Ritrovare il senso dell’amicizia: la terza lettera di Seneca
Ha ancora senso parlare di amicizia quando i giornali, per dare la notizia di un crimine, titolano: Stupro, amiche diffondono video su WhatsApp? È corretto scrivere “amiche“? Quante contraddizioni contiene questa parola in un tale contesto?
Nelle recenti notizie di cronaca abbiamo visto, troppo spesso, utilizzare la parola amici o amichein senso improprio. Si parla infatti di criminali, di persone che hanno diffuso illegalmente contenuti privati altrui. Nel caso più recente, in particolare, si trattava delle presunte “amiche” che hanno filmato una ragazza mentre subiva una violenza sessuale. A questo punto, appare legittimo chiedersi: ma questi sono davvero definibili “amici”? Abbiamo forse perso il senso di questa nobilissima parola?
Seneca, nella terza lettera a Lucilio, riflette proprio sulla definizione di “amico”, e rimprovera il suo destinatario di aver utilizzato, in una lettera, questa parola in maniera troppo vaga:
Itaque sic proprio illo verbo quasi publico usus es.Dunque hai usato la specifica parola “amico” in senso generico.
Lucilio aveva infatti scritto a Seneca di aver incaricato un suo “amico” di consegnargli le lettere; tuttavia, prega il filosofo di non rivelare i suoi fatti privati a questa persona, con cui non è solito fare confidenze. Come definire “amico” qualcuno di cui non ci si può fidare? Difatti, Seneca afferma: «Così, nella medesima lettera, hai definito costui “amico” e poi lo hai negato» («Ita eadem epistula illum et dixisti amicum et negasti»). È la stessa colpa dei giornalisti che hanno definito “amiche” persone che non hanno nulla da spartire con l’amicizia. Un automatismo, la banalizzazione di una parola, amico, che invece contiene in sé la radice sacra del verbo amare.
Seneca spiega: «Sic illum amicum vocasti quomodo […] obvios, si nomen non succurrit, “dominos” salutamus», «Hai chiamato quello “amico”, così come definiamo “signori” i passanti, quando non ci ricordiamo del loro nome». “Amico” diventa così, ambiguamente, una parola passepartout, a definire un “qualcuno” più o meno conosciuto di cui magari non ci fidiamo del tutto.
Secondo il nostro filosofo, la confusione terminologica è grave: «Sed si aliquem amicum existimas cui non tantundem credis quantum tibi, vehementer erras et non satis nosti vim verae amicitiae», ovvero: «Ma se ritieni “amico” qualcuno di cui non ti fidi quanto di te stesso, ti sbagli completamente e dimostri di non conoscere abbastanza il valore della vera amicizia».
Certamente anche molti articolisti dovrebbero essere debitamente redarguiti, come Lucilio. Ma chi sono allora i veri amici?
Post amicitiam credendum est, ante amicitiam iudicandum.Dopo aver fatto amicizia è necessario fidarsi, prima di fare amicizia è necessario valutare.
La parola d’ordine è valutare, ovvero cercare di capire se la persona a cui stiamo prestando fiducia la meriti veramente. Questo può sembrare un consiglio un po’ rigido e difficilmente applicabile: come possiamo essere sicuri dell’indole di una persona senza prima averla conosciuta almeno un po’, senza aver condiviso con lei qualche esperienza?
Per comprendere bene ciò che intende il filosofo, ancora una volta dobbiamo ritornare alla ferma credenza senecana nella conoscenza di se stessi. Comprendendo il nostro io, la nostra identità, capiremo anche quali persone far entrare nella nostra cerchia di amici, senza alterare i nostri equilibri emotivi. Secondo Seneca, per vivere bene viene bisogna dare la precedenza all’armonia personale, che deve essere preservata ad ogni costo. Ancora una volta, ci salva il potere della scelta: dobbiamo saper scegliere gli amici, distinguere chi può farci bene e chi, invece, può farci male. Un pensiero egoistico? No: piuttosto, un accorgimento necessario per vivere sereni e più sicuri di sé e delle proprie possibilità.
La soluzione è quindi:
Diu cogita an tibi in amicitiam aliquis recipiendus sit.Pensa a lungo prima di accettare qualcuno come amico.
Quanto è difficile farlo, soprattutto quando si è giovani; dovremmo sempre circondarci di persone positive, che stimolano e condividono i nostri interessi. Ma non sempre è possibile, specialmente se la nostra identità, a causa dell’età, non è ben definita. Cerchiamo allora almeno qualcuno col quale non aver paura di confidarci, di dire tutto quello che ci passa per la testa, i sentimenti, i progetti, i gusti personali. Con le parole di Seneca: «cum amico omnes curas, omnes cogitationes tuas misce», vale a dire «condividi con l’amico tutte le tue preoccupazioni, tutti i tuoi pensieri». Miscĕo in latino è una parola bellissima: oltre a mescolare, significa anche scambiarsi vicendevolmente, un perfetto equilibrio tra il dare e il ricevere. Se non riusciamo a farlo, significa che davanti a noi non c’è la persona giusta, che non ci sentiamo a nostro agio. Dobbiamo allora capire se il problema è nostro (eccessiva timidezza, pudore, paura, blocco emotivo) oppure se effettivamente l’altra persona non è adatta a noi, a comprenderci e ad ascoltarci, perché i nostri caratteri vanno in direzioni differenti. Non è una sconfitta: può succedere. In certi casi, un’amicizia vera non si può costruire; allora dobbiamo imparare a guardare oltre, senza risentimento.
Onoriamo del nome di amico, dunque, solo coloro che davvero lo meritano, coloro che ci aiutano a credere in noi e nei nostri progetti, che prestano attenzione ai nostri problemi, non a quelli che sempre minimizzano, sfuggono al confronto, cercano di imporci le loro idee. Rifiutare certi atteggiamenti è, in primis, una vittoria per noi stessi nonché una lezione di vita impartita agli altri.
Seneca ci indica, infine, i due estremi da cui rifuggire:
Quidam quae tantum amicis committenda sunt obviis narrant, et in quaslibet aures quidquid illos urit exonerant; quidam rursus etiam carissimorum conscientiam reformidant et, si possent, ne sibi quidem credituri interius premunt omne secretum.Certuni raccontano a chiunque le cose da affidare solo agli amici, e riversano nelle orecchie di tutti ciò che li tormenta; altri, viceversa, hanno paura di confidarsi persino con i loro cari e soffocano dentro di sé ogni segreto: se potessero, non farebbero confidenze nemmeno a se stessi.
In conclusione: non è così automatico decidere a chi donare la nostra fiducia, specialmente in certi momenti della vita, quando tutto è più incerto. Certamente, “amico” e “non amico” non sono etichette da apporre a proprio piacimento e con leggerezza alle persone. Quello che può salvarci e che spesso manca è la riflessione: ancora una volta, prima la meditazione su se stessi, il dare valore alle proprie capacità, i propri gusti, i propri progetti e poi scegliere persone fidate con cui condividerli. È una questione di rispetto e onestà verso se stessi e verso gli altri. Se crediamo in noi e nelle nostre qualità, gli amici, poi, quelli veri, che sanno ascoltarci e sostenerci, verranno da sé.
Arianna Capirossi per MIfacciodiCultura
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