHO RAJNEESH, Vivere amare, ridere, ed. News Services Corporation.
PEARLS F., HEFFERLINE R.F., GOODMAN P., Teoria e pratica della
terapia della gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, ed.
Astrolabio.
PIERRAKOS J. Corenergetica, ed. Crisalide
Chiudete gli occhi e ponete la vostra attenzione sul respiro, respirando
normalmente: non fate niente per cambiarlo, semplicemente osservatelo,
sentitelo, così come avviene; sentite il torace e la pancia che si dilatano e si
restringono, oppure, se vi è più facile, focalizzatevi sul naso e sentite l'aria
che passa attraverso le narici. Senza alcuno sforzo, semplicemente ascoltate,
osservate il vostro respiro, siate consapevoli dell'aria che entra, dell'aria che
esce. Dopo un po' potete anche provare ad "assaporare" queste sensazioni,
forse hanno un loro "gusto" particolare, come quei sapori appena accennati
che richiedono una lunga e attenta degustazione per venire fuori. Procedete
per almeno un minuto, meglio due o tre. Quando lo desiderate potete
concludere l'esperienza e riaprire piano piano gli occhi, rimanendo ancora
per un po' in contatto con lo spazio interiore che avete sperimentato.
Per approfondimenti teorici sull'argomento
CHELI E. Dietro le maschere alla scoperta di se stessi, ed. Compagnia degli Araldi .
CHIA M. Tao Yoga. Il risveglio dell'energia attraverso il Tao, ed. mediterranee.
LOWEN A. Il piacere. Un approccio creativo alla vita., ed. Astrolabio.
MASLOW A. Verso una psicologia dell'essere, ed. Astrolabio.
OSHO RAJNEESH, Vivere amare, ridere, ed. News Services Corporation.
PEARLS F., HEFFERLINE R.F., GOODMAN P., Teoria e pratica della
terapia della gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, ed.
Astrolabio.
PIERRAKOS J. Corenergetica, ed. Crisalide
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