Il cervello di Einstein era superconnesso:
"Il segreto del genio nel legame degli emisferi"
Uno studio torna a indagare le origini biologiche della
brillante intelligenza dello scienziato: il corpo calloso, la lamina di fibre
che collega parte destra e sinistra consentendo l’uniformità del ragionamento,
era più spesso della media. Come se, nel padre della relatività, il lato
creativo e quello analitico comunicassero meglio e in maniera più virtuosa di
SIMONE COSIMI
Il cervello di Einstein era superconnesso: "Il segreto
del genio nel legame degli emisferi"
PLOTONI di luminari si affannano da decenni per scoprire il
segreto di Albert Einstein. Per scovare cioè la chiave della sua brillante
intelligenza, che lo ha condotto a svelare i meccanismi reconditi dello spazio
e del tempo. Lo fanno sulla base di una serie di immagini del cervello, alcune
delle quali realizzate in fretta e furia il 18 aprile 1955 dal patologo Thomas
Harvey, e oltre duemila "frammenti" distribuiti in giro per il mondo.
Ricavati a partire dalle 170 sezioni che dal 2010 riposano al National Museum
of Health and Medicine di Chicago e in cui l’encefalo dello scienziato fu
diviso proprio da Harvey, il patologo che eseguì l’autopsia al Princeton
Hospital, dopo la morte. Un ultimo studio, diffuso lo scorso anno su Brain,
aveva legato a un cervello piccolo, ma pieno di curve in particolare in certe
aree come la corteccia prefrontale, quella visiva e i lobi parietali, la
ragione della genialità. Più o meno nello stesso periodo un’app per iPad ne ha
addirittura reso disponibili a tutti 350 scansioni. Ma in realtà l’indagine è entrata
nel vivo fin dagli anni '80, con le ipotesi di Marian Diamond. Ora un’altra
ricerca, molto più affascinante, torna a indagare gli enigmi del padre della
relatività.
Pubblicata sulla stessa rivista, la nuova indagine punta
stavolta sugli emisferi: secondo un team internazionale capitanato da Weiwei
Men della East China Normal University di Shanghai, il cervello dello
scienziato tedesco naturalizzato statunitense sarebbe stato clamorosamente
iperconnesso. O meglio, le due parti in cui si divide il cervello – che
presentano notevoli differenze funzionali – sarebbero state collegate in modo
non usuale. "Nonostante molti studi abbiano focalizzato sulle
caratteristiche istologiche e morfologiche del cervello di Einstein, i segreti
della sua genialità restano un mistero" si legge nel documento, che segna
così una netta differenza rispetto alle ipotesi sviluppate in passato. "Lo
studio, più di ogni altro, getta davvero uno sguardo profondo all’interno del
cervello di Einstein – ha aggiunto la coautrice, l’antropologa dell’evoluzione
Dean Falk – ci fornisce nuove informazioni che aiutano a dare senso a quel che
è invece sappiamo della sua superficie".
Per condurre la ricerca Weiwei e colleghi – fra cui Tao Sun
della Washington University School of Medicine – hanno sfruttato 14 scatti
fotografici inediti in alta risoluzione presi da diverse angolazioni e resi
disponibili proprio lo scorso anno dalla stessa Falk. Due, in particolare, sono
alla base delle scoperte. Sotto la lente è dunque finito lo spessore del
cosiddetto corpo calloso. Di cosa si tratta? Dell’importante lamina interposta
appunto tra i due emisferi cerebrali, costituita da fasci di fibre mieliniche e
amieliniche che collegano tra loro aree corrispondenti nelle due metà. Serve a
dare uniformità all’informazione elaborata in maniera diversa da ciascun
emisfero. È esclusivamente grazie a quel ponte fibroso che i due aspetti del
cervello, quello creativo e razionale, il cervello poeta e quello ingegnere,
riescono a comunicare. Partorendo un unico risultato. A quanto pare gli
scienziati hanno scoperto che il corpo calloso di Einstein – che in fondo
sembra proprio figlio di questo prodigioso mix mentale – era più spesso in
diverse zone. Soprattutto se comparato con la stessa struttura in due gruppi di
controllo composti da 15 maschi più anziani e 52 più giovani nel 1905. Quello,
come noto, fu il cosiddetto annus mirabilis: il 26enne Einstein pubblicò sei
lavori che avrebbero gettato le basi per la rivoluzione della fisica moderna.
Dalla teoria dei quanti di Planck a quella della relatività ristretta, che
anticipò di un decennio quella generale. L’accentuato spessore indica una
maggiore interconnessione fra i due emisferi che, secondo i ricercatori,
sarebbe all’origine della sua brillante attività accademica e scientifica.
La tecnica sviluppata dal team sino-statunitense "misura
e codifica il cambiamento di spessore del corpo calloso per tutta la sua
lunghezza, dove i nervi passano da una parte del cervello all’altra – hanno
spiegato dalla Florida State University, dove lavora Falk – questi livelli di
spessore indicano il numero di connessioni che attraversano le due parti e
quindi quanto sono collegati i due emisferi in queste regioni, aree che
facilitano funzioni diverse a seconda di dov’è situata l’abbondanza di
fibre". Insomma, questa sintonia fra il lato destro – fantasioso, immaginifico
ed emotivo – e quello sinistro – analitico, calcolatore e razionale – del
cervello sarebbe alla base della fervida intelligenza di Albert Einstein. Non
meno dei solchi e delle circonvoluzioni nella corteccia cerebrale o
dell’abbondanza di cellule gliali, le nutrici dei neuroni, ipotizzate dalla
Diamond alla metà degli anni ‘80. Un cervello speciale, questo è certo. Peccato
che lo studio non chiarisca la ricorrente e annosa domanda sul tema: geni si
nasce o si diventa? Rimane insomma da appurare se questa spiccata comunicazione
fosse un dono di natura o si sia è sviluppata col lavoro intellettuale.
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