Non è facile
orientarsi nelle varie psicologie per cui è importante riuscire a
distinguere tra le scuole che, anche se si occupano sempre di psiche, partono
da considerazioni diverse e da approcci che sono lontani tra loro sia nella
sostanza che nella finalità ma, soprattutto, nella modalità di lavoro.
Per prima
cosa possiamo partire dal comprendere bene la differenza che c’è tra psicologia
e psicoanalisi che sovente vengono confuse.
Per
psicologia si intende tutto ciò che riguarda la “psiche” che, come ben sappiamo
traduce la parola “Anima”. Quindi, la psicologia è lo studio dell’anima
dell’uomo e questo è un postulato che dovrebbe essere tenuto sempre presente in
quanto oggi, si confonde spesso “psiche” con “mente-cervello” mentre invece sono
due cose diversissime.
Infatti
l’ANIMA è indubbiamente ciò che racchiude l’ESSENZA dell’uomo e non riguarda
espressamente il suo cervello, la sua cognitività o i suoi comportamenti, ma è
qualcosa di molto più grande: gli antichi consideravano l’anima il soffio
vitale e, alcune culture la assimilavano al “principio divino”, quindi l’anima
è qualcosa di estremamente difficile da individuare ma è sicuramente
quell’istanza interna che rende possibile “dare significato” alle esperienze
della vita anzi, forse è ciò che trasforma il vissuto in esperienza ma potrebbe
essere anche quell’essenza che ci spinge a migliorarci, ad evolverci e a
credere che vi possano essere possibilità per il mondo, anche laddove ci sono
grandi difficoltà. E’ quel lato di noi che immagina, che elabora e che crea
letteralmente nuove possibilità, qualcosa che ovviamente non è tangibile ma che
dà costantemente prova di sé.
Oggi sarebbe
molto più corretto parlare di “neuroscienze” che di “psicologia” in quanto, la
maggior parte degli studi universitari sono orientati verso questo ramo e molto
meno verso quello che i precursori pensavano e intendevano.
Come ben
dice Hillman: “non è possibile comprendere l’anima attraverso la sola
psicologia” ma bisogna anche spaziare tra storia, filosofia e religione,
integrando anche la cultura poetica del romanticismo.
In effetti,
lo scopo della psicologia dovrebbe essere quello di trovare una modalità
affinchè l’anima possa riconoscersi nella vita e scambiare con essa,
integrandosi fino a trovare un senso nel viaggio che si percorre.
Psicologia
del profondo è invece il nome che viene
dato alla “psicoanalisi” e alla “psicologia analitica”, due branche che,
attraverso lunghi processi interattivi (analisi) tra paziente e terapeuta
“sondano l’anima” mettendo in pratica le direttive evidenziate dai loro padri
fondatori: Freud e Jung e dalle relative scuole di pensiero che da loro hanno
preso il via.
Lo scopo di
questa parte della psicologia consiste nello studio delle profondità della
psiche – e dell’anima indagando e cercando di dare spiegazioni ai vari
meccanismi psichici che sono alla base dei comportamenti umani.
Possiamo
dire che con il termine “Analisi del profondo” si intende tutto questo lungo, a
volte lunghissimo processo che si svolge per sondare l’anima nelle sue
complessità o, per dirla alla Hillman per “fare anima”.
Ovviamente
non esiste solo l’analisi in senso stretto, ovvero quella fatta con un
terapeuta, in quanto ognuno di noi è
terapeuta di sé stesso nell’ “analizzare” la propria vita interiore.
La
psicoanalisi del profondo, fin dalle origini ha cercato di definire, di dare
una struttura, di capire come funziona la psiche studiando le dinamiche e lo
sviluppo dell’intero sistema psichico; non si limita a lavorare sul
disadattamento vero e proprio delle persone ma cerca anche di definire come
funziona la psiche partendo dalle potenzialità e dalle grandi differenze
individuali; in pratica è uno strumento che serve anche il bisogno di
“conoscersi” di ognuno di noi.
Partendo dal
fatto di “essere al mondo”, questa branca studia le introiezioni che sono
avvenute nei primi anni di vita, le interazioni affettive con le figure
parentali e studia il divenire di una persona, incluse le sue effettive
possibilità di autorealizzazione individuale, affettiva e sociale che sono alla
base di una vita gratificante e piena di significato. Questo ramo della
psicologia si interessa perciò del “divenire” di un soggetto e, proprio per
questo, preme ed urta contro le discipline più prettamente biologiche che
sostengono il “determinismo” mentre, al contrario, per la psicanalisi, l’uomo è
considerato libero di “essere e di realizzare il suo potenziale”, affrontando
però lo studio della parte inconscia.
La
psicanalisi studia quindi soprattutto la sfera dell’inconscio che, come ben
sappiamo, può avere e manifestare motivazioni molto diverse dall’Io cosciente,
creando conflitti che, apparentemente, non avrebbero spiegazione. In pratica,
la psicanalisi potrebbe essere chiamata la “scienza delle motivazioni inconsce”
Ci sono
ancora molti problemi all’interno della psicologia che, ad esempio, accusa la
psicanalisi di formulare ipotesi “non verificabili”. Del resto, questo ramo
della psicologia parte dal lavoro fatto sui pazienti (la clinica), mentre gli psicanalisti
accusano i rami sperimentali (comportamentisti e cognitivisti soprattutto) di
lavorare nei loro laboratori asettici, senza un reale contatto con le persone.
Chiaramente
si sono così formate due scuole, ognuna delle quali utilizza i suoi strumenti
di indagine ma, è pur vero che la psicologia sperimentale trova molta
difficoltà nello spiegare fenomeni tipicamente umani quali momenti di intensa
passione, di spiritualità, di appagamento o anche momenti di estrema
sofferenza. Diventa difficile collocare tutto ciò nel cervello… mentre, diventa
molto più semplice comprendere se si parla, appunto di “anima”.
La psicoanalisi freudiana
Freud fu il
primo a parlare di “anima”; in effetti, se lo si legge in lingua originale, per
parlare della psiche egli usa il termine “seele” che significa appunto “anima”
per cui, per trattamento psichico il grande maestro viennese intende
“trattamento dell’anima”.
Freud fu
praticamente il primo a teorizzare che la psiche avesse una parte profondamente
inconscia che chiamò “ES” - che in lingua tedesca indica il pronome personale
“esso” – ovvero, una zona che non arriva alla coscienza ma che nonostante tutto
la influenza; un luogo chiamato “altro”, distinto dall’IO.
ES per Freud
è tutto ciò che fa parte della nostra psiche ma con cui non siamo identificati
e, proprio per questo assume, alla luce della coscienza un forte senso di estraneità. Freud la
definiva la parte inaccessibile della personalità.
Per Freud
l’ES è un luogo pieno di energia ma senza una volontà unitaria; attinge
direttamente alle pulsioni e vuole ottenere soddisfacimento in ottemperanza al
più puro “principio di piacere”.
Ovviamente
l’ES non ha valori, non ha morale e non è civile quindi non conosce l’idea del
bene e del male, concetti che l’Io impara nel contatto con il mondo e la
cultura.
Secondo
Freud la maggior parte dei nostri comportamenti e soprattutto delle reazioni
che abbiamo istintivamente sono tutte manifestazioni dell’ES anche se poi, l’Io
tenderà a dare spiegazioni razionali proprio per evitare la sensazione di
inadeguatezza che deriva da reazioni non desiderate e considerate estranee.
Si tratta di
una forza molto travolgente e, soprattutto, molto più potente dell’IO prova ne
è che spesso l’IO stesso resta sorpreso di fronte a certe reazioni emotive che
sono in netta contrapposizione con la sua volontà.
Per Freud
l’Io ha il compito di “conquistare” via via territori all’ES e considera questo
dovere come un’opera di civiltà.
Chiaramente
per Freud anche le società hanno dovuto pian piano imparare a controllare la
parte inconscia lavorando sulle pulsioni istintuali delle persone che,
altrimenti, impedirebbero la convivenza e lo sviluppo di tutto il tessuto
sociale. Nelle idee freudiane, l’Io deve riuscire ad eseguire e soddisfare le
pulsioni dell’ES ma deve trovare un modo che sia in linea con gli ideali e i
principi dell’Io che quindi, tenga conto dei valori, dei sentimenti e degli
ideali che ha.
Freud
praticamente sostiene che un IO
sufficientemente forte è in grado di “contenere le pulsioni” dell’Es ed anche
l’angoscia che deriva da queste pressioni; è in grado di contenerle, di
differirle e di progettare poi il loro soddisfacimento nel momento più
opportuno e con le modalità riconosciute dall’IO.
L’IO si
forma pian piano emergendo dal magma indifferenziato dell’inconscio e diventa
un vero e proprio mediatore tra l’ES e il mondo esterno. Per questo l’Io può
trovarsi in grande difficoltà se le pulsioni dell’ES sono esagerate ed
incontenibili e per contro, dall’esterno, giungono istanze morali troppo rigide
che creano una vera e propria lacerazione nella personalità.
L’aiuto
all’IO giunge dal Super Io che è un’istanza che può dare un sostegno valido ed
efficace sempre che non sia diventato troppo rigido da bloccare le pulsioni
anziché gestirle.
La struttura
del Super Io si forma nel delicato rapporto del bambino con l’autorità ragion
per cui può essere flessibile e adattabile oppure rigida ed implacabile
tendente a bloccare anziché guidare.
La lotta tra
la parte istintiva e la parte “civile” rappresenta la materializzazione del
conflitto tra l’ES e l’istanza del Super Io che si è forgia sulla base delle
regole, dei valori e delle strutture morali introiettate che diventano veri e
propri riferimenti interni che aiutano a guidare l’Io; nel caso invece
dell’introiezione di un’autorità inibitoria possono divenire veri censori che
bloccano qualunque contenuto sospetto.
La maggior parte delle persone fatica in questo
processo perché non ha un Io sufficientemente strutturato per gestire le
pulsioni per cui interviene un Super Io troppo rigido e censorio a “negare” o
“rimuovere” le istanze dell’ES che, a quel punto, premeranno contro le barriere
della coscienza per abbatterle.
Quando la
situazione perdura troppo a lungo possono sorgere gravi problemi di adattamento
e di autoregolazione che possono condurre a vere e proprie patologie in cui il
Super Io (che si lega al Principio di realtà) si trova a confliggere con il
Principio di Piacere.
Se da un
lato è vero che non si possono soddisfare i nostri desideri se non tenendo
conto della realtà, è però anche vero che il piacere deve trovare spazio nella
vita poichè, in caso contrario, quest’ultima diventa arida e senza valore.
Il principio
di realtà dispone di due modalità per affrontare le situazioni: può adattarsi
al mondo esterno, oppure cercare di cambiare le cose mettendo in atto vere e
proprie strategie.
La
difficoltà per ognuno di noi sta nel riconoscere quando utilizzare il primo
caso e quando, invece, il secondo.
Fondamentale
nella psicologia Freudiana è il concetto di energia psichica che lui chiama
“libido”. Freud si concentrò tantissimo sul tema della libido e della
sessualità che, data anche l’epoca in cui è vissuto e il contesto sociale, era
sicuramente una delle cose più inibite in assoluto. Freud pone l’energia
istintuale e sessuale alla base dello sviluppo psichico e, la sua rimozione,
alla base delle nevrosi.
Indubbiamente
oggi non è facile restare fedeli alle teorie Freudiane ma ciò che resta
importante è l’osservazione che questo studioso ha fatto della psiche; Freud
resta una pietra miliare nella storia della psicologia in quanto è stato il
primo ad essersi reso conto che esisteva un lato di noi completamente inconscio
e che, questo lato, poteva travalicare completamente la coscienza fino a
sbaragliarla; non solo, Freud portò il tabù della sessualità alla coscienza di
tutti e tutto questo nel pieno della filosofia Vittoriana che pretendeva di
coprire anche le gambe dei mobili.
Da un punto
di vista astrologico e simbolico, possiamo vedere nella psicologia Freudiana il
pianeta Saturno (Super Io) che si contrappone all’ES che, possiamo individuare
in Plutone e nella Luna, due istanze che rappresentano il bisogno di
gratificazione immediata delle pulsioni proprio
in virtù del principio di piacere.
La Luna
rappresenta i bisogni primari e l’infanzia che è la fase in cui il bambino
vuole tutto e subito e non sa ancora mediare con le sue pulsioni interne. In
effetti, soprattutto le quadrature e le opposizioni tra Plutone e Saturno e tra
Luna e Saturno sono da guardare con attenzione perché, in entrambi i casi, ci
può essere il congelamento di una parte importantissima della propria natura:
nel primo caso saranno proprio le pulsioni e gli istinti a venire costantemente
controllati dal Super Io che tiene a bada qualcosa che teme fortemente possa
travalicare i confini della coscienza; nel secondo caso saranno il “sentire” e
le emozioni a venire bloccate per evitare la sofferenza.
L’intera
psicologia Freudiana è - astrologicamente parlando - centrata sul pianeta Saturno che rappresenta
anche le istanze sociali che premono sull’individuo in modo che si adegui alle
regole bloccando i lati più animaleschi della sua natura.
In pratica,
la psicanalisi freudiana è molto orientata alla comprensione delle pulsioni
sessuali che, se vengono rimosse, possono inibire la personalità fino a
patologizzarla; per lui è fondamentale la lenta conquista da parte dell’Io dei
territori inconsci che appartengono all’Es; è importante altresì che l’Io si
affranchi dalla tirannia del Super Io.
Freud fu
anche un grande maestro e quindi, dalla sua scuola, uscirono allievi
importantissimi. Alcuni di questi si trovarono in contrapposizione e iniziarono
una loro personale psicologia. Il suo allievo più prestigioso con il quale
arrivò alla rottura fu Carl Gustav Jung.
La psicologia analitica Junghiana
Carl Gustav
Jung era un allievo di Freud ma, pian piano, iniziarono tra loro delle profonde
divergenze che portarono ad una rottura definitiva. Jung era un personaggio
eclettico che aveva molta esperienza: aveva lavorato al Burgholzli di Zurigo
come assistente di Bleuler nel reparto psichiatria.
Era però un
uomo curioso e particolare che aveva molto viaggiato all’esterno e che aveva
raccolto materiale molto prezioso in Oriente, in Africa in Messico; lui
spaziava anche nell’alchimia e nell’astrologia; fin da piccolo si era
interessato di “spiritismo” e di filosofia orientale.
Non rinnegò
mai apertamente le premesse Freudiane anche se la sua osservazione
dell’inconscio lo portò a considerazioni nuove che chiamò “analitiche”.
Jung conobbe
il mondo dell’inconscio non solo attraverso l’esperienza clinica e il lavoro
sugli “psicotici”, ma in maniera personale in quanto ebbe fasi di vera e
propria sofferenza psichica, quella che egli stesso definì “malattia creativa”, qualcosa che è presente
nei mistici, negli sciamani, negli scrittori e nei creativi in genere. Si
tratta di una vera e propria ansia di ricerca di “verità” che si può presentare
sotto forma di depressione, di nevrosi o di malattia psicosomatica: Jung
sosteneva che, anche se la persona riusciva a mantenere le sue attività
sociali, restava però essenzialmente concentrato su sé stesso e sui suoi
problemi.
Uscì però da
questi stati completamente trasformato nella sua personalità con la convinzione
di aver trovato una verità o, quanto meno, di aver avuto accesso ad un nuovo
mondo spirituale.
Le fantasie
di Jung erano tantissime: le chiamava fantasie del sottosuolo; fu proprio a
seguito di questi suoi stati psicologici che sentì il bisogno di distinguere
l’inconscio in “personale e collettivo”.
Questa fu
una vera rivoluzione nel modo di intendere la psiche; ad essa fece seguito la
teoria degli archetipi che rappresentò come degli schemi precisi che si trovano
all’interno della psiche e che si manifestano all’uomo con tematiche analoghe
in tutte le culture del mondo. Gli archetipi si presentano attraverso immagini
o motivi mitologici che possono essere ben calzati sui contenuti personali.
L’oggetto
del contendere con Freud nacque proprio dal fatto che Jung non vide
nell’inconscio solamente un luogo in cui erano relegati i contenuti rimossi e
le pulsioni ma un luogo dove si trovano immense potenzialità, tutte quelle che
l’umanità ha esperito: una sorta di grande pozzo in cui tutto sedimenta e viene
poi trasmesso per via ereditaria a chi viene dopo.
Jung quindi
ipotizzò che più l’IO è forte, maggiori possibilità ha di entrare in contatto
con l’inconscio e maggiore sarà la sua apertura e le sue possibilità di
crescere e di conoscere, arricchendo il bagaglio personale.
Per Jung le
ipotesi freudiane non erano sufficienti a spiegare ciò che vedeva nei suoi
malati psicotici e quindi fu spinto da questa esperienza a cercare nuove teorie
che potessero dare spiegazioni.
L’inconscio
per Jung rappresenta una ipotesi adattiva della psiche umana che si attiva per
superare sofferenze e angosce che, altrimenti, minaccerebbero l’identità, il
senso di coesione e di continuità.
Inoltre in
Jung cambia di molto la visione dell’energia psichica che lui vede come
qualcosa che spinge verso l’individuazione e verso la ricerca di una spiritualità;
in pratica la “libido” per Jung è una forza che vuole migliorare, elevarsi e
cercare il senso della vita.
In pratica,
la psicologia Junghiana mette le basi di quella che si chiamerà poi “psicologia
umanistica” ed aiuta l’individuo a cercare un senso alla vita e al mondo e a
ritrovare un’unità interna attraverso un vero centro organizzatore (il SE’) che
può chiamare l’Io a ritornare alla fonte da cui ha avuto origine; essere
inconsci per Jung è uno stato naturale soprattutto nella prima parte della
vita; le difficoltà che nasceranno da questa natura chiameranno l’uomo ad
interrogarsi e a trovare spiegazioni avviando un rapporto con la propria
dimensione inconscia e questo perché, nell’idea di Jung, le determinanti
personali hanno un senso solo se si comprendono anche quelle collettive.
Per Jung la
psiche è così organizzata:
Inconscio
personale dove sedimentano i contenuti che non hanno avuto accesso alla
coscienza;
Inconscio
collettivo dove risiedono tutte le possibili manifestazioni di possibilità che
l’umanità ha sviluppato e dove risiedono gli archetipi.
Io –
identità cosciente
Persona
(maschera di adattamento); ciò in cui siamo identificati; la definisce anche un
segmento dell’inconscio collettivo che simula l’individualità. E’ una sorta di
ruolo che dobbiamo assumere nella società.
Alla Persona
si contrappone l’Ombra che la compensa e che andrà indagata. Nell’ombra ci sono
tutti quei contenuti che il Super Io non può riconoscere e che generano colpa,
vergogna e rimozione.
Gli
archetipi che sono modelli di comportamento che attiveranno i sogni e le
immagini archetipiche.
Anima e
Animus: i due archetipi transessuali che si incaricano di portare alla
coscienza il bisogno di totalità.
Il Se’ è
l’archetipo centrale, quello della totalità che propone l’individuazione
cercando una continua interazione con l’Io affinchè quest’ultimo riesca ad
intuire il significato della vita individuale. Il Se’ è anche in grado di
attrarre nella vita quelle esperienze che possono portare l’Io alla
comprensione.
L’Io nel
tempo deve riallacciarsi al Sè attraverso il lungo processo di individuazione
che porta un soggetto a scoprire tutte le sue parti, comprese quelle “non
riconosciute” in modo da diventare “individuo” ovvero completo.
Indubbiamente
la psicologia analitica Junghiana si caratterizza da un punto di vista
astrologico per le grandi valenze creative e per la speranza che riesce ad
infondere considerando gli individui “liberi” ed in grado di autodeterminarsi
semplicemente imparando a ricollegarsi con un grande centro unificatore
interno.
Jung era un
Sole in Leone quadrato a Nettuno e Chirone che, a loro volta opposti a Giove.
Non può essere trascurato il suo prepotente bisogno di trovare significato che
partiva sicuramente da un grande “caos creativo” interno che doveva trovare
canalizzazione onde evitare che portasse
a disorganizzazioni psichiche. La sua natura curiosa avventurosa e curioso lo
ha sempre spinto a ricercare e a trovare prima di tutto in sé stesso una strada
di autoguarigione.
La psicologia analitica è molto più Giovial
Nettuniana e, proprio per questo più aperta alla spiritualità che passa per il
ritrovamento di una unità interna che possa far sentire l’individuo unito con
tutto ciò che lo circonda.
( a cura di
Lidia Fassio)
http://www.youtube.com/watch?v=AFPmLKe3lF4
http://www.youtube.com/watch?v=1i0oesqgtBU
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